L’ISTITUTO DELLE RISERVE A SEGUITO DEL DM 49/18
Sono passati quasi 9 mesi dall’entrata in vigore del Decreto 7 marzo 2018, n. 49 e si può, quindi, fare un primo bilancio a valle delle modifiche introdotte in materia di riserve.
Come è noto, l’art. 9, del DM 49/2018 (ed il corrispondente art. 21 per quanto riguarda gli appalti di servizi e forniture) statuisce che la disciplina delle riserve sia delegata alle stazioni appaltanti non prevedendo (al contrario della previgente disciplina) una specifica regolamentazione della forma e tempistiche delle riserve (contenuto della riserva, tempistiche per iscrizione e esplicitazione, forma della riserva e svolgimento della procedura di gestione e valutazione delle riserve, ovverosia quanto riportato nei previgenti artt. 190 e 191 del D.P.R. 207/2010).
Il Decreto, quindi, da un lato, ha esteso anche agli appalti di servizi l’istituto delle riserve (eliminando l’irragionevole differenziazione, precedentemente sussistente, nella disciplina delle istanze risarcitorie tra appalti di lavori e di servizi o fornitura) e, dall’altro, ha lasciato buona parte della regolamentazione dell’istituto in mano alle singole stazioni appaltanti.
Seppure tale scelta derivi da un rilievo espresso dal Consiglio di Stato (Parere del 12 febbraio 2018 n. 360) nell’ambito del quale è stata individuata come preferibile “l’opportunità di prevedere che siano le stazioni appaltanti ad inserire nei capitolati speciali le norme contenute nel presente schema di regolamento, piuttosto che dettare direttamente la disciplina” un’eccessiva discrezionalità in capo alle committenti (allo stato oggettivamente innumerevoli) sta comportando una maggiore difficoltà nella applicazione della disciplina (considerata la sussistenza di regole diverse per le diverse stazioni appaltanti, evidentemente contraria ad una semplificazione della materia) ed un possibile incremento dei contenziosi.
Infatti considerato che l’ANAC non ha ancora predisposto alcun capitolato-tipo (contrariamente a quanto previsto al comma 2 dell’articolo 213 del Codice dei contratti) è palese che una pluralità di discipline dell’istituto non conformi tra loro possa comportare per gli operatori indubbie difficoltà nella materiale iscrizione oltre che un incremento delle contestazioni avanti alle autorità competenti.
Sul punto è bene rilevare che nonostante sussista una parziale regolamentazione dell’istituto (basti pensare alla regolamentazione della sospensione e dell’accordo bonario nell’ambito del Codice dei Contratti Pubblici e gli obblighi di iscrizione di riserva negli atti contabili, negli ordini di servizio e nei verbali di consegna sospensione e ripresa dei lavori nonché l’obbligo di richiamare le stesse nel conto finale, previsti dal DM 49/18), l’assenza di una specifica univoca disciplina (specie con riguardo a modi e termini di iscrizione, che sono stati chiaramente definiti solo dopo decine di anni di dottrina e giurisprudenza sul punto) può comportare numerose problematiche considerato anche quanto effettivamente avvenuto successivamente all’entrata in vigore della nuova normativa.
Infatti mentre molte stazioni appaltanti, proprio al fine di evitare problematiche e discrasie tra capitolati e normativa applicabile o censure di illegittimità, hanno riproposto pressoché fedelmente all’interno dei propri capitolati gli artt. 190 e 191 del D.P.R. 207/2010 (rendendo, quindi, pattizia la disciplina dell’istituto prevista dalla vecchia normativa applicabile), altre stazioni appaltanti hanno deciso di disciplinare diversamente l’istituto.
Vi sono, infatti, committenti che, approfittando dalla libertà ad essa concesse, hanno abbreviato notevolmente i termini per l’esplicitazione della riserva, hanno ampliato il novero degli atti che debbano contenerla e hanno disciplinato minuziosamente il contenuto e la forma della riserva stessa.
E’ evidente che tale scelta comporta un duplice ordine di problemi: da un lato, la possibile incompatibilità delle previsioni pattizie con la (parziale) disciplina normativa e, dall’altro, più in generale, ove il capitolato preveda tempistiche troppo brevi o adempimenti eccessivi, l’eccessiva restrizione dei diritti dell’appaltatore.
In tali casi è indubbio il diritto dell’esecutore ad agire giudizialmente al fine di far dichiarare la nullità delle relative clausole, con il conseguente incremento del contenzioso ed il rischio che l’esecutore (a seguito della eliminazione della clausola nulla) possa avanzare (o meglio specificare) istanze risarcitorie oltre i termini decadenziali.
Altre stazioni appaltanti, soprattutto le piccole committenti, non avendo piena cognizione delle modifiche normative introdotte, non hanno disciplinato all’interno dei propri capitolati l’istituto (o lo hanno disciplinato solo parzialmente), consentendo all’appaltatore, ad esempio, di poter esplicitare la riserva mesi dopo la sua iscrizione o di riservarsi di quantificare le somme in un momento successivo.
E’ evidente che tale stato di fatto comporterà un’indubbia incertezza in sede esecutiva con conseguente incremento del contenzioso da essa derivante che, sino ad ora, era stato limitato proprio da una specifica disciplina unitaria, una costante giurisprudenza e la sussistenza di meccanismi (quali l’accordo bonario) finalizzati alla risoluzione delle controversie. Tale incertezza potrà venir meno solo a seguito dell’emanazione di una nuova disciplina normativa ovvero a seguito di chiarimenti da parte dell’ANAC o, in assenza, solo dopo l’auspicata riduzione delle stazioni appaltanti e la standardizzazione delle norme di gara e contrattuali che comporterà, indirettamente, una univoca disciplina dell’istituto.