PA, GRUPPI DI INTERESSE E BUONA AMMINISTRAZIONE: NUOVE FORME DI GESTIONE DEL POTERE PUBBLICO
La relazione dei gruppi d’interesse con la Pubblica Amministrazione ha subito gli effetti del processo di cambiamento, attraverso una continua attenzione nei confronti dell’azione amministrativa verso i diritti della persona, portandola ad incontrare l’attuale impostazione recepita nel D.Lgs. n. 50/16, meglio noto come nuovo Codice Appalti.
Il passaggio dell’autorità pubblica da potere imposto da un ente sovraordinato a servizio offerto, nell’ottica del raggiungimento di un risultato condiviso, ha avuto come conseguenza la necessità di un’apertura di dialogo con i cittadini, mettendo il singolo al centro dell’agire amministrativo e, con lui, i gruppi in rappresentanza di interessi dei singoli.
D’altra parte, la Costituzione, attraverso la Pubblica Amministrazione, non garantisce solo la tutela dei diritti della persona, ma anche i principi di democrazia e di sovranità popolare, che trovano realizzazione e continuità nelle funzioni amministrative. La democrazia attuata con le procedure e garantita attraverso il principio di partecipazione, convive, in questo senso, con la democrazia legislativa.
L’Amministrazione, intesa nell’accezione di “civil servant”, avendo come fine ultimo la soddisfazione di interessi pubblici, si rivolge al dialogo con i cittadini in quanto titolari dei diritti e dei bisogni privati, che, in base a tale impostazione, è chiamata a tutelare.
Dall’altra parte, i cittadini, attraverso la partecipazione nella attività amministrativa, potendosi nel caso parlare dell’effettività della “buona amministrazione”, manifestano il proprio apporto diretto alla realizzazione di una corretta Amministrazione; si parla, quindi, di effettività della “buona amministrazione”.
Alla base di tale orientamento amministrativo, volto al conseguimento di un risultato condiviso, rileva la nuova definizione dell’interesse pubblico come una composizione ponderata degli interessi coinvolti nell’esercizio del potere. L’azione amministrativa diventa, perciò, parte di un sistema decisionale partecipativo e paritario, che dovrebbe coinvolgere i cittadini e le loro associazioni.
Le funzioni della Pubblica Amministrazione si realizzano in un’ottica di servizio alla collettività, ma sempre nel rispetto del principio di legalità: non a caso, negli articoli della Costituzione viene stabilito che gli impiegati dell’Amministrazione “sono al servizio esclusivo della nazione” (articolo 98), anche nel caso che sia la legge a determinare “le sfere di competenza, di attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari” (articolo 97).
La legge n. 241/90 sul procedimento amministrativo, perciò, enfatizza questo orientamento di servizio alla collettività, attraverso la figura del responsabile del procedimento, ruolo che soddisfa un’esigenza di trasparenza e di identificabilità del contraddittore, all’interno dell’Amministrazione, individuabile e contattabile dal cittadino, nel segno del superamento del principio della impersonalità dell’apparato amministrativo. L’apertura dell’Amministrazione ai contatti con la società civile, quindi, si concretizza nella identificazione precisa del funzionario a cui compete la decisione amministrativa.
Nelle situazioni giuridiche nelle quali il pubblico decide autonomamente e responsabilmente se emanare determinati atti, come autorizzazioni, concessioni e licenze, l’Amministrazione entra direttamente nei settori economici, trovandosi in contatto con interessi collettivi dei gruppi che vi operano. Da qui la sensibilità dell’Amministrazione a coinvolgere i gruppi di interesse in grado di fornire le informazioni necessarie ad assumere le decisioni sulle materie che li riguardano.
La ricerca di informazioni da parte del pubblico rientra nell’orientamento amministrativo; risultato che, per essere raggiunto, necessita di tutti dati informativi relativi alla decisione da assumere.
In seguito al trasferimento d’informazioni alla Pubblica Amministrazione, possono arrivare al governo le istanze e le necessità dei gruppi di pressione dai quali le informazioni provengono; per questo l’art. 4 del D.Lgs. n. 165/01, recante “Norme Generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni”, fa proprio riferimento all’indirizzo politico amministrativo svolto dagli organi di governo delle varie amministrazioni e al conseguente indirizzo amministrativo. Il rispetto di tale indirizzo politico, risultante dagli obiettivi dell’azione amministrativa, non può essere estraneo al governo, che essendo espressione di determinate forze politiche, si rivolge all’Amministrazione per cogliere elementi utili allo sviluppo delle proprie linee politiche.
Ciò non toglie che esista una distinzione tra politica e Amministrazione, in grado, perciò, di garantire che l’Amministrazione non si trasformi in un mero apparato di esecuzione, subordinato agli organi politici. Le stesse Autorità Amministrative Indipendenti, per citare un esempio peculiare, sono organismi pubblici caratterizzati da un alto grado di imparzialità e soggetti unicamente alla legge, proprio in ragione della propria indipendenza, e infatti non rispondono, nella maggior parte dei casi, politicamente al governo.
