LA CONSULTA “SALVA” LA COMPENSAZIONE URBANISTICA INTRODOTTA DAL DECRETO “SBLOCCA ITALIA”
Con la sentenza n. 67 del 5 aprile 2016 la Corte Costituzionale ha definito il giudizio di legittimità costituzionale promosso dalla Regione Puglia relativo all’art. 17, comma 1, lettera b), del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (“Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione di opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive”), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 novembre 2014, n. 164.
La norma in contestazione aveva introdotto nel Testo Unico dell’edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) l’art. 3-bis, per cui “Lo strumento urbanistico individua gli edifici esistenti non più compatibili con gli indirizzi della pianificazione. In tal caso l’amministrazione comunale può favorire, in alternativa all’espropriazione, la riqualificazione delle aree attraverso forme di compensazione incidenti sull’area interessata e senza aumento della superficie coperta, rispondenti al pubblico interesse e comunque rispettose dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa. Nelle more dell’attuazione del piano, resta salva la facoltà del proprietario di eseguire tutti gli interventi conservativi, ad eccezione della demolizione e successiva ricostruzione non giustificata da obiettive ed improrogabili ragioni di ordine statico od igienico sanitario”
La Regione Puglia ha contestato la legittimità dell’ultimo periodo della norma in oggetto per contrasto con l’art. 117, comma 3, della Costituzione, relativo alla potestà legislativa concorrente Stato-Regioni in materia del “governo del territorio”, ritenendo che la disposizione, stante il livello di dettaglio della stessa, avrebbe introdotto di fatto una disciplina “autoapplicativa ed autosufficiente” tale da precludere l’esercizio della potestà normativa demandata al legislatore regionale.
Secondo la Regione ricorrente, inoltre, la norma determinerebbe anche la violazione dell’art. 118, commi 1 e 2, della Costituzione, in quanto agli enti comunali verrebbero sottratte le funzioni amministrative in tema di titoli abilitativi in materia edilizia.
La Consulta ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata ritenendo che l’art. 3-bis del Testo Unico dell’edilizia sia invero una previsione “chiaramente configurabile in termini “di principio”, in quanto la stessa si pone nella “prospettiva coltivata dalla disposizione nel suo complesso … di evitare che, relativamente alle attività di risanamento urbanistico su tutto il territorio della Repubblica, possano determinarsi disparità di disciplina che, qua e là, vanifichino gli scopi perseguiti dallo Stato nell’interesse dell’intera comunità nazionale”, proponendosi inoltre “di evitare che l’eventuale inerzia delle amministrazioni locali, relativamente alla attuazione di «interventi di conservazione» del patrimonio edilizio esistente, impedisca comunque agli stessi proprietari degli immobili di esercitare – entro, com’è ovvio, i previsti limiti e, comunque, nell’osservanza dei diversi obblighi “pubblicistici” – scelte o facoltà direttamente connesse al proprio diritto dominicale”.