L’ANAC INTERVIENE SUI REQUISITI PATRIMONIALI NEI BANDI DI GARA

L’ANAC INTERVIENE SUI REQUISITI PATRIMONIALI NEI BANDI DI GARA

A cura di Daniele Bracci, Gianluca Podda

 

Con la delibera n. 395 del 30 luglio 2024, l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) si è pronunciata sui requisiti economico-finanziari nei bandi di gara pubblici, affrontando il caso di una procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando per l’affidamento del servizio di tesoreria comunale. La questione riguardava una clausola che imponeva ai partecipanti di dimostrare il possesso di un patrimonio netto annuo di venti milioni di euro, un valore notevolmente superiore al doppio dell’importo del contratto, pari a 116.200 euro.

L’ANAC INTERVIENE SUI REQUISITI PATRIMONIALI NEI BANDI DI GARA

Indice

Il quadro normativo di riferimento

Le ragioni dell’illegittimità della clausola

Le implicazioni del parere ANAC

Conclusione

 

Il quadro normativo di riferimento che disciplina i requisiti di partecipazione alle gare pubbliche

La normativa di riferimento è il D.lgs. 36/2023, in particolare gli articoli 100, commi 11 e 12, che disciplinano i requisiti di partecipazione alle gare pubbliche. Le norme stabiliscono che le stazioni appaltanti possano richiedere, come requisito di capacità economico-finanziaria, un fatturato globale maturato nel triennio precedente non superiore al doppio del valore dell’appalto. Ulteriori requisiti di partecipazione sono vietati, salvo eccezioni specifiche legate a impegni sociali o obblighi occupazionali.

Il parere di precontenzioso è stato richiesto da una società che contestava la legittimità di una clausola del bando di gara che richiedeva il possesso di un patrimonio netto di venti milioni di euro, a pena di esclusione. Tale requisito è stato ritenuto sproporzionato rispetto al valore del contratto e in contrasto con i principi di tassatività previsti dalla normativa.

 

Le ragioni dell’illegittimità della clausola

L’ANAC ha rilevato che la clausola impugnata viola l’articolo 100 del D.lgs. 36/2023, imponendo un requisito non previsto dalla legge e sproporzionato rispetto al valore dell’appalto. La norma limita la discrezionalità delle stazioni appaltanti, consentendo esclusivamente la richiesta di un fatturato globale non superiore al doppio del valore dell’appalto, senza possibilità di introdurre ulteriori requisiti patrimoniali.

In particolare, l’ANAC ha osservato che il patrimonio netto è principalmente composto dal capitale sociale, cui si sommano riserve e utili non distribuiti. Pertanto, richiedere un patrimonio netto di venti milioni di euro non solo è un requisito non contemplato dalla normativa, ma risulta notevolmente sproporzionato, soprattutto se si considera che il Codice consente di esigere il fatturato maturato nel triennio precedente l’indizione della procedura nella misura massima del doppio del valore a base d’asta. La clausola deve quindi ritenersi illegittima per violazione dell’art. 100, commi 11 e 12 del D.lgs. n. 36/2023.

Rispondendo alle controdeduzioni dell’ente appaltante, l’ANAC ha sottolineato che la tipologia del contratto in questione non giustifica eccezioni ai principi generali della normativa vigente. La necessità di maggiori garanzie non legittima l’imposizione di un onere così gravoso, poiché la discrezionalità esercitata dall’amministrazione deve essere proporzionale al fine di perseguire il miglior soddisfacimento dell’interesse pubblico sotteso alla gara.

 

Le implicazioni del parere ANAC 

Il parere espresso dall’ANAC obbliga la stazione appaltante a rivedere la lex specialis di gara, eliminando il requisito censurato e rieditando la procedura in conformità ai principi stabiliti dal Codice degli appalti. Questo intervento si inserisce in un contesto normativo che mira a limitare la discrezionalità delle amministrazioni nella definizione dei requisiti di partecipazione, garantendo trasparenza, proporzionalità e libera concorrenza.

La decisione di ANAC rappresenta un importante richiamo alle amministrazioni affinché evitino di introdurre oneri ingiustificati e discriminatori nelle gare. L’imposizione di requisiti patrimoniali eccessivi può infatti restringere la platea dei concorrenti e compromettere la libera concorrenza, contravvenendo agli obiettivi di efficienza e trasparenza previsti dalla normativa sugli appalti pubblici.

 

Conclusione

La delibera n. 395 del 2024 rappresenta un’importante guida per le stazioni appaltanti sulla corretta applicazione dei requisiti di partecipazione alle gare pubbliche. Ribadendo l’illegittimità di clausole che impongono requisiti patrimoniali sproporzionati, l’ANAC sottolinea la necessità di rispettare scrupolosamente le disposizioni legislative, per garantire procedure di gara trasparenti, inclusive e competitive.

Le amministrazioni sono dunque chiamate a valutare con attenzione i requisiti di capacità economico-finanziaria nei bandi di gara, assicurandosi che siano proporzionati all’oggetto del contratto e non limitino ingiustificatamente la partecipazione degli operatori economici. Solo così si può promuovere un mercato degli appalti pubblici aperto e competitivo, in linea con i principi del Codice degli appalti.

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