LA COMPETENZA ESCLUSIVA DELL’AIFA NELLA VALUTAZIONE DEL FARMACO
Pubblicato sulla rivista Teme Settembre/Ottobre 2017 l’articolo “La competenza esclusiva dell’Aifa nella valutazione del farmaco” a cura dell’Avv. Pierluigi Piselli e della Dott.ssa Giorgia Matteucci.
La sanità risponde alle leggi di un mercato attorno al quale ruotano gli interessi di numerosi protagonisti: politica (Stato, Regioni, province autonome), aziende sanitarie pubbliche e private, manager, professionisti sanitari e cittadini, ma anche università, comunità scientifiche etc. che rendono il Servizio Sanitario Nazionale complesso, variabile e caratterizzato da asimmetrie informative.
In tale contesto, l’Agenzia Italiana del Farmaco (nel séguito, “AIFA”), ente istituito con lo scopo di uniformare il sistema sanitario, detiene in maniera esclusiva le funzioni relative al rilascio dell’autorizzazione, all’immissione in commercio dei medicinali, alla loro classificazione, alle relative indicazioni terapeutiche, ai criteri delle pertinenti prestazioni, alla determinazione dei prezzi, al regime di rimborsabilità e al monitoraggio del loro consumo.
Ciononostante, le Regioni stentano a riconoscere nell’AIFA un ente che rappresenti e soddisfi al meglio i loro interessi ed obiettivi; per tale ragione hanno adottato, in più occasioni, numerosi provvedimenti contrastanti con le valutazioni disposte da tale organo statale.
Tali provvedimenti hanno come oggetto le c.d. “raccomandazioni evidence-based” aventi come scopo quello di effettuare una considerazione a livello di raccomandabilità ed effettiva utilità di una determinata tipologia di farmaco. Da un punto di vista definitorio, difatti, sono raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche, al fine di aiutare medici e pazienti a decidere sulle modalità assistenziali più appropriate in specifiche situazioni cliniche.
La domanda che ci si pone è se tale valutazione regionale possa essere letta come mera indicazione volta ad una semplice portata “orientativa” o se invece possa incidere sull’erogazione da parte del Servizio Sanitario Nazionale e di conseguenza, violando anche le esclusive competenze statali in materia, sovrapporsi alla valutazione tecnica effettuata dall’AIFA circa l’appropriatezza, la prescrivibilità e la rimborsabilità dei farmaci.
In primo luogo vi è la considerazione per la quale la Regione necessariamente persegua uno scopo “economicista” con il fine del contenimento della spesa pubblica che, seppur condivisibile astrattamente, potrebbe comportare conseguenze negative sul piano pratico.
In secondo luogo, preme rilevare che le raccomandazioni in esame fissano obiettivi ben definiti che incidono necessariamente sul merito delle scelte dei medici prescrittori che subiscono, inevitabilmente, un forte condizionamento dalle stesse, tese ad indirizzarli nella scelta del farmaco ritenuto più appropriato, in termini di efficacia terapeutica, ma anche meno costoso, in termini di spesa sanitaria.
Ci si chiede, inoltre, se orientare medici e strutture sanitarie all’utilizzo di terapie alternative rispetto ai farmaci già adottati per determinate cure risponda esattamente alle esigenze e alle caratteristiche del paziente e se i principi attivi contenuti nei medicinali siano gli stessi o se almeno abbiano la stessa equivalenza terapeutica.
Per la risoluzione delle questioni sulla problematica in oggetto è bene, preliminarmente, rilevare che innumerevoli disposizioni legislative dedicate a regolare la materia (art. 1 D.L. 21 ottobre 1996, n. 536, art. 48 D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 6 e ss. Del D.lgs 24 aprile 2006, n. 219, di recepimento delle direttive 2001/83 CE e 2003/94/CE, e art. 10 del D.L. 13 settembre 2012, n. 158) affidano all’AIFA tutte le competenze relative alla valutazione del farmaco.
Tali competenze sono state ripetutamente qualificate come di spettanza esclusiva dell’AIFA, sia dalla giurisprudenza Costituzionale (Corte Cost., 29 maggio 2014, n. 151; 12 gennaio 2011, n. 8; 11 febbraio 2010, n. 44), sia da quella amministrativa (Cons. Stato, Sez. III,2 febbraio 2015, n. 490; Cons. Stato, Sez. III, 8 settembre 2014, n. 4538; Cons. Stato, Sez. V, 7 ottobre 2008, n. 4900), là dove hanno precisato che resta preclusa alle Regioni la previsione (sia in via legislativa, sia in via amministrativa) di un regime di utilizzabilità e di rimborsabilità contrastante ed incompatibile con quello stabilito in via generale dall’AIFA a livello nazionale.
Nonostante le lapidarie asserzioni giurisprudenziali, però, nel corso degli anni le Regioni hanno continuato ad agire autonomamente adottando provvedimenti contrastanti con le valutazioni nazionali e prima ancora sovranazionali (EMA European Medicines Agency).
