IL DECRETO CD. ‘CURA ITALIA’. IL CONTAGIO DA COVID-19 SUI LUOGHI DI LAVORO AI FINI DELLE PRESTAZIONI EROGATE DALL’INAIL
a cura degli Avv.ti Pierluigi Piselli e Alessio Cicchinelli
L’art. 42, co. 2, D.L. n. 18/20, rubricato “Disposizioni INAIL” precisa che “Nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato. Le prestazioni INAIL nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro. I predetti eventi infortunistici gravano sulla gestione assicurativa e non sono computati ai fini della determinazione dell’oscillazione del tasso medio per andamento infortunistico di cui agli articoli 19 e seguenti del Decreto Interministeriale 27 febbