PROVVEDIMENTI CAUTELARI E UTILIZZO DEL MARCHIO: IL PERICULUM IN MORA DEVE ESSERE SEMPRE ACCERTATO NEL CASO CONCRETO
Il commento a cura dell’Avv. Ugo Altomare e della Dott.ssa Alessandra Pepe
Nell’ambito di un giudizio cautelare instaurato in seno ad una azione di merito tesa ad accertare in via definitiva la contraffazione tra due marchi e ad ottenere il relativo risarcimento, il Tribunale di Roma (XVII Sez. Civile – Impresa – Ordinanza del 15 luglio 2020) è intervenuto per dirimere una delle questioni più dibattute e forse significative in tema di provvedimenti cautelari e utilizzo del marchio.
Nel caso di specie la domanda cautelare proposta dal ricorrente era volta ad ottenere l’inibitoria e, quindi, il divieto di utilizzo di tutti segni identici o confondibili con il marchio della ricorrente e la pubblicazione del dispositivo sui principali quotidiani.
Esaminando il fumus boni iuris della richiesta, il Tribunale esaminava la confondibilità tra i segni contestati e i marchi azionati dalla ricorrente stabilendo, in primo luogo, che il marchio della ricorrente fosse un marchio d’insieme c.d. “debole”, e quindi caratterizzato da esigua capacità distintiva poiché costituito dall’unione di parole di uso comune che, in quanto tali e per la loro diffusione, non potevano essere oggetto di esclusiva.
Sul punto il Giudice adito non ha mancato di sottolineare che, nel caso di marchi deboli, anche lievi modificazioni o aggiunte sono sufficienti ad escluderne la confondibilità.
Di conseguenza “la debolezza” del marchio finisce per riflettersi sull’intensità della tutela ad esso accordata che viene ad essere limitata alle esclusive ipotesi di esatta riproduzione non autorizzata del marchio.
Nel caso preso in esame, quand’anche il marchio oggetto di controversia sia stato ritenuto caratterizzato da incontestabile notorietà è stata comunque esclusa l’acquisizione in capo allo stesso di maggiore forza distintiva non rilevando, in tal senso, la circostanza che la ricorrente avesse addotto di aver sostenuto ingenti investimenti pubblicitari.
Il provvedimento in commento risulta di sicuro interesse nella misura in cui la Sezione prende posizione sulla valutazione e sussistenza del periculum in mora che, prima di tale arresto, la giurisprudenza aveva sovente ritenuto potesse rintracciarsi in re ipsa nei casi di contraffazione dei titoli di proprietà industriale.
Con una significativa inversione di tendenza rispetto al previgente orientamento, che ha il pregio di ricondurre la valutazione nell’alveo delle prescrizioni dettate dal legislatore in tema di provvedimenti cautelari, l’ordinanza in esame chiarisce che il requisito del periculum in mora deve essere sempre accertato nel caso concreto e va escluso ogni qualvolta sia trascorso un notevole lasso di tempo tra l’evento lesivo e l’esercizio dell’azione cautelare, in quanto situazione incompatibile con la caratteristica dell’irreparabilità del pregiudizio che giustificherebbe l’adozione di misure urgenti.
Non può infatti essere adottata «la formula tralatizia secondo la quale in tali casi il pericolo è in re ipsa ed è sufficiente accertare l’attualità della condotta illecita denunciata o il pericolo che la stessa possa essere posta in essere in futuro».
Piuttosto, risulta decisivo, ai fini della valutazione della sussistenza del periculum in mora relativamente alle condotte illecite ascritte al resistente dal ricorrente, il notevole lasso temporale intercorso tra l’avvenuta conoscenza delle stesse e l’instaurazione del procedimento d’urgenza, che priva il pericolo paventato dei requisiti dell’irreparabilità, gravità, attualità ed imminenza, nei termini in cui tali requisiti sono richiesti per l’adozione delle misure cautelari ed urgenti.