Il dialogo tra gruppi di interesse ed Amministrazione può, perciò, avvenire attraverso le regole fissate in materia di procedimento amministrativo che permettono di partecipare ai gruppi di interesse come rappresentanti degli interessi coinvolti.
La Pubblica Amministrazione negli Stati Uniti, a partire dalla istituzione della Federal Administration Procedure del 1946 e in molti paesi dell’Unione Europea, si è dimostrata disponibile agli interventi di rappresentanti privati. L’Italia, invece, ha dimostrato maggiore chiusura formale a tali apporti.
Ma le normative dal 1990, in particolare la legge n. 142 e la legge n. 241, hanno attribuito alla partecipazione un ruolo centrale nel rapporto tra cittadini e Pubblica Amministrazione. La partecipazione dei cittadini ha consentito e consente, infatti, all’Amministrazione non solo di valutare l’insieme degli interessi coinvolti dalla sua decisione, ma anche di assumere le informazioni necessarie a conoscere a fondo la situazione nella quale deve intervenire al fine di raggiungere in maniera ottimale il risultato atteso.
Nella riflessione che stiamo facendo, la legge n. 241 va efficacemente, ma limitatamente, ad enfatizzare proprio il valore della procedura istruttoria, il cui svolgimento condiziona l’intero procedimento.
A tal proposito, la legge n. 241, in merito alla motivazione di cui all’articolo 3, dispone che il decisore pubblico assuma tutti i dati utili al raggiungimento di una conoscenza approfondita del contesto in cui sono chiamati ad intervenire. In altra parte della legge n. 241, dedicata all’istituto della partecipazione, troviamo un insieme di articoli che disciplinano sia gli obblighi della Pubblica Amministrazione nei confronti dei cittadini, sia i poteri dei soggetti privati nell’esercizio della rappresentanza di interessi.
In base a tale legge, viene ammessa la partecipazione al procedimento amministrativo di “qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati …nonché di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, da cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento”, come recita l’art. 9. In particolare, tale articolo detta il diritto dei portatori d’interessi diffusi ad intervenire nel procedimento; si tratta, quindi, di un intervento limitato all’ambito procedimentale e finalizzato soltanto a presentare memorie e documenti all’interno del procedimento amministrativo.
Ma è importante notare che il legame tra partecipazione e rappresentanza rimane molto stretto, poiché la partecipazione al procedimento da parte di singoli o di gruppi è dettata dalla volontà di rendere presente e rappresentare un interesse: in questo senso si può tradurre la partecipazione al procedimento in termini di rappresentanza e di promozione di un interesse.
Per quanto riguarda il diritto di associazione, peraltro costituzionalmente garantito, l’istituto della partecipazione al procedimento amministrativo sembra avallare l’ipotesi di un diritto soggettivo alla rappresentanza di interessi nei confronti del potere politico. In questo senso il gruppo, portavoce di un insieme di cittadini, partecipa al processo decisionale pubblico, non solo per tutelare l’interesse dei propri membri, ma anche per contribuire ad una migliore definizione dell’interesse generale.
E’ proprio da quest’ultima considerazione che avviene la svolta nell’ambito della contrattualistica pubblica, quale esito di una evoluzione normativa che trova la sua origine in una serie di leggi che hanno spinto nella direzione della trasparenza, come contemplata e disciplinata dal D.Lgs. n. 33/13, il cd. Freedom Infomation Act, così come modificato dal D.Lgs. n. 97/16, sia come spinta alla partecipazione, sia come contrasto al rischio corruzione.
D’altra parte l’impostazione della legge n. 241 faceva rientrare ancora l’atto nell’ambito della decisione amministrativa pur condizionata, eventualmente, con un contributo istruttorio di un’associazione, dipendendo sempre dai poteri discrezionali di esclusiva spettanza dell’Amministrazione stessa.
Questa modifica di atteggiamento viene riscontrata anche nella diversa attività di influenza delle lobby, per esempio nelle attività di regolazione; in particolare, in questo ambito è possibile presentare sempre più esempi di attività regolatoria preventivamente condivisa con le associazioni, gruppi di interesse o in termini generali, con i cosiddetti stakeholder. Tale approccio lo ritroviamo sia nella recente normativa sulla responsabilità nelle professioni sanitarie che nelle ultime consultazioni pubbliche sulle ipotesi di riforma al “nuovo” Codice dei Contratti Pubblici.
Le modifiche normative, quindi, non più esclusivamente di rango secondario, sono subordinate ad una consultazione pubblica in cui le associazioni possono condizionare il procedimento di formazione della legge.
