IL CONSIGLIO DI STATO SUL PRINCIPIO DI LEGALITÀ IN MATERIA SANZIONATORIA: CHIARIMENTI SUI POTERI DELL’ANAC IN SEDE DI VIGILANZA SULLA CONDOTTA DEGLI OPERATORI
Con la recente sentenza n. 5883 del 12.10.2018, la V Sezione del Consiglio di Stato ha affrontato la controversa questione relativa all’ambito ed ai limiti di applicazione dei poteri ispettivi, di vigilanza e sanzionatori dell’Autorità Nazionale Anticorruzione nei confronti degli operatori economici.
La fattispecie esaminata dal Collegio trae origine dal ricorso con cui un Organismo di Attestazione aveva impugnato il provvedimento sanzionatorio emesso nei suoi confronti dall’allora AVCP – Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di lavori, servizi e forniture (oggi – appunto – ANAC).
In particolare, l’Autorità aveva censurato la condotta della società, per non aver tempestivamente comunicato il venir meno delle condizioni previste dall’art. 64, comma 2, D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207 (Regolamento attuativo del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, applicato ratione temporis).
Segnatamente, l’art. 64 del richiamato D.P.R. prescrive il possesso in capo alle SOA, quali requisiti generali e di indipendenza, di un capitale sociale interamente versato pari almeno ad € 1.000.000, e di un patrimonio netto, costituito dal totale della lettera A) del passivo dello stato patrimoniale di cui all’art. 2424 Cod. civ. dell’ultimo bilancio depositato, pari almeno al capitale sociale almeno pari ad € 1,000.000, aveva censurato.
Sul punto, nella controversia in commento, l’AVCP richiamava il proprio Comunicato alle SOA n. 66/2011, secondo cui “il rispetto del canone generale della buona fede, anche in presenza di perdite minime, rilevate in sede di approvazione del bilancio di esercizio, le quali non diano luogo per ipotesi alle operazioni obbligatorie di ripianamento del capitale sociale sopra riportate, imporrà che queste andranno comunque prontamente comunicate dall’organo di gestione (o in caso di inerzia, dall’organo di controllo) all’Autorità. Qualora, invece, l’entità della minusvalenza, in rapporto all’entità del patrimonio netto, determini la necessità di un’operazione sul capitale del tipo di quelle ipotizzate negli esempi di cui alle lettere a), b) e c) di cui sopra, andranno, altresì, comunicati i provvedimenti che la SOA intende adottare al fine di salvaguardare il possesso del requisito generale in esame. In caso contrario, la SOA potrà essere sanzionata dall’Autorità.”.
Sulla scorta di ciò, l’AVCP aveva ritenuto violato da parte dell’Organismo di Attestazione l’obbligo di cui all’art. 70, comma 1, lett. a), del D.P.R. 207/2010, laddove è statuito che «Nello svolgimento della propria attività le SOA devono: a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 2 del codice»); pertanto, in base all’art. 73, comma 2, lett. b), dello stesso regolamento, che prevede l’irrogazione di sanzioni pecuniarie alle SOA che svolgono l’attività in modo non conforme al predetto art. 70, commi 1 e 2, nonché dell’art. 6, comma 11, del Codice del 2006, aveva irrogato alla società la sanzione amministrativa pecuniaria di € 31.184,72, quantificata ai sensi dell’art. 9 del regolamento in materia di esercizio del potere sanzionatorio dell’Autorità.
Avverso il suddetto provvedimento, la società aveva proposto ricorso innanzi al TAR Lazio, lamentando la lesione dei principi di legalità, tipicità, tassatività e proporzionalità delle sanzioni amministrative, eccependo come le disposizioni considerate nel provvedimento non prescrivessero né un preciso obbligo comunicativo, né un termine di adempimento e rilevando l’inconferenza dell’art. 70, comma 1, lett. a) (relativo alla sola attività di attestazione delle SOA e non ai rapporti con l’Autorità) e del richiamo di norme interne dell’Autorità (comunicato SOA n. 66/11 e punto 1.8 delle Linee guida operative allegate alla determinazione n. 1 del 15 marzo 2011), inidonee a fondare sanzioni amministrative non previste dall’ordinamento di settore.
Il TAR confermava il provvedimento emesso dall’AVCP, allegando un’interpretazione estensiva dei relativi poteri sanzionatori, con decisione impugnata dalla Società di attestazione dinanzi al Consiglio di Stato.
Sulla controversia oggetto di disamina, la Sezione giudicante ha evidenziato in primo luogo come “ciò che è stato contestato alla società non è né la perdita provvisoria del requisito nel considerato lasso temporale, né un ipotesi di condotta non satisfattiva delle richieste documentali avanzate, bensì solo la mancata tempestiva comunicazione all’Autorità sia delle perdite subite dall’impresa, che avevano inciso temporaneamente sul requisito economico-finanziario di cui all’art. 64, comma 2, del d.P.R. n. 207 del 2010, che delle iniziative adottate per il ripristino dello stesso”.
