Effetti della risoluzione del contratto di appalto
Effetti della risoluzione del contratto di appalto
A cura degli Avv, Emilia Piselli, Fabrizio Vomero
La Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza n. 8765 del 3 aprile 2024, si è nuovamente soffermata sulla natura del contratto di appalto e sulle implicazioni che ne derivano con riferimento agli effetti della risoluzione contrattuale sulle prestazioni comunque effettuate.
Nel caso scrutinato, un’Azienda Sanitaria aveva affidato ad un’impresa l’esecuzione di lavori di ristrutturazione.
Le lavorazioni erano state sospese due volte, per “indisponibilità dei luoghi” e per la sottoscrizione di un atto di sottomissione relativo ad una perizia di variante.
In conseguenza di ciò, l’appaltatore aveva convenuto in giudizio la committente, chiedendo, oltre al risarcimento del danno, la risoluzione del contratto per inadempimento della stazione appaltante, responsabile di avere adottato due sospensioni illegittime.
Il Tribunale di Roma aveva accolto le richieste dell’attore, rilevando come entrambe le sospensioni dei lavori disposte dall’amministrazione fossero illegittime, giacché l’appaltatore, pur avendo provveduto «ad installare il cantiere e ad organizzare la relativa struttura per dar corso i lavori alla data della consegna», non era stato messo in condizioni di eseguire le proprie prestazioni.
La decisione di primo grado era stata impugnata dall’Azienda Sanitaria dinanzi alla Corte di Appello di Roma, la quale, in parziale accoglimento delle domande dell’appellante, aveva ridotto l’ammontare del risarcimento concesso all’impresa, evidenziando che i danni per illegittima sospensione dei lavori potevano essere riconosciuti esclusivamente nell’ipotesi in cui l’opera fosse stata completata, e non in caso di intervenuta risoluzione del contratto.
E ciò poiché, a seguito della risoluzione contrattuale, il titolo giustificativo delle rispettive attribuzioni patrimoniali viene meno e, pertanto, il risarcimento del danno patito non può essere liquidato come se il rapporto fosse proseguito regolarmente.
In sostanza, risultava impossibile applicare l’art. 25 del D.M. n. 145 del 2000 (norma in linea teorica applicabile ratione temporis), che indicava dei criteri di calcolo forfettari, e l’appaltatore doveva provare concretamente l’entità del danno.
La sentenza della Corte d’Appello è stata impugnata, sulla scorta di vari motivi di diritto, dinanzi alla Suprema Corte.
In particolare e tra l’altro, l’appaltatore ha contestato l’erroneità della pronuncia di secondo grado per il fatto di non aver applicato al contratto d’appalto de quo l’art. 1458 cod. civ., a norma del quale la risoluzione non ha effetto retroattivo nel caso «di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo i quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite».
La Suprema Corte ha rigettato le impugnazioni proposte, sottolineando, in primo luogo, che costituisce un principio consolidato che il contratto di appalto non sia ad efficacia istantanea e neppure a prestazioni continuative o periodiche, ma configuri un contratto ad esecuzione “prolungata” (cfr. Cass., 9 febbraio 2022, n. 4225), con conseguente efficacia retroattiva della risoluzione.
L’efficacia “prolungata” del contratto fa sì che l’effetto restitutorio operi a pieno regime a carico di ciascun contraente ed indipendentemente dalle inadempienze a lui eventualmente imputabili (cfr. Cass., 17 luglio 2023, n. 20460). Qualora non sia possibile operare la restituzione in forma specifica, il giudice deve necessariamente ordinare la restituzione per equivalente.
In altri termini, la sentenza che pronuncia la risoluzione del contratto per inadempimento ha un effetto liberatorio ex nunc rispetto alle prestazioni ancora da eseguire, ed un effetto recuperatorio ex tunc rispetto a quelle già eseguite (cfr. Cass., 3 ottobre 2018, n. 27640).
In tal senso, vengono meno tutti gli effetti del contratto e tutti i diritti che ne sarebbero derivati. L’obbligazione restitutoria, perciò, non ha natura risarcitoria, ma è il mero effetto della pronuncia costitutiva di risoluzione che ha determinato la caducazione della causa delle reciproche obbligazioni.
Per ciò che concerne specificamente il contratto di appalto, quando il negozio sia risolto per inadempimento del committente e non sia possibile la restituzione in natura all’impresa appaltatrice delle opere parzialmente realizzate, l’obbligo restitutorio deve essere determinato con riferimento alla data della sentenza e in relazione all’ammontare del corrispettivo originariamente pattuito (cfr. Cass., 24 maggio 2007, n. 12162).
La situazione è differente nel caso di appalti di servizi aventi ad oggetto attività di manutenzione periodica che, per le loro intrinseche caratteristiche, pregiudicano la ripetibilità delle prestazioni già svolte (cfr. Cass., 9 febbraio 2022, n. 4225).
Quanto esposto in via generale vale anche per i casi di scioglimento dell’appalto pubblico (cfr. Cass., 12 luglio 2022, n. 22065): a seguito della risoluzione giudiziale, giacché il vincolo negoziale non esiste più (cfr. Cass., 20 febbraio 2015, n. 3455), non ha più rilevanza la legittimità delle sospensioni e neppure la tempestività, fondatezza ed entità delle riserve.
Parimenti, non sono più applicabili le disposizioni in tema di sospensione dei lavori, come gli artt. 24 e 25 del D.M. n. 145 del 2000.
Tali norme, invero, trovano applicazione soltanto nel caso in cui l’appalto sia stato ultimato ed eseguito, ma non nell’ipotesi di risoluzione del contratto (cfr. Cass., 22 dicembre 2011, n. 28429).
Tanto le riserve quanto la sospensione, insomma, presuppongono un contratto di appalto valido ed efficace, in mancanza del quale l’appaltatore che richieda un risarcimento deve fornire la prova dell’esistenza e della quantità delle “spese generali del cantiere”, proprio come ritenuto dalla Corte d’Appello di Roma.
Tuttavia, la sentenza impugnata deve essere corretta «nel punto in cui la Corte territoriale ha affermato che “nella specie, non essendo stato possibile per l’appaltatore iscrivere alcuna riserva, occorre aver riferimento alle prove del danno risultanti dagli atti del giudizio”, in quanto, in realtà, una volta risolto giudizialmente il contratto, non sussisteva più alcun vincolo negoziale tra le parti, ma solo obblighi restitutori, perdendo efficacia anche le eventuali riserve iscritte dall’appaltatore per contestazioni sopraggiunte nell’esecuzione dei lavori».