Analogo modello di valutazione degli interessi generali possiamo leggerlo nella pur articolata e, in qualche caso, “contestata” attività di cd. soft law dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, così come indicato dal D.Lgs. n. 50/2016.
Anche qui i gruppi d’interesse entrano nel procedimento di regolamentazione secondaria, così come avviene in qualche caso analogo in altre autorità indipendenti, come in precedenza ricordato.
Sul tema, sarebbe utile approfondire l’iter di adozione delle linee guida, in particolare per valutarne il valore e l’efficacia derivante dalla particolarità di tale strumento “legislativo”, sia pure nel suo non chiaro valore di fonte legislativa, sia pure secondaria.
Di particolare interesse, infine, è la reale ed innovativa portata dell’istituto contemplato dall’articolo 22 del D.Lgs. n. 50/16, che regola il tema del dibattito pubblico per la programmazione e la realizzazione delle grandi opere pubbliche. Qui la partecipazione non è funzionale solo all’adozione di atti regolatori, ma le lobbies possono influenzare addirittura la scelta progettuale di un’opera di rilevante impatto ambientale. Da un piano procedimentale e, successivamente, nell’evoluzione normativa da un piano normativo si passa, quindi ad un piano sostanziale, di contenuto, di vero e proprio condizionamento dell’azione amministrativa: tale condizionamento è fondato sull’approccio secondo cui, ai fini della tutela, la decisione amministrativa basata sul cosiddetto “command and control” si è rivelata a volte inefficace, e quindi, si cerca di accompagnarla ad una decisione amministrativa “creata dal basso”, cioè tramite il contributo dei soggetti privati interessati.
Senza entrare nella concreta applicabilità di tale complessa ed articolata procedura, il cui regolamento, emanato con il decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 76/18, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 145 del 25 giugno 2018, è entrato in vigore solo da pochi mesi, ci preme porre l’accento sul perché e per quali opere sia possibile utilizzare tale norma, nonché sul come tale istituto sia una chiara ed esemplificativa rappresentazione del fondamentale principio generale di trasparenza amministrativa, non solo come fine, ma anche come innovativo mezzo dell’agire pubblico.
Tutto ha come presupposto il dovere di comunicare ed informare da parte della Pubblica Amministrazione e, quindi, la necessità di garantire la legittimità degli atti amministrativi attraverso una trasparenza procedimentale, ma anche e soprattutto una funzione di prevenzione della corruzione, essendo la trasparenza l’unica, vera ed indispensabile alternativa per evitare la possibile applicazione delle multe e delle fattispecie giuridiche di reato che con l’attuale legislazione intervengono, con più o meno fondamento ed efficacia, solo a procedure in corso o ad atti emanati.
Quanto accade, infatti, è l’esatto opposto del modello di prevenzione richiesto da tutte le normative vigenti dalla 190/2012 in poi. È per questo che le scelte attuate dal legislatore nell’indicare tale procedura devono contemperare le esigenze indifferibili di evitare il rischio del compimento di reati corruttivi attraverso la più ampia trasparenza di tutte le fasi di una impegnativa procedura di dimensione e di impatto rilevante per le comunità locali interessate e anche per il paese intero. Tutto questo senza bloccare artificiosamente con procedure e denunce anche penali, opere di interesse generale.
Certamente, non possiamo dimenticare le difficoltà di applicare, come in questo caso, le attuali norme sugli appalti, come dimostrato nei fatti dalla ulteriore diminuzione degli stessi negli anni passati, anche in vigenza del nuovo codice, e soprattutto per la preoccupazione di funzionari dirigenti pubblici di incorrere in provvedimenti e sanzioni, in un ottica di lettura degli atti con una possibile lente “distorta” da parte di tutte le Autorità preposte al controllo.
Questo può accadere, con le conseguenze penali o di danni erariali al loro imputabili, se ci trova in un clima difficile, anche solo dal punto di vista dell’attenzione mediatica, come, per esempio, durante l’iter procedimentale per la realizzazione di un’opera di interesse pubblico a loro affidata. Essi devono tener conto anche degli stringenti criteri di spending review derivanti dalla altrettanto nota scarsità di risorse pubbliche disponibili per gli appalti in genere, da cui deriva, come conseguenza, l’altra causa che ha determinato la diminuzione negli anni passati degli appalti pubblici stessi.
Per questi motivi, è necessaria una più ampia riflessione sul rapporto tra lobby e Pubblica Amministrazione e della conseguente necessità di dialogo che si deve attivare, anche meglio precisare e regolamentare. Si dovrà, quindi, inevitabilmente tener conto di questa nuova e, per certi versi epocale, trasformazione delle modalità di produrre atti amministrativi, tra responsabilità e discrezionalità del pubblico funzionario e legittima rappresentanza di interessi, che altro non è, a mio avviso, che il volto democratico e partecipativo del processo legislativo.