APPALTI PUBBLICI E RISERVE: LA CORTE COSTITUZIONALE SI PRONUNCIA SUL LIMITE DEL 20% ALLA FACOLTÀ DELL’APPALTATORE DI ISCRIVERE RISERVE
Il commento a cura dell’Avv. Stefano De Marinis e della Dott.ssa Alessandra Pepe
Con la sentenza n. 109 del 2021, il Giudice delle leggi ha dichiarato l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 41 e 97 Cost., dell’art. 240-bis, comma 1, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, nella parte in cui prevede(va) che l’importo complessivo delle riserve non possa in ogni caso essere superiore al venti per cento dell’importo contrattuale.
Ancorché riferita a previsioni contenute nel vecchio Codice dei contratti pubblici (c.d. Codice de Lise), la questione trattata appare di interesse sia per il protrarsi a tutt’oggi, in alcuni casi, di vicende disciplinate dalla normativa previgente, sia per i riflessi di carattere generale che possono derivare dalle affermazioni della Corte.
La questione, sollevata dal Tribunale di Lecco con ordinanza del 13 maggio 2019, muoveva dalla considerazione che l’unica interpretazione dell’art. 240-bis, comma 1, del d.lgs 163/06, conforme alla sua lettera ed alle intenzioni del legislatore, «sembra(va) essere quella che attribuisce all’appaltatore la legittimazione ad iscrivere riserve solo fino alla concorrenza di un quinto dell’importo contrattuale» e non quella che riferisce tale soglia all’importo complessivo che in concreto può essere all’appaltatore stesso riconosciuto.
Argomentava sul punto il Giudice rimettente che «anche in un’ottica di bilanciamento tra principi costituzionali, le esigenze di contenimento della spesa pubblica non possono giustificare la creazione di una posizione di così smaccato privilegio per la stazione appaltante, alla quale viene consentito di liberarsi dalle proprie responsabilità non solo in caso di eventi sopravvenuti imprevedibili, ma anche in caso di possibili condotte illegittime o inadempienti, tutte indistintamente ricondotte alla categoria del rischio di impresa di cui l’appaltatore dovrebbe farsi carico»
Con la sentenza qui in commento, la Consulta ha respinto le questioni di legittimità costituzionale nel presupposto che la normativa in parola va interpretata in modo riduttivo e coordinato con l’ampia gamma di rimedi contrattuali che risultano impermeabili al limite legale ivi indicato, lettura che, quindi, non determinerebbe alcuna violazione degli artt. 3, 24, 41 e 97 Cost.
Nell’esprimersi sulla questione, la Corte ha anzitutto evidenziato come il Codice dei contratti pubblici approvato nel 2016, non applicabile ratione temporis alla fattispecie oggetto del giudizio, abbia correttamente posto un limite (il quindici per cento dell’importo contrattuale) alla possibilità di definire le riserve tramite accordo bonario (art. 205, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016), non già dunque alla possibilità di iscriverne.
Ciò posto, nella misura in cui la soglia stabilita dall’art. 240-bis, c. 1, poteva tradursi in un esonero dalla responsabilità del committente, si impone una interpretazione costituzionalmente conforme di tale previsione. In tal senso, non potendo l’esonero legale estendersi, nel rispetto dei principi costituzionali, all’inadempimento doloso o gravemente colposo, la relativa azione nei confronti della stazione appaltante, pur soggetta all’onere dell’iscrizione di riserva (ex multis, Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenze 5 agosto 2016, n. 16537; 28 gennaio 2015, n. 1619; 14 febbraio 2014, n. 3548), non deve, comunque, risentire del limite legale posto alla riconoscibilità delle pretese annotate.
In particolare, secondo il Giudice delle leggi, entro la soglia del venti per cento dell’importo contrattuale qualunque pretesa dell’appaltatore può essere riconosciuta, in via bonaria o previo accertamento giudiziale. Oltre tale limite legale è, viceversa, certamente inibito accedere all’accordo bonario, ma non risultano precluse azioni giudiziarie, venendo piuttosto lievemente potenziato il rischio contrattuale. Infatti, per orientamento costante del diritto vivente, sono indifferenti all’istituto dell’iscrizione di riserve e, dunque, sono sempre ammissibili, le azioni risolutorie e quelle ad esse correlate, a partire dal risarcimento del danno di cui all’art. 1453 cod. civ. Inoltre, secondo la Consulta, l’azione di risarcimento del danno per inadempimento doloso o gravemente colposo della stazione appaltante, non risentirebbe del limite legale posto dal censurato art. 240-bis, comma 1, sempre che la relativa pretesa sia stata iscritta a riserva. Per tutte le altre riserve che eccedono invece la soglia, la norma censurata implicherebbe una ridefinizione del rischio oggettivo del contratto, con un suo lieve incremento, nonché un limitato esonero dalla responsabilità del committente, reso tuttavia conforme, in via ermeneutica, ai principi costituzionali.
Il lieve incremento del rischio contrattuale non determinerebbe, dunque, un irragionevole contrasto con il combinato disposto degli artt. 3 e 41 Cost. La garanzia, che quest’ultima norma riconosce alla libera iniziativa privata e, indirettamente, all’autonomia contrattuale, non viene, infatti, intaccata nella sua sostanza, e le menzionate libertà subiscono solo una minima compressione, non irragionevole, nel bilanciamento con gli interessi preservati dall’art. 240-bis cod. contratti pubblici.
Quanto all’art. 97 Cost., la Corte conclude nell’affermare che il rischio di deresponsabilizzazione della P.A. si dilegui non appena si consideri proprio la persistente responsabilità della stazione appaltante in caso di inadempimento di non lieve entità e comunque in ipotesi di dolo o colpa grave.
Da tutto ciò discende che la norma censurata ha introdotto una limitazione giustificata e congrua alla possibilità per l’appaltatore di far valere le proprie ragioni poiché, da un lato, l’articolo 240-bis, del vecchio codice sarebbe finalizzato ad evitare modifiche sostanziali del contratto e a contenere la spesa pubblica; dall’altro, l’operatore economico, conscio della disciplina normativa alla quale si sta assoggettando, non si troverebbe privo di autonoma determinazione e di tutela: all’insorgenza di sopravvenienze tali da rendere eccessivamente squilibrato il sinallagma contrattuale o al verificarsi di inadempimenti di non scarsa importanza della controparte potrebbe, difatti, avvalersi degli ordinari rimedi contrattuali.
Salvata in questo modo la legittimità costituzionale delle limitazioni all’utilizzo dell’accordo bonario contenute nella previgente disciplina restano da valutare, anche alla luce degli enunciati principi, quelle comunque presenti anche nella formulazione dell’attuale articolo 205 del Codice dei contratti (d.lgs. 50/2016); ciò fermo restando il rapporto con lo strumento del Collegio Consultivo Tecnico, ridisegnato dal d.l. Semplificazioni 2020 e confermato dal d.l. 77/2021, che sembra destinato a prevalere. Il tutto sarà indubbiamente materia da considerare per gli estensori della nuova legge delega destinata, secondo le indicazioni del PNRR, ad indirizzare la riscrittura del Codice dei contratti pubblici in un’ottica di stretta aderenza rispetto alla corrispondente disciplina comunitaria.