Degni di nota i provvedimenti della Regione Veneto che, attraverso il decreto n. 119 del 12 maggio 2015, hanno approvato alcune raccomandazioni evidence based concernenti la prescrizione di farmaci oncologici innovativi. In particolare, con la deliberazione di G.R. n. 952 del 2013, è stata istituita una nuova commissione tecnica regionale farmaci (CTRF) con il compito di esprimere pareri e raccomandazioni su singoli farmaci o categorie terapeutiche, redigere linee guida farmacologiche e percorsi diagnostici-terapeutici, monitorare l’appropriatezza, la sicurezza e la spesa dei medicinali, sia in ambito ospedaliero che territoriale. Inoltre, il decreto n. 199 del 12 novembre 2014 del Direttore Generale Area Sanità e Sociale ha istituito un gruppo di lavoro sui farmaci innovativi nell’ambito del Coordinamento della rete oncologica Veneta (CROV), con il compito di elaborare raccomandazioni evidence-based sui nuovi farmaci oncologici, da sottoporre alla valutazione finale della CTFR.
Il decreto sopra citato, oltre ad approvare delle raccomandazioni su determinati farmaci catalogati dalle stesse come “moderatamente raccomandato” e “non raccomandato”, ha incaricato le Direzioni Sanitarie di monitorarne, con una cadenza semestrale, la relativa applicazione.
Tali provvedimenti, sulla base della loro presunta lesività, sono stati impugnati in primo grado. Ebbene, il T.A.R. Veneto, con la sentenza n. 1150 del 6 Novembre 2015 ha respinto il ricorso sull’assunto per cui le raccomandazioni impugnate, nella misura in cui considerano come sconsigliabile o non raccomandato un determinato farmaco, non potrebbero essere lette se non come mere indicazioni volte a consentire la qualificazione ex ante della spesa “attesa” per la cura di una patologia, non vincolando, da un lato, il curante né, dall’altro, legittimando valutazioni provvedimentali nei confronti dei dirigenti delle strutture ove operino i medici che tali farmaci abbiano prescritto.
Adito il Consiglio di Stato per la riforma della su citata sentenza, il 29 settembre 2017, con sentenza n. 4546/2017 del 29 settembre 2017, è stato accolto l’appello per una serie di ragioni.
Innanzitutto, è evidente la violazione delle esclusive competenze statali in materia alla quale si collega anche il tema della carenza di istruttoria, visto il mancato coinvolgimento dell’AIFA.
Difatti, non vi è stata una previa e necessaria interlocuzione con l’ente statale nell’istruttoria procedimentale che ha preceduto l’adozione del decreto n. 119 del 2015 e sono mancate, altresì, le relative pertinenti determinazioni basate sull’equivalenza terapeutica tra medicinali contenenti differenti principi attivi.
A tal riguardo, non possono sopperire a ciò le valutazioni di qualificati esperti del settore che hanno proceduto ad una valutazione dei farmaci tramite una rigorosa metodologia scientifica riconosciuta e praticata a livello internazionale (il c.d. GRADE Grading of raccomandations Assessment, Development and Evaluation) di cui si sono avvalse le Regioni.
Inoltre, l’illegittimità dei provvedimenti regionali appare evidente anche sotto un ulteriore profilo.
La regione Veneto, del tutto autonomamente, si è arrogata il potere di stabilire, in senso riduttivo, i presupposti e i criteri di erogazione di un medicinale, derivandone, inevitabilmente, un vulnus ai LEA (livelli essenziali di assistenza).
Appare condivisibile, infatti, l’assunto secondo cui i livelli essenziali devono necessariamente restare uniformi sul territorio nazionale per l’essenziale garanzia del diritto alla salute (art. 32 e art. 117 lettera m Costituzione), tanto per evitare ingiustificate disparità di trattamento terapeutico tra pazienti residenti nelle diverse regioni quanto per non influenzare, attraverso differenti scelte ispirate al mero contenimento della spesa sanitaria regionale, le scelte del medico nella prescrizione di un determinato farmaco.
A tal proposito, si rileva che il medico sarebbe necessariamente condizionato dalle “raccomandazioni” delle regioni, tanto più ove si consideri il monitoraggio semestrale previsto dalle stesse. Un simile monitoraggio, infatti, mira ad accertare che i medici non superino le percentuali di utilizzo assegnate dalla Regione senza, tuttavia, tener conto delle valutazioni cliniche e professionali del medico ed anche delle effettive esigenze del singolo paziente.
In conclusione, il supremo organo della giustizia amministrativa, ribaltando la decisione del T.A.R., in sintonia con l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale sul riparto di competenze Stato/Regioni in questa materia, hanno statuito in maniera inequivocabile che l’AIFA detiene la competenza esclusiva circa la valutazione sull’appropriatezza terapeutica dei farmaci, sull’equivalenza dei principi attivi e sulla rimborsabilità dei medicinali da parte del Servizio Sanitario Nazionale.
La sentenza del Consiglio di Stato è chiara nelle proprie statuizioni e netta nella sua posizione. Pertanto, visto che sono numerose le Regioni che hanno adottato raccomandazioni sull’utilizzo di determinati farmaci, ci si aspetta che il suo carattere dirompente porti a riequilibrare un sistema tanto complesso quanto indispensabile.