VALORI OMI: MERI INDIZI CHE NON PROVANO LO SCOSTAMENTO DEL PREZZO DI CESSIONE DI UN IMMOBILE, ANCHE SE AFFIANCATI ALLE INDAGINI BANCARIE DEL COMPRATORE
Per la CTP di Forlì (sentenza n. 391, depositata il 26 ottobre 2015) le indagini bancarie non costituiscono una presunzione legale valida ai fini delle imposte indirette. Da ciò ne consegue che l’accertamento avviato sulla discrasia con i valori OMI e supportato da ingiustificati prelevamenti sul conto corrente non è di per sé sufficiente per la pretesa di maggiore imposta di registro.
L’agenzia delle Entrate aveva contestato ad una contribuente l’occultamento di parte del corrispettivo al momento dell’acquisto di un immobile e, pertanto, riscontrato uno scostamento tra il valore indicato in atto rispetto ai dati OMI, aveva attivato le indagini bancarie invitandola a giustificarne le movimentazioni.
In sede giudiziale, veniva deposita dalla contribuente una perizia di stima che confermava il perché di un corrispettivo diverso rispetto ai rilievi statistici, mentre venivano riproposte le giustificazioni già prodotte in sede di contraddittorio sui prelevamenti bancari.
Il collegio di Forlì ha preliminarmente rilevato che le quotazioni OMI fungono solo da mero elemento indiziario, in quanto il corrispettivo può essere influenzato da diversi fattori legati a caratteristiche sia oggettive del bene sia soggettive dei contraenti. Ne consegue che l’amministrazione deve fondare la pretesa su ulteriori riscontri probatori.
Con riferimento alle indagini bancarie effettuate, il collegio ha rilevato che non è sufficiente l’esistenza di prelevamenti non giustificati per supportare la pretesa, poiché deve sussistere un collegamento sulla base del quale si possa concludere che tali movimentazioni siano riconducibili ad un occultamento di prezzo. Nella specie, quindi, l’unico elemento valido ai fini probatori, era la perizia prodotta dalla contribuente a conferma dell’infondatezza della pretesa. Da qui l’accoglimento del ricorso.