ANCHE L’ITALIA E’ PRONTA PER GLI ART FUND
Articolo pubblicato su Patrimoni – Milano Finanza – Luglio/Agosto 2016
Spiega Silvia Segnalini, art lawyer del nostro Studio: “All’indomani del completo recepimento della direttiva Aifmd, la cosiddetta direttiva alternative, il quadro normativo per gli art fund anche nel nostro ordinamento è sostanzialmente maturo.”
“Il modello è quello del Fondo di investimento alternativo (Fia) di tipo chiuso, in quanto facilmente si supera la soglia del 20% di investimenti in beni o attività con un minor grado di liquidità, meglio ancora se riservato, dato che in questo caso è possibile la costituzione anche mediante apporto di opere. Ma ovviamente nulla vieta di configurare un Fia italiano chiuso di tipo non riservato.
«In Italia abbiamo avuto il caso del fondo Pinacotheca, che di fatto non è mai partito, e quello cli Gestiarte, che chiuse prima del tempo, con un rendimento di nemmeno il 5%», ricorda la Segnalini. «A ottobre 2015 si è poi aggiunto l’Athena Art Finance, lanciato a New York con una dotazione di 280 milioni di dollari e la missione di concentrarsi sui prestiti che hanno come garanzie esclusivamente opere d’arte».
La direttiva Aifmd prevede che la Sgr che gestisce un fondo alternativo si debba dotare di un documento di policy con la mappatura dei possibili conflitti di interesse e la normativa italiana aggiunge poi (obbligatoriamente nei fondi immobiliari, che tuttavia con quelli di arte hanno indubbie analogie, a partire da un protratto orizzonte temporale di investimento) la presenza di esperti indipendenti. Conflitti di interesse da cui ci si cautela, per esempio guardando ai protocolli di autonomia di Assogestioni, con un comitato investimenti, esperti indipendenti e un cda con amministratori indipendenti. A questo punto, il passo successivo per una diffusione degli art fund anche in Italia, sarebbe quello cli studiare un modello di business sostenibile, in cui l’arte entri nel portafoglio come asset class alternativo. «La domanda di fondi di arte esiste già, soprattutto presso la clientela più abbiente, e gli indici di settore ci dicono come il rendimento dell’arte sia paragonabile a quello dell’equity, ma con una volatilità inferiore», continua l’art lawyer. «Occorre trovare un punto di equilibrio tra rendimento, rischio e orizzonte temporale, tenendo in considerazione costi di intermediazione più alti della media e la necessità di figure altamente specializzate oltre che indipendenti. Le possibilità sono varie e spaziano dalla collezione molto diversificata al venture capital dell’arte oppure al private equity dell’arte per la gestione di scuderie di artisti o la valorizzazione di patrimoni culturali». Certo, il mercato degli art fund, nel suo complesso, sta perdendo valore: la ricerca Art & Finance Report 2016 di Deloitte e Art Tactic calcola masse in gestione per 1,2 miliardi di dollari nel 2015, in leggero calo rispetto agli 1,26 miliardi dell’anno precedente e quasi la metà rispetto al 2012 (2,13 miliardi): colpa principalmente dei fondi di investimento e dei fondi di arte in Cina, passati da 1,48 miliardi del 2012 a 0,65 circa del 2015, anche a seguito di nuove e più rigide regolamentazioni imposte da Pechino. In Europa e Usa, invece, al 2015 il comparto valeva circa 558 milioni di dollari (per 1’80% circa fondi europei), un dato in leggera crescita rispetto ai due anni precedenti, anche se va notato come The Fine Art Fund Group, con sede a Londra e unico gestore di art fund con un track record convincente, da solo raccolga 350 milioni di dollari, vale a dire circa il 63% del totale.