CONTRATTI  AD ESECUZIONE PERIODICA O CONTINUATIVA: IL CONSIGLIO DI STATO SULLA DIFFERENZA TRA PROROGA E RINNOVO 

Nella recente sentenza n. 8219 del 2.12.2019, la Sezione Sesta del Consiglio di Stato si è espressa sulla corretta qualificazione giuridica, in termini di proroga ovvero di rinnovo contrattuale, dei rapporti susseguitisi nel tempo all’originario affidamento.
La disamina dei Giudici di Palazzo Spada prende le mosse dal richiamo all’art. 6 della legge 24 dicembre 1993 n. 537 – come sostituito dall’art. 44, quarto comma, della legge 23 dicembre 1994 n. 724 –  relativa ai contratti pubblici, secondo cui: “Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui al comma 6.”.
A detta disposizione è poi subentrato l’art. 115 D.Lgs. n. 163 del 2006, norma imperativa – come riconosciuto dalla giurisprudenza maggioritaria – che dunque si sostituisce di diritto ad eventuali pattuizioni contrarie (o mancanti) nei contratti pubblici di appalti di servizi e forniture ad esecuzione periodica o continuativa, configurandosi come norma inderogabile da parte della stazione appaltante.
Alla luce delle esposte argomentazioni e sulla base di precedenti arresti sul punto (Consiglio di Stato, sez. III, 27 agosto 2018, n. 5059), il Collegio ha ribadito che in materia di appalti pubblici, il presupposto per l’applicazione della norma di cui all’ art. 115 cit. – secondo cui tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo – è che vi sia stata mera proroga e non un rinnovo del rapporto contrattuale.
In  tal senso, il Consiglio di Stato distingue le due ipotesi, ricollegando la prima al solo effetto del differimento del termine finale del rapporto, che per il resto rimane regolato dall’atto originario; diversamente, il rinnovo contrattuale “scaturisce da una nuova negoziazione con il medesimo soggetto, che può concludersi con l’integrale conferma delle precedenti condizioni o con la modifica di alcune di esse se non più attuali, essendo in questo caso intervenuti tra le parti atti successivi al contratto originario con cui, attraverso specifiche manifestazioni di volontà, sia stato dato corso tra le parti a distinti, nuovi ed autonomi rapporti giuridici, ancorché di contenuto identico a quello originario, senza avanzare alcuna proposta di modifica del corrispettivo“.
Sulla scorta del principio così evidenziato, la Sezione rileva come nel caso di specie non emerga dalla documentazione versata in atti emerge alcuna attività qualificabile in termini di “nuova negoziazione”. Ed anzi, già sul piano formale la stessa PA qualificava gli atti di conferma del rapporto contrattuale anche per i periodi successivi in termini di “proroga”, alle medesime condizioni sia di prestazioni che di costi, con ciò “trovando piena conferma l’assenza di una specifica negoziazione, presupposta dall’orientamento prevalente sopra richiamato al fine di concludere in termini di rinnovo“.
Nè, sottolinea la sentenza in rassegna, può essere accolta la tesi relativa alla permanenza della piena possibilità per la ricorrente di non accettare le nuove condizioni negoziali o insistere per un rinnovo che permettesse una rinegoziazione del prezzo; ciò in quanto, si sottolinea, “se per un verso anche in caso di proroga permane in astratto la libertà di scelta di accettare o meno lo stesso prolungamento di contratto in capo all’impresa, per un altro verso proprio l’assenza di insistenze per la rinnovazione che permettesse una rinegoziazione conferma ulteriormente la fondatezza della prospettazione di parte appellante, la quale nella sostanza (oltre che nella forma) ha accettato le proroghe contrattuali proposte dalla PA.”
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