RESPONSABILITÀ DELLE STAZIONI APPALTANTI PER I DANNI PROVOCATI A TERZI NEL CORSO DEL RAPPORTO CONTRATTUALE

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3025 del 31 gennaio 2019, si è occupata della tematica della responsabilità del committente pubblico in presenza di danni subiti da terzi nello svolgimento delle lavorazioni appaltate.

Lo spunto veniva dall’impugnazione di una sentenza della Corte di Appello di Ancona che, in riforma dell’opposta pronuncia di primo grado del Tribunale di Pesaro, aveva respinto la domanda risarcitoria avanzata da due soggetti che assumevano di essere stati danneggiati per effetto di lavori appaltati da un Comune ad un’impresa.

Nello specifico, gli attori e ricorrenti in Cassazione, chiedevano il risarcimento dei pregiudizi prodottisi in conseguenza di opere di sistemazione idrica ordinate dall’Amministrazione comunale, la quale, costituitasi in giudizio, aveva chiamato in causa l’appaltatore che aveva curato l’esecuzione degli interventi.

La Corte d’Appello aveva motivato la propria decisione affermando che il soggetto colpevole dei danni arrecati a terzi nel compimento dell’opera sarebbe il solo appaltatore, e non anche, salvo alcune ipotesi peculiari, il committente.

Quest’ultimo, infatti, potrebbe essere chiamato a rifondere i pregiudizi patiti dai terzi soltanto qualora abbia posto in essere delle specifiche violazioni del principio del neminem laedere, di cui all’art. 2043 cod. civ., ovvero si sia reso responsabile a titolo di “culpa in eligendo”.

Tale seconda fattispecie è riferita alle situazioni in cui il committente abbia omesso di verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa affidataria ed esecutrice dei lavori, finendo con lo scegliere (in latino, eligere) un appaltatore inadeguato.

Secondo i giudici di appello, un’ulteriore ipotesi di responsabilità del committente potrebbe aversi quando l’appaltatore, nella realizzazione dell’opera, sia privo di qualsiasi autonomia decisionale, ridotto a mero esecutore (nudus minister) della volontà altrui: logico, dunque, che, in questo caso, il committente, avendo in tutto e per tutto deciso i termini di svolgimento dei lavori, non possa andare esente dalle eventuali conseguenze negative delle proprie scelte.

Nel merito, la Corte d’Appello aveva escluso qualsiasi risarcimento per gli attori, dal momento che essi non avevano esteso la domanda nei riguardi della società chiamata in causa nel giudizio dinanzi al Tribunale.

La Suprema Corte ha ribaltato la sentenza di secondo grado rendendo, attraverso un richiamo ad un precedente giurisprudenziale, una concisa motivazione sul punto.

Il riferimento è al principio sancito, tra le altre, dalla pronuncia della Cassazione n. 25408 del 12 dicembre 2016, per il quale: «In tema di risarcimento del danno, con riferimento all’appalto di opere pubbliche, gli specifici poteri di autorizzazione, controllo ed ingerenza della P.A. nella esecuzione dei lavori, con la facoltà, a mezzo del direttore, di disporre varianti e di sospendere i lavori stessi, ove potenzialmente dannosi per i terzi, escludono ogni esenzione da responsabilità per l’ente committente».

In buona sostanza, nell’ambito dei pubblici appalti, le Stazioni appaltanti dispongono di poteri di autorizzazione e controllo tali da escludere la possibilità di esenzioni dal dovere di risarcire i danni eventualmente subiti da terzi per effetto dell’esecuzione dei lavori.

Detto altrimenti, il committente pubblico ha il dovere di assicurare il sicuro svolgimento delle lavorazioni sia attraverso l’adeguata predisposizione degli atti contrattuali posti a base del rapporto (con specifico riferimento alle misure per la sicurezza dei lavoratori e dei terzi), sia mediante gli opportuni interventi che si rendano necessari in corso d’opera (varianti, provvedimenti sospensivi, ecc.).

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