ARTE E TECNOLOGIA: MODELLI 4.0 PER UNA REALE DEMOCRATIZZAZIONE DELL’ARTE

a cura degli Avv. Pierluigi Piselli e Silvia Segnalini

Per usare un termine di Kevin Kelly (L’inevitabile. Le tendenze tecnologiche che rivoluzioneranno il nostro futuro, Il Saggiatore, 2017) , è — a nostro avviso — inevitabile che, anche in mondi che sono particolarmente chiusi e riluttanti verso la innovazione tecnologica, l’evoluzione dei mezzi digitali abbia un ingresso sempre più importante. Anzi, tanto più questi mondi sono restii, tanto maggiore sarà lo sconvolgimento in essi.

Il progresso tecnologico sarà inesorabile e certamente imprenditori visionari interverranno sulla scena proponendo nuove intuizioni che progressivamente modificheranno sia il modo di fruire di certi beni, sia il modo di produrre gli stessi.

Il tutto verso un sempre più massiccio uso della rete come mezzo di condivisione e democratizzazione.

Inevitabilmente ciò avverrà, secondo noi, anche nella cultura e nelle arti figurative.

E’ chiaro, siamo in un sistema che è molto refrattario ad aprirsi, in quanto molto legato ad un approccio elitario e polveroso. Ma l’affermazione che la cultura non sia per tutti deve fare i conti con il nuovo che avanza: la democratizzazione dell’arte, la democratizzazione della cultura è un qualcosa che sarà favorito, se non imposto, dalla evoluzione della tecnologia, dalla evoluzione della rete, dall’ evoluzione del web.

Questo è ciò in cui lo Studio Piselli & Partners crede: è ciò per il quale ci stiamo impegnando e verso il quale tendiamo: ricerca ed applicazione di istituti giuridici innovativi a servizio dell’arte. Non solo nello studiare nuove applicazioni utili nel nostro lavoro di legali, ma soprattutto nell’affiancare le nuove start up, affrontando tutte le problematiche giuridiche connesse all’applicazione di nuove tecnologie a segmenti ancora da esplorare.

Questo è ciò che si realizza, ad esempio, e forse non a caso, a Roma all’Auditorium della Conciliazione, nello show fortemente innovativo di Marco Balich Giudizio Universale. Si tratta di uno spettacolo emotivamente coinvolgente che permette di fruire in modo nuovo e diverso dei capolavori di Michelangelo nella cappella Sistina: con visioni ravvicinate di particolari degli affreschi, corredate da un inquadramento storico, oltre che artistico e culturale delle opere. Un’esperienza sensoriale che proietta lo spettatore con visione a 270 gradi all’interno del luogo facendogli vivere e fruire l’opera in modo totalmente nuovo e diverso.

L’innovazione tuttavia non è negli effetti speciali (Broadway insegna già da molto tempo). E’ legata al tema dello spettacolo: l’arte figurativa nella sua più alta espressione a livello mondiale. Per cui è forse riduttivo anche leggere — come sta avvenendo in questi giorni anche su testate specialistiche (www.artribune.com/progettazione/new-media/2018/03/giudizio-universale-la-cappella-sistina-protagonista-di-uno-show-a-roma-il-racconto/) — questa iniziativa solo in termini di spettacolo, intrattenimento: vi è infatti molto di più, sicuramente, ai nostri occhi di giuristi 4.0, una nuova forma — tutta da sviluppare ovviamente — di valorizzazione del patrimonio culturale.

Certo, i puristi diranno che le emozioni che si provano nel corso dello spettacolo non sono minimamente paragonabili a quelle derivanti da una visita diretta alla Cappella Sistina. Certamente d’accordo.

Tuttavia, a nostro avviso, è errato andare allo spettacolo con questa aspettativa. Sarebbe come leggere un testo di un Autore del passato e voler avere le stesse emozioni di quando ci si trovava alla presenza del manoscritto originale vergato di pugno ovvero come ascoltare una riproduzione musicale e voler avere le stesse emozioni di quando si ascolta la stessa musica dal vivo. Sono certamente cose diverse che hanno finalità diverse.

