Partenariato Pubblico Privato e concessioni nel nuovo Codice: prime riflessioni.
Partenariato Pubblico Privato e concessioni nel nuovo Codice: prime riflessioni.
Pubblicato sul Sole24Ore, a cura dell’Avv. Stefano de Marinis
Lo schema di decreto legislativo approvato in via preliminare dal Governo lo scorso 16 dicembre, attualmente all’esame del Parlamento per i prescritti pareri, riserva al finanziamento privato degli investimenti pubblici 28 articoli sui 229 globalmente previsti, allocati nelle prime cinque parti del libro IV, ed un allegato (IV.1). Pur in un’ottica di necessaria continuità rispetto alle precedenti codificazioni, il testo rappresenta un importante passo avanti verso l’adozione di nuove e più efficaci logiche operative per la gestione dei contratti pubblici che, anche sugli specifici temi che rilevano in questa sede, appaiono di particolare significato.
Numerosi, infatti, sono i tratti distintivi delle norme in via di adozione rispetto alle corrispondenti previsioni del decreto legislativo n. 50/2016: in alcuni casi si tratta di chiarimenti più volte richiesti; in altri di veri cambi di passo, ad esempio per l’affidamento delle concessioni di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria (art.187).
Da registrare con favore, anzitutto, è la revisione della disciplina riguardante la risoluzione del contratto di concessione (art.177), specie per l’ipotesi di inadempimento del concessionario; stessa considerazione per la nozione di rischio operativo, inserita quale elemento causale necessario nello schema contrattuale tipico della locazione finanziaria. Quest’ultima, unitamente al contratto di disponibilità, risulta peraltro confermata nella lista delle nominate fattispecie in cui si identifica l’istituto del Partenariato Pubblico Privato di matrice contrattuale, riportata al comma 3 del nuovo articolo 174. Altresì chiarito è l’equivoco oggi esistente tra Partenariato Pubblico Privato inteso sia come contratto tipizzato, ai sensi del comma 8 dell’articolo 180 del vigente codice, sia come categoria generale, in favore della seconda lettura, posta l’eliminazione di qualsivoglia richiamo al PPP nella nuova citata lista.
Più impegnativo, viceversa, è il giudizio sulla stessa conferma del Partenariato Pubblico Privato quale autonoma categoria di contratti peraltro includente le concessioni; ciò anche perché il Partenariato Pubblico Privato è contemplato solo nelle regole Eurostat per la certificazione dei bilanci pubblici, non dalle direttive da recepire che ad esso non fanno riferimento alcuno; il tutto con implicazioni che si estendono alla disciplina della scelta del contraente (si applica la direttiva 2014/23/UE o la 24 ?). Si aggiunga che tutti i Partenariato Pubblico Privato hanno per base sempre un rapporto concessorio, (il partenariato pubblico-privato è un’operazione economica … tra un ente concedente e uno o più operatori economici privati recita l’articolo 174, comma 1, del testo in via di adozione), opzione questa degna di attenta riflessione, comunque non in linea con la disciplina Eurostat che tratta i due schemi in modo diverso.
In sintesi è da chiedersi se, in prospettiva, tutti contratti di Partenariato Pubblico Privato saranno considerati concessioni; se per tutti trova quindi applicazione la Direttiva 23 o se questa, come sembrerebbe più corretto, si applica alle sole concessioni propriamente dette, mentre le altre formule contrattuali (locazione finanziaria e contratto di disponibilità) saranno da trattare in base alla Direttiva 24.
Conseguito in parte, poi, è l’auspicato obiettivo di intervenire sulla nozione di “finanza di progetto”, a più riprese utilizzata dal vigente codice senza un approccio chiaro ed unitario (trattasi di tecnica economica, procedura di affidamento o di autonomo modello contrattuale ?): se è vero, infatti, che il nuovo articolo 174 correttamente non la include più nella lista delle tipizzate figure di Partenariato Pubblico Privato, restano inutili, se non fuorvianti, riferimenti nella rubrica del titolo IV, del libro IV e nell’articolo 194 sulle società di scopo (le attuali società di progetto); l’abbandono di ogni richiamo ad una formula economica più che giuridica, potrebbe facilmente ottenersi nella stesura finale del nuovo codice.
Valutazioni diverse riguardano, infine, ulteriori aspetti della disciplina in via di adozione, sul piano della possibilità attualmente prevista per gli operatori economici di rendersi proponenti di iniziative basate sul finanziamento privato, che paradossalmente rischia di venir limitata.
Sottratti da tale possibilità propositiva risultano, infatti, i progetti già inclusi negli atti generali di programmazione, scelta sulla quale nessuna positiva ricaduta può derivare dall’aver introdotto, nel nuovo articolo 175, una programmazione ad hoc per gli interventi in Partenariato Pubblico Privato. Tale opzione appare limitante anche in termini di stimolo per le amministrazioni ad attivare iniziative spesso altrimenti destinate a restare sulla carta, non solo per l’assenza di finanziamenti ma anche per la difficoltà di costruire in proprio efficaci soluzioni realizzative alternative rispetto al tradizionale appalto.
Allo stesso modo, l’innovativa possibilità di sostituire il diritto di prelazione per il proponente con una premialità da riconoscergli nella gara sulla proposta presentata, opzione peraltro da effettuare fin dalla programmazione, è scelta che innova sensibilmente la procedura del cosiddetto promotore che dopo numerosi tentativi ha trovato una soddisfacente definizione, introducendo una modalità che comunque necessita di verifica a livello comunitario, cosa di cui, viceversa, non ha più bisogno l’istituto della prelazione.
Lungi dal voler considerare qui esauriti tutti i profili implicati dalla disciplina che la nuova codificazione pone in tema di finanziamento privato degli investimenti pubblici, l’auspicio e che il passaggio parlamentare possa contribuire a rendere ancor più performante una formula la cui utilità non è più in discussione anche nell’ottica PNRR, destinata a favorire l’innovazione e la qualità dei servizi ben al di là, quindi, della mera esigenza di limitazione della spesa pubblica.