STIPULAZIONE DEL CONTRATTO DI APPALTO PER FACTA CONCLUDENTIA
Il commento a cura degli Avv. Emilia Piselli e Fabrizio Vomero
È possibile stipulare un contratto di appalto prescindendo dalla sottoscrizione da parte di entrambi i contraenti di un contratto formale?
E, se la risposta è positiva, entro quali limiti?
Di tali questioni si è occupata la recentissima ordinanza della Suprema Corte n. 5438 del 26 febbraio 2021.
La vicenda scrutinata concerneva l’affidamento, da parte di una società immobiliare, dei lavori di realizzazione di fabbricati da destinare a foresteria per i lavoratori, per un corrispettivo di € 725.000.
Secondo la committente il rapporto contrattuale si sarebbe costituito per facta concludentia: da un lato, la committente avrebbe redatto e sottoscritto il testo contrattuale, dall’altro, l’appaltatore, ricevuto il documento, avrebbe comunicato la propria accettazione per il tramite di un agente. Successivamente, il medesimo appaltatore avrebbe dato inizio all’esecuzione delle prestazioni contrattuali curando la progettazione dell’opera e attivandosi per il rilascio della concessione edilizia. Tuttavia, l’adempimento delle prestazioni sarebbe stato in seguito interrotto, tanto da indurre la committente a rivolgersi al Tribunale al fine di avvalersi della clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto e di ottenere il risarcimento dei danni subiti.
La domanda della società immobiliare è stata rigettata in primo grado ed accolta dalla Corte di Appello di Venezia, la quale ha accertato l’intervenuta conclusione del contratto di appalto e la risoluzione dello stesso ai sensi dell’art. 1456 cod. civ., a norma del quale «i contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite. In questo caso, la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola risolutiva». Inoltre, il Collegio di secondo grado ha riconosciuto alla committente un risarcimento di circa € 40.000 per i danni sofferti a causa del ritardo nell’ottenere la disponibilità del complesso immobiliare oggetto del negozio.
La sentenza d’appello è stata impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione da parte dell’appaltatore sulla base di diversi motivi di diritto.
In particolare, e tra l’altro, il ricorrente ha dedotto che la Corte d’Appello avrebbe mal valutato gli elementi probatori acquisiti in istruttoria, dando credito alle dichiarazioni dell’agente e, invece, trascurando la testimonianza di un dipendente dell’appaltatore che aveva riferito che un dirigente della medesima impresa gli avrebbe detto di non aver intenzione di sottoscrivere il contratto. Di conseguenza, la Corte avrebbe erroneamente ritenuto che il contratto si fosse perfezionato pur in assenza della sottoscrizione del testo predisposto dalla committente, mentre, in realtà, avrebbe dovuto ricondurre la fattispecie nell’ambito della responsabilità precontrattuale. Per la stessa ragione, la sentenza di appello sarebbe meritevole di riforma per il fatto di aver dato applicazione a clausole non sottoscritte dall’appaltatore.
I Giudici di legittimità hanno respinto tutti i motivi di impugnazione, affermando, in primo luogo, che, al di là del fatto che, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., il cattivo apprezzamento delle prove può assumere rilevanza nel giudizio di cassazione solo qualora configuri l’ “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, il contratto di appalto non è soggetto a rigore di forme.
Non essendo richiesta né ad substantiam[1], né ad probationem[2] la forma scritta, è, dunque, ben possibile che il contratto di appalto possa essere stipulato per facta concludentia, ovvero attraverso comportamenti che, alla luce delle circostanze cui si accompagnano, lasciano inequivocabilmente intendere l’esistenza di un’implicita volontà negoziale.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, le circostanze indicative della volontà dell’appaltatore di accettare la proposta contrattuale della società committente erano costituite dall’avvio dell’esecuzione delle prestazioni (redazione del progetto, richiesta delle autorizzazioni edilizie).
Coerentemente, una volta accertata la stipulazione del contratto, l’accettazione per facta concludentia deve essere riferita al testo contrattuale come predisposto dal proponente, con l’eccezione di eventuali clausole per le quali sia prevista la pattuizione per iscritto.
È questa l’ipotesi della clausola compromissoria o delle clausole vessatorie, per le quali non è ammessa la stipulazione tacita.
Al contrario, non essendo previste regole particolari per la clausola risolutiva espressa o per il termine essenziale di consegna dell’opera finita, la sentenza della Corte d’Appello di Venezia ha correttamente accertato l’intervenuta risoluzione di diritto del contratto di appalto e liquidato il risarcimento dei danni subiti dalla committente.
Per completezza espositiva, si precisa che quanto sinora detto a proposito della forma libera dell’appalto non è valido anche con riferimento ai pubblici contratti.
Infatti, ai sensi del comma 14 dell’art. 32 del D. Lgs. n. 50/2016 (Nuovo Codice dei Contratti Pubblici)[3], «il contratto è stipulato, a pena di nullità, con atto pubblico notarile informatico, ovvero, in modalità elettronica secondo le norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, in forma pubblica amministrativa a cura dell’Ufficiale rogante della stazione appaltante o mediante scrittura privata; in caso di procedura negoziata ovvero per gli affidamenti di importo non superiore a 40.000 euro mediante corrispondenza secondo l’uso del commercio consistente in un apposito scambio di lettere, anche tramite posta elettronica certificata o strumenti analoghi negli altri Stati membri».
Deve, dunque, escludersi che un contratto di appalto pubblico possa essere stipulato per facta concludentia.
[1] La forma scritta è detta ad substantiam quando è richiesta dal legislatore per la validità del contratto.
[2] La forma scritta è detta ad probationem quando non è necessaria perché il contratto sia valido, ma il soggetto che intenda valersene in giudizio può provarne l’esistenza esclusivamente mediante documenti scritti. È questo il caso di contratti come la transazione o l’assicurazione.
[3] Si veda anche il parzialmente analogo comma 13 dell’art. 11 del previgente D. Lgs. n. 163/2006.