VALIDITÀ CIVILISTICA DEL SUBAPPALTO PARZIALMENTE NON AUTORIZZATO

Il commento a cura dell’Avv. Fabrizio Vomero

Con sentenza n. 917 del 9 giugno 2020, la Corte di Appello di Bari ha definito un giudizio di impugnazione per nullità di un lodo arbitrale emesso a proposito dei lavori di adeguamento alle norme di prevenzione incendi delle scuole materne, elementari e medie di una cittadina pugliese.

Nella fattispecie esaminata, il Comune aveva affidato tali lavori ad un’Associazione Temporanea di Imprese, la quale (o meglio, una delle Imprese raggruppate) aveva stipulato, con una medesima Società subcontraente, due contratti di subappalto: il primo regolarmente autorizzato e pagato dal Comune, il secondo neppure comunicato all’Amministrazione.

La Società subappaltatrice, non avendo ricevuto il pagamento delle prestazioni eseguite in forza del secondo contratto, si è rivolta alla giustizia arbitrale.

L’Impresa sub-committente si è opposta alla richiesta di pagamento, sostenendo che il contratto stipulato sarebbe contrario all’ordine pubblico a causa della violazione del divieto, di cui all’art. 21 della legge n. 646/82, del subappalto non autorizzato di opera pubblica.

Il Collegio Arbitrale ha respinto tale tesi, osservando che le finalità, perseguite dal citato art. 21 della legge n. 646/82, di tutela della collettività dalle infiltrazioni della criminalità organizzata nelle opere pubbliche messe in atto attraverso il sistema dei subappalti, sarebbero comunque assicurate dall’autorizzazione parziale, che ha consentito al Comune committente di verificare i requisiti soggettivi del subappaltatore.

Secondo gli Arbitri, invero, il Comune, nel fornire l’autorizzazione relativa al primo subappalto, ha svolto, in merito all’affidabilità del subappaltatore, controlli che sarebbero sufficienti ad escludere il pericolo di infiltrazioni mafiose anche in relazione al secondo contratto, seppur non autorizzato.

A sostegno di questa argomentazione, il Collegio ha richiamato una pronuncia della Cassazione penale, secondo cui «non integra il reato previsto dall’art. 21 della legge 13 settembre 1982, n. 646 la condotta di chi, avendo in appalto opere riguardanti la P.A., concede le stesse in subappalto in misura superiore alla percentuale stabilita nell’atto autorizzativo, in quanto la disposizione mira non tanto a tutelare la mera regolarità nell’esecuzione dell’appalto, ma ad evitare che, attraverso il subappalto o il cottimo non autorizzati, i lavori vengano eseguiti da imprese che, per i loro legami con le organizzazioni criminali, non avrebbero potuto esserne aggiudicatarie» (Cass. Pen., n. 12821/13).

L’Impresa appellante ha contestato la decisione arbitrale, asserendo, al di là di un inconferente richiamo ad una decisione dell’ANAC e ad una disposizione del D. Lgs. n. 50/16, che l’irrilevanza penale della condotta del subappaltatore (ed anche del sub-committente) non implicherebbe la liceità civile del contratto stipulato.

La Corte di Appello di Bari non ha condiviso il ragionamento dell’appellante, facendo notare come l’impugnazione fosse fondata su di una fallace identificazione tra la pretesa nullità del subappalto nella parte non autorizzata dal Comune e la contrarietà all’ordine pubblico.

Infatti, come spiegato dai Giudici, non ogni violazione di legge implica una contrarietà all’ordine pubblico, ma solamente «quella che riguardi un valore fondante dell’ordinamento in un determinato momento storico, nella configurazione data dalla giurisprudenza costituzionale, ordinaria e sovranazionale» (cfr. Cass. Civ., S.U., n. 12193/19).

Per ciò che qui interessa, la lotta alle infiltrazioni criminali nell’economia e nella P.A., pur rappresentando un valore fondante del nostro ordinamento, non comporta che tutti i contratti in qualche modo difformi rispetto alle previsioni dell’art. 21 della legge n. 646/82 siano contrari all’ordine pubblico: una simile contrarietà può, invece, ravvisarsi soltanto quando il controllo della P.A. sia impedito o gravemente ostacolato.

Per questa ragione, dal momento che, nel caso in questione, i requisiti soggettivi del subappaltatore sono stati comunque verificati, non è possibile ravvisare alcuna contrarietà all’ordine pubblico, ma tutt’al più la mera violazione di una norma di diritto inidonea a costituire, ex art. 828, terzo comma, cod. proc. civ., un motivo di impugnazione del lodo arbitrale.

Inoltre, la Corte di Appello ha messo in dubbio anche che il contestato contratto di subappalto, relativo a modeste prestazioni strumentali o accessorie, sia nullo per violazione di legge.

A tal riguardo, i Giudici baresi hanno richiamato un ulteriore precedente giurisprudenziale che ha affermato che «l’art. 21 della legge 13 settembre 1982, n. 646, che vieta all’appaltatore di opere pubbliche di concederle in subappalto senza l’autorizzazione dell’autorità competente, si riferisce esclusivamente ai subappalti di opere o servizi e non ad ogni contratto genericamente derivato, sebbene concernente prestazioni strumentali o accessorie all’opera o al servizio cui l’appaltatore si è obbligato in proprio nei confronti del committente, atteso che una diversa interpretazione limiterebbe eccessivamente ed ingiustificatamente l’ambito applicativo del subappalto in contrasto con la normativa comunitaria che lo ritiene strumento idoneo a favorire la concorrenza» (Cass. Civ., n. 7752/15).

 

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