Ed è in questa direzione che si sta andando. Una moltiplicazione delle modalità di fruizione delle opere d’arte anche in quei settori in cui la moltiplicazione è meno immediata.

Se, infatti, la riproducibilità per musica, fotografia, fumetti e film — proprio per il mezzo utilizzato —  è nella natura delle cose, lo sforzo che dovrà essere fatto soprattutto a livello culturale, è quello di rendere fruibili a tutti le opere figurative non solo attraverso l’esposizione in mostre o gallerie o collezioni, ma anche attraverso la tecnologia, il web e la realtà virtuale.

In altri termini, le arti figurative dovranno aprirsi a nuove forme di utilizzazione. Compito dell’artista, pertanto, è di fornire materiali suscettibili di essere utilizzati con nuove modalità (nuove forme di arte si stanno già affacciando); compito del giurista è di inquadrare tali nuove forme di utilizzazione e studiare modelli innovativi con gli strumenti che gli sono propri; compito dell’imprenditore e/o del mecenate è di valorizzare tali nuovi modelli.

Ecco, allora, il fenomeno dell’arte a quote col quale già il mondo artistico britannico, all’inizio quasi come provocazione antisistema, si sta confrontando. Nel cuore di Shoreditch, east end londinese, nel 2014 ha infatti aperto una galleria — prima e, a quanto ci consta, tuttora unica nel suo genere — che vende opere d’arte contemporanea a “pezzi” come fossero le tessere di un puzzle, per avvicinare i giovani, e/o chi ha un budget modesto, a un mondo altrimenti inaccessibile. Si chiama “My Art Invest“, e la partenza ha visto anche in vendita un Banksy originale, che in una galleria commerciale può arrivare a valere 140 mila sterline. Lo scorso ottobre 2017, a questo progetto risponde l’Italia, mettendo in vendita per beneficenza, i 960 taccuini Moleskine utilizzati dallo street artist JBRock per realizzare l’opera “Moleskine, il tuo Universo” al Macro di Roma fino al 1 ottobre. Il ricavato viene fra l’altro devoluto all’associazione ArteInMente che si occupa di bambini con il disturbo dell’attenzione, e la performance dell’artista viene certificata da Vericode. Per la prima volta al mondo, e non casualmente ancora una volta a Roma, la democratizzazione dell’arte — realizzata attraverso la scomposizione della medesima in tessere, che nel caso specifico sono Moleskine su cui è intervenuto l’artista, ciascuna in vendita anche online a 50 euro — fa rima con charity, ma anche e soprattutto, attraverso Vericode, con blockchain, e relativi processi innovativi di certificazione delle opere d’arte.

Ma non solo. Con buona pace di Oscar Wilde che affermava in maniera provocatoria come “not art should never try to be popular. The public should try to make itself artistic”, il processo di democratizzazione dell’arte, favorito e accelerato dall’evoluzione tecnologica, porterà sempre più — noi giuristi — a sorvegliare, costruendo e regolandone il modello più adeguato, ulteriori scenari come quello delle opere d’arte a garanzia dei prestiti (sul quale si veda Arte a garanzia di finanziamenti di Segnalini), le cui potenzialità sono sicuramente sottoespresse in Europa e in Italia: ove non si è ancora riflettuto abbastanza sul ricorso all’artfinancing che, permettendo ai collezionisti di mantenere la proprietà delle opere d’arte, consente loro di effettuare altri investimenti o di finanziare spese inattese, proteggendo al contempo il resto del loro patrimonio. Con un conseguente aumento di liquidità per i collezionisti che indurrà un miglioramento nella trasparenza e nell’efficienza del mercato dell’arte.

Non è quindi un caso come proprio a Roma, lo Studio Piselli & Partners si stia affermando come “studio legale/laboratorio di idee”, di supporto e di riferimento per i progetti che coniugano arte e tecnologia. Con un approccio mentale di estrema apertura ed una pratica giuridica efficace per le nuove tecnologie applicate all’Arte.

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