L’IMPUGNAZIONE DELLA CLAUSOLA DEL BANDO RECANTE IL CRITERIO DI AGGIUDICAZIONE

news a cura del Dott. Patrizio Giordano

Con la Sentenza n. 5202 del 5 settembre 2018, il Consiglio di Stato si è pronunciato su una questione avente ad oggetto la clausola del bando recante il criterio di aggiudicazione.

Nello specifico, il Collegio ha affermato che il “metodo di valutazione” utilizzato dalla Stazione Appaltante per aggiudicare l’appalto, anche se ritenuto contra legem dal concorrente, non ha carattere di immediata lesività e, pertanto, non sussiste il correlativo onere di immediata impugnazione.

In particolare, con il suddetto provvedimento, i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto che, nella prospettiva di cui all’art. 120, comma 5 c.p.a., che legittima (e impone) l’immediata impugnazione degli atti di indizione solo in quanto “autonomamente lesivi”, “le clausole preordinate alla fissazione dei metodi di valutazione delle offerte non rientrano, per definizione, tra quelle connotate di immediata incidenza lesiva (e prefigurative, in quanto tali, di forme di “arresto procedimentale” aventi obiettiva attitudine preclusiva della partecipazione concorrenziale alla fase evidenziale)”.

La questione oggetto della pronuncia trae origine da una procedura di gara bandita ai sensi dell’art. 60 del D.Lgs. n. 50/2016 da aggiudicarsi secondo il criterio del minor prezzo ex art. 95, comma 4, lettera b) del D.Lgs. n. 50/2016.

Più in particolare, la controversia era sorta poiché la Stazione Appaltante aveva previsto che la formulazione di “condizioni o riserve in ordine all’accettazione delle clausole del bando, del disciplinare di gara, del Capitolato Speciale d’Appalto o degli altri elaborati di progetto predisposti dalla Stazione Appaltante per l’appalto in oggetto” avrebbe determinato l’esclusione dei concorrenti.

Una concorrente in ATI, pertanto, era stata esclusa dalla procedura di gara poiché, all’esito del riscontro della dichiarazione che aveva accompagnato la presentazione dell’offerta, aveva formalizzato la propria intenzione di “non prestare acquiescenza al bando ed al disciplinare di gara”.

L’ATI concorrente, nello specifico, aveva contestato la lex specialis nella parte in cui prevedeva, come criterio di scelta del contraente, quello (ritenuto contra legem) del minor prezzo; tuttavia, anziché impugnare immediatamente la relativa clausola, si era riservata di impugnare la legge di gara solo in caso di mancata aggiudicazione.

Nel dirimere la controversia, i giudici di Palazzo Spada hanno preliminarmente richiamato le conclusioni dell’Adunanza Plenaria di Consiglio di Stato, n. 4 del 26 aprile 2018.

La Plenaria dapprima aveva ripercorso brevemente l’excursus storico-normativo dei criteri di aggiudicazione previsti dal legislatore ricordando che il D.Lgs. n. 163/2006 (come anche la legislazione antecedente) “si fondava sul principio dell’equiordinazione dei metodi di aggiudicazione, la cui scelta restava rimessa alla responsabile discrezionalità della stazione appaltante (art. 81, commi 1 e 2 del predetto d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163)” mentre il nuovo Codice dei Contratti Pubblici “ha introdotto all’ art. 95 una rilevante novità sistematica (sulla scorta del considerando 89 della direttiva 24/2014, laddove si afferma che l’offerta “economicamente” più vantaggiosa è “sempre” quella che assicura il miglior rapporto tra qualità e prezzo), esprimendo un indiscutibile favor per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e prevedendo un “sistema di gerarchia” tra i metodi di aggiudicazione”.

In secondo luogo aveva chiarito e ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui né il pregresso regime normativo, né l’attuale quadro ordinamentale consentono di rinvenire elementi per affermare che l’offerente abbia l’onere di impugnare immediatamente la clausola del bando che prevede il criterio di aggiudicazione, ove la ritenga errata. Difatti, “versandosi nello stato iniziale ed embrionale della procedura, non vi sarebbe infatti né prova né indizio della circostanza che l’impugnante certamente non sarebbe prescelto quale aggiudicatario”. In caso contrario, l’offerente avrebbe l’onere di denunciare la clausola sulla base di una valutazione ex ante di una futura ed ipotetica lesione al fine di “tutelare un interesse (quello strumentale alla riedizione della gara), certamente subordinato rispetto all’interesse primario (quello a rendersi aggiudicatario), del quale non sarebbe certa la non realizzabilità”.

Sulla scorta delle considerazioni della Plenaria, il Consiglio di Stato, con la Sentenza n. 5202 del 5 settembre 2018, perviene a molteplici conclusioni.

Anzitutto ritiene che non sussista un onere di immediata impugnazione del bando, avuto riguardo alla clausola concernente il criterio di aggiudicazione.

In secondo luogo, afferma che la clausola del bando che prevedeva l’esclusione dei concorrenti che avessero formulato condizioni o riserve avrebbe dovuto essere “fulminata di nullità, siccome prefigurativa di cause di generalizzata esclusione: cfr. art. 83 d. lgs. n. 50/2016” in quanto il concorrente che intendesse formulare un’offerta senza fare acquiescenza alle clausole di gara, avrebbe l’onere di “formalizzare una immediata impugnazione, non potendo “riservarsi” il gravame”.

Secondo il Collegio, difatti, una clausola dello stesso bando non può imporre, a pena di esclusione, una immediata impugnazione, risolvendosi tale regola operativa in una “implausibile compressione del diritto di difesa, costituzionalmente garantito”.

La conclusione, secondo il Collegio, è conforme al principio per cui “nelle gare pubbliche l’accettazione delle regole di partecipazione non comporta l’inoppugnabilità di clausole del bando regolanti la procedura che fossero, in ipotesi, ritenute illegittime, in quanto una stazione appaltante non può mai opporre ad una concorrente un’acquiescenza implicita alle clausole del procedimento, che si tradurrebbe in una palese ed inammissibile violazione dei principi fissati dagli artt. 24, comma 1, e, 113 comma 1, Cost., ovvero nella esclusione della possibilità di tutela giurisdizionale.”

In conclusione, secondo il Consiglio di Stato, non sussiste l’onere di immediata impugnazione della clausola del bando che stabilisce il criterio di aggiudicazione; inoltre, accettare quella clausola, presentando l’offerta senza formulare alcuna riserva, non ne comporta necessariamente acquiescenza, potendo l’illegittimità essere fatta valere successivamente, in caso di mancata aggiudicazione, senza che l’impugnazione sia pertanto preclusa, così come, ed è “l’altra faccia della stessa medaglia”, è possibile contestare immediatamente quella stessa clausola (riservandosi l’impugnazione) senza vedersi preclusa la partecipazione alla gara.

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