UN GABINETTO DI “GUERRA” PER LA RICOSTRUZIONE
L’articolo del Prof. Angelo Lalli pubblicato su “Il Riformista” del 7.4.2020
La pandemia scatenata dal Covid -19 ha colto di sorpresa tutto il mondo. Ha messo a nudo una debolezza insospettata anche delle nazioni considerate più evolute. Nessuno è stato in grado di prevenire, né di accorgersi in tempo dei rischi connessi alla micidiale virulenza della malattia. Il virus ha colpito in modo particolarmente feroce il nostro Paese, ben prima di diffondersi nel resto del mondo.
Le reazioni delle nazioni sono state diverse. Il nostro Paese e il suo Governo hanno reagito compatti di fronte all’emergenza. La salute dei cittadini è stata giustamente considerata il più importante interesse da salvaguardare, cui sono stati subordinati i diritti di libertà ed il sistema economico. L’esigenza di distanziamento sociale ha causato il rapido blocco di gran parte delle attività produttive. Ciò sta avvenendo, in misura diversa, anche in altre parti del mondo.
Tuttavia, il fermo della produzione presenta per l’Italia peculiari rischi. Il virus, infatti, ha trovato un Paese che non cresce in modo apprezzabile da almeno più di tre lustri. Negli ultimi anni abbiamo assistito alla progressiva deindustrializzazione di interi settori produttivi; il livello dei servizi pubblici – e tra questi di quello sanitario – era già inadeguato; l’apparato burocratico è oppressivo, quanto inefficiente. I nostri giovani, non per loro colpa, sono già da tempo privi dell’entusiasmo che li dovrebbe aiutare a intraprendere la vita attiva.
In questo contesto, il blocco produttivo interno e il rallentamento dell’attività economica internazionale hanno posto le condizioni per l’avvio di una recessione del Paese che, almeno per quest’anno, è certa. Il rischio maggiore
è che la recessione possa durare e diventare anche più severa per molti anni a venire. Recessione, ricordiamolo, significa disoccupazione estesa e quindi fame per molti.
Il nostro Paese è a un bivio. Possiamo, nei prossimi giorni, porre le condizioni per una ripartenza che, in tempi ragionevoli, riesca a invertire la tendenza negativa – impedendo il declino economico, sociale e istituzionale, altrimenti inevitabili – oppure attendere l’inesorabile impoverimento drastico della maggior parte dei nostri concittadini. Abbiamo il dovere di rinascere! Lo dobbiamo a noi, alla nostra storia, ai nostri figli. Questa crisi può essere una storica occasione per ricostruire lo Stato e la società civile, resuscitando il genio italico da troppo tempo assopitosi proprio in terra italiana. Lo Stato deve, ora più che mai, supportare la società, ma non può sostituirsi ad essa. In Italia purtroppo negli ultimi 20 anni si è progressivamente ristretta la cerchia di persone che scelgono di rischiare in prima persona per dare vita a nuove attività. È da qui che bisogna ripartire. L’iniziativa economica privata, adeguatamente valorizzata e, ove necessario, controllata, non solo garantisce efficienza produttiva, occupazione stabile e incremento del gettito fiscale (necessario per mantenere e potenziare i servizi essenziali tra cui sanità, scuola, giustizia, ordine pubblico), ma consente la formazione di gruppi sociali composti da individui indipendenti che contribuiscono ad alimentare la reale democrazia del Paese. La crisi non può essere il pretesto per riproporre i vecchi modelli di intervento pubblico diretto, che nella situazione attuale non sarebbero idonei in considerazione della globalizzazione dei mercati finanziari e commerciali. Nondimeno, il ruolo dello Stato è oggi quantomai essenziale, ma ben definito: sollevare il sistema produttivo dalle perdite imputabili alle conseguenze del virus per riattivare i processi di investimento privato e, quindi, sostenere stabilmente l’occupazione. A tale fine servono principalmente politiche monetarie e fiscali espansive e il taglio drastico degli oneri burocratici.
L’Italia vive nel contesto dell’Unione europea. Non ci si può nascondere che il sogno che fu di Spinelli, De Gasperi, Schuman e Adenauer non si sia ancora realizzato e, anzi, l’Unione è vista da molti europei come un problema. È questo il momento per rilanciare quello spirito originario. Anche l’Ue in questo frangente è a un punto di svolta: può porre i presupposti per divenire una potenza politica ed economica democratica in grado di contribuire positivamente all’equilibrio mondiale, oppure regredire a una mera area di libero scambio. La via per rilanciare il sogno unionista passa necessariamente per la realizzazione di politiche solidali e non condizionate. Ove l’Unione non fosse in grado di cogliere quest’opportunità, l’Italia non potrebbe restare inerte. Ci dobbiamo perciò preparare ad assumere le nostre responsabilità, eventualmente recuperando spazi di sovranità. Questo secondo scenario appare molto più rischioso, ma deve essere seriamente tenuto presente.
Lo stato delle cose impone un cambio di passo alla guida del Paese. Siamo in guerra e occorre un gabinetto di guerra, forte del più ampio consenso parlamentare e guidato da una figura tecnicamente adeguata e riconosciuta come autorevole in patria, nelle cancellerie di tutto il mondo, come anche negli ambienti della finanza internazionale.
Servire il Paese in questo momento significa accettare di mettere da parte le rispettive, e legittime, posizioni personali e di partito e offrire collaborazione fattiva nell’interesse generale. L’Italia non merita il futuro tragico che si sta stagliando all’orizzonte.