Ulteriormente, il Collegio ha precisato come la base concreta del precetto la cui violazione è stata sanzionata dal provvedimento impugnato dovesse essere individuata nel solo Comunicato dell’Autorità alle SOA n. 66/2011, nonostante allo stesso fosse dedicato, nell’economia espositiva dell’atto, uno spazio alquanto limitato.
Invero, si argomenta nella sentenza in commento, dal tenore delle disposizioni esaminate “appare evidente che nessuna delle norme del D.Lgs. n. 163 del 2006 e del d.P.R. n. 207 del 2010 richiamate dall’AVCP prescriva con precisione gli obblighi comunicativi evocati dall’Autorità, né un termine per il loro adempimento. Le stesse disposizioni vengono invece assunte nella fattispecie dal predetto Comunicato, che dichiara espressamente il suo ruolo di collegamento tra l’art. 70, comma 1, lett. a), che richiama, genericamente, il rispetto da parte delle SOA dei canoni di diligenza, correttezza e trasparenza, e le previsioni sanzionatorie pecuniarie di cui all’art. 73, comma 2, lett. b), dello stesso decreto, riguardanti altre fattispecie, realizzato estendendo queste ultime all’ipotesi di comportamento difforme da quello contestualmente delineato, ritenuto conforme a diligenza e buona fede, in caso di perdita temporanea del requisito di cui trattasi (la perdita definitiva del requisito comporta invece la più grave sanzione della decadenza: art. 73, comma 4, lett. a), del d.P.R. n. 207 del 2010).
Il Comunicato n. 66/2011 innova, pertanto, rispetto alla normativa di settore primaria e secondaria, individuando sia le condotte da osservarsi da parte delle SOA nell’evenienza considerata, consistenti, in ogni caso, nella pronta comunicazione delle perdite anche minime e, per l’ipotesi di necessità di un’operazione sul capitale, anche dei provvedimenti che la SOA intende adottare al fine di salvaguardare il possesso del requisito patrimoniale, sia le sanzioni pecuniarie applicabili pel caso della violazione dei predetti precetti.
Tanto considerato, i motivi di appello con cui la società sostiene che la sentenza, nel respingere la prima censura del ricorso di primo grado, abbia avallato un’inammissibile interpretazione estensiva come quella a base del provvedimento sanzionatorio, mediante un forzato inquadramento della fattispecie tra quelle tipizzate che legittimano l’esercizio del potere sanzionatorio dell’Autorità, è fondato”.
In tal senso, evidenzia il Consiglio di Stato, “il principio di legalità in materia sanzionatoria – immanente allo Stato di diritto – trova base nell’art. 1, primo comma, della l. 24 novembre 1981, n. 689, secondo cui «Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione», in applicazione dell’art. 25 Cost., per il quale «nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.
Ne deriva che le fattispecie soggette a sanzione amministrativa si caratterizzano per tipicità e determinatezza. Sicché resta esclusa l’integrazione analogica della norma sanzionatrice per estenderne l’applicazione a ipotesi ivi non contemplate (cfr. Cass., II, 22 maggio 2007, n. 11826, 22 gennaio 2004, n. 1081, I, 8 agosto 2003, n. 11968; da Cons. Stato, VI, 28 giugno 2010, n. 4141 in tema di sanzioni AVCP per le SOA).
Le indicazioni dell’AVCP (oggi ANAC) hanno la funzione di definire canoni oggettivi di comportamento per gli operatori del settore, la cui violazione può essere senz’altro presunta come un’ipotesi di negligenza per gli specifici effetti dell’art. 70, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 207 del 2010 (cfr. Cons. Stato, VI, 18 settembre 2015, n. 4358).
Nondimeno, in rispetto del rammentato principio di legalità in materia sanzionatoria e di ragioni generali di sicurezza giuridica, occorre che siffatte indicazioni non tengano luogo di fattispecie illecite per legge inesistenti e che specifichino con chiarezza e precisione la condotta che si arriva dover presumere contra-legem.”
Nel caso di specie, quindi, l’applicazione della pena pecuniaria contrasta macroscopicamente con i principi di legalità e divieto di applicazione analogica enunciati dall’art. 1, l. n. 689 cit., sotto il profilo della tipicità e della determinatezza.
Sul punto, come ha ripetutamente affermato la giurisprudenza costituzionale, l’esigenza della prefissione ex lege di rigorosi criteri di esercizio del potere relativo all’applicazione o alla non applicazione delle sanzioni amministrative emerge con riferimento sia al principio di imparzialità, di cui all’art. 97 Cost., sia a quello di riserva di legge ex art. 23 Cost. (Corte Cost. 19 novembre 1987 n. 420 e 421; 5 novembre 1986 n. 226; 14 marzo 1984 n. 68).
Inoltre, anche l’art. 11, l. n. 689 cit., nell’individuare i criteri per l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, postula che la determinazione del quantum della sanzione avvenga tra un limite minimo e uno massimo fissati dalla legge.
