BITCOIN, ORO DIGITALE E ABUSIVISMO FINANZIARIO. BREVE NOTA A CASSAZIONE PENALE, SEZIONE II, 10 NOVEMBRE 2021 N. 44337
Con la sentenza in commento la Cassazione torna a ribadire che l’offerta di Bitcoin al pubblico, reclamizzata facendo riferimento ad esso come “oro digitale”, può costituire una attività di investimento riservata ai soli soggetti autorizzati e soggetta agli obblighi del TUF.
Nel caso di specie l’imputato ricorreva per cassazione avverso l’ordinanza reiettiva del riesame, contestando l’assenza del fumus del reato di abusivismo finanziario ex art. art. 166, comma 1, lett. c), TUF, poiché la mera associazione di Bitcoin all’”oro digitale” non è di per sé sufficiente a ritenere applicabile il concetto normativo di investimento di natura finanziaria.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, richiamando la propria giurisprudenza, secondo cui in tema di intermediazione finanziaria, la vendita on line di moneta virtuale pubblicizzata quale forma di investimento per i risparmiatori – ai quali vengano offerte informazioni sulla redditività dell’iniziativa – è attività soggetta agli adempimenti previsti dalla normativa in materia di strumenti finanziari, di cui agli artt. 91 ss. TUF, la cui omissione integra il reato di cui all’art. 166, comma 1, lett. c), TUF.
Invero, come già chiarito da una precedente sentenza (Cass. Pen., Sezione II, 17 settembre 2020 n. 26807), qualora la vendita di valute virtuali venga reclamizzata come una vera e propria proposta di investimento con informazioni idonee a mettere i risparmiatori in grado di valutare i profili di rischio dell’investimento, essa si sostanzia in un’attività soggetta agli adempimenti e alle autorizzazioni previsti dal Testo unico dell’intermediazione finanziaria, con conseguente responsabilità penale ai sensi dell’art. 166 TUF in caso di abusivo esercizio.
Nell’argomentare a favore della rilevanza finanziaria di Bitcoin, la Corte richiama la definizione di “valuta virtuale” contenuta nel D. Lgs. n. 231 del 2007 (come modificato dal D.Lgs. n. 4 ottobre 2019, n. 125, “la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”) che contiene oggi un espresso riferimento alla “finalità di investimento”, seppur circoscritto al sistema di prevenzione del riciclaggio.
Il richiamo a tale definizione potrebbe, tuttavia, apparire critico, soprattutto a fronte degli indici di finanziarietà elaborati in sede civile con riguardo alla natura di prodotto finanziario (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 5 febbraio 2013, n. 2736). A ben vedere, infatti, secondo i precedenti del Giudice di legittimità civile, gli investimenti di natura finanziaria ricompresi nella categoria dei prodotti finanziari sono le proposte di investimento che implichino la compresenza dei seguenti elementi: (i) impiego di capitale; (ii) promessa o aspettativa di rendimento di natura finanziaria, intendendosi per tale l’accrescimento della disponibilità investita, senza l’apporto di prestazioni da parte dell’investitore; (iii) assunzione di un rischio direttamente connesso e correlato all’impiego di capitale; (iv) prevalenza del connotato finanziario rispetto a quello di godere e disporre del bene acquisito con l’operazione; (v) effettiva e predeterminata promessa, all’atto dell’instaurazione del rapporto contrattuale, di un rendimento collegato alla res.
Per quanto, dunque, l’assimilazione dei valori virtuali ai prodotti finanziari possa ritenersi appropriata, esiste un margine di discrezionalità nella valutazione dei requisiti propri di questi ultimi che difficilmente potrebbe essere eliminato; risulta, infatti, tutt’altro che agevole ed automatico l’apprezzamento, ad esempio, dei casi in cui un acquisto di valute virtuali per finalità speculative sia prevalente rispetto alle ulteriori utilità materiali (e non aventi finalità speculativa) che da esse sia possibile trarre.
Dinanzi a tali orientamenti giurisprudenziali, pertanto, si auspica che il legislatore – anche dietro la spinta del formante comunitario (si veda a tal riguardo la presentazione della proposta di Regolamento sui Mercati in cripto-asset) – possa disciplinare la materia nel segno di una maggiore certezza del diritto.