Pertanto, qualsiasi operazione ermeneutica di analogia deve ritenersi palesemente preclusa nella materia di sanzioni amministrative dall’art. 1, l. n. 689 cit., le quali si applicano solo nei casi e per i tempi previsti dalla legge, la quale si configura del tutto insuscettibile di estensioni interpretative (in tal senso, TAR Lazio – Latina, Sez. I n. 393 dell’11 luglio 2018).
Invero, a differenza che nel diritto privato, in cui vige il principio della atipicità del fatto illecito, nel diritto pubblico (sia sul piano dell’illecito penale che su quello amministrativo) vige il principio della tassatività e tipicità del fatto illecito, a loro volta corollari di quello di legalità, il quale va considerato operante in due distinte direzioni: nei confronti del Legislatore, tenuto a definire fattispecie complete e determinate nella loro tipizzazione; nei confronti dell’interprete, vincolato ad una valutazione delle fattispecie scevra da qualsivoglia soggettivismo.
Deve dunque rilevarsi che il D.P.R. n. 207 del 2010, laddove individua a carico delle SOA adempimenti informativi – quali quelli la cui carenza è stata contestata nella fattispecie – detta prescrizioni chiare e precise (art. 64, comma 5; art. 65, comma 2; art. 67, commi 3 e 4; art. 70, commi 6 e 7; art. 74, comma 4).
Il Comunicato n. 66/2011, invece, non chiarisce né i tempi né i modi delle comunicazioni, la cui carenza è stata addebitata alla società. L’Autorità ha addebitata alla società una carenza informativa solo formale, per la quale la decisione sanzionatoria non trova giustificazione né nelle fonti che regolano la materia, né nel Comunicato dell’Autorità alle SOA n. 66/2011, il quale, come sottolineato, omette di fornire indicazioni specifiche sui tempi e le modalità di comunicazioni.
Alla luce dei rilievi svolti, il Consiglio di Stato ha annullato il provvedimento impugnato, posto che nel caso concreto gli obblighi di comunicazione devono ritenersi adempiuti: “diversamente, vista la pluralità di inadempimenti possibili rispetto a un obbligo informativo non regolato, la vigilanza sulla perdurante presenza del requisito patrimoniale si esaurirebbe sul solo piano sanzionatorio pecuniario, rendendo recessive le più ampie potestà dell’Autorità previste dallo stesso Comunicato n. 66/2011 laddove, in conformità alle finalità di pubblico interesse connesse alle SOA, nel caso di perdita temporanea del requisito, assegna all’Autorità anche un ruolo di indirizzo, manifestato dall’obbligo delle SOA di comunicare non solo le perdite, ma anche, per l’ipotesi di necessità di un’operazione sul capitale, i provvedimenti previsti per il ripristino.”
Giova sottolineare come la disciplina della qualificazione degli esecutori di lavori pubblici è ad oggi in attesa di compiuta definizione. Invero, il disposto dell’art. 84 del nuovo Codice dei Contratti, che attribuiva a linee guida adottate direttamente dall’ANAC e precedute dal solo parere delle competenti Commissioni Parlamentari il compito di regolare la materia, è stato censurato dalla Commissione Speciale del Consiglio di Stato, che nel parere consultivo n. 782/2017 ha evidenziato la mancata previsione di simile modalità nella legge delega per l’adozione del Codice.
Pertanto, il c.d. Decreto Correttivo (D.Lgs. n. 56 del 2017), agli artt. 83, comma 2 ed 84, commi 2 e 8, ha trasferito la relativa competenza legislativa in capo al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il quale dovrà provvedere con apposito decreto, adottato su proposta dell’ANAC e previa approvazione delle competenti commissioni Parlamentari.
Dunque, la riforma del sistema di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici sarà completa solo con l’adozione del decreto ministeriale previsto dal nuovo comma 2 dell’art. 83, che ad oggi non ha ancora visto luce, sebbene l’ANAC abbia trasmesso al MIT uno schema di proposta disciplinante i requisiti per l’attività di attestazione, i casi e le modalità di decadenza delle relative autorizzazioni; l’attività di qualificazione; l’attività di vigilanza ed il regime sanzionatorio, la relativa entrata in vigore, stabilendo espressamente sul punto che, a decorrere dall’entrata in vigore del decreto, saranno abrogate le disposizioni della Parte II, Titolo III, del D.P.R. n. 207 del 2010 (cfr. artt. 60 ss.), compresi gli allegati ivi richiamati.
Per quanto attiene al procedimento di autorizzazione delle SOA all’esercizio dell’attività di attestazione, l’art. 213, comma 2, ne devolve la disciplina ad autonomo atto a carattere generale dell’ANAC, da adottarsi a seguito dell’adozione del decreto di cui sopra.
Nelle more dell’emanazione del decreto previsto dall’art. 83, co. 2, e del regolamento previsto dal citato art. 213, co. 2, l’art. 216, co. 14, del Codice Appalti ha previsto che continuano ad applicarsi, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla Parte II, Titolo III, del D.P.R. n. 207 del 2010 (artt. 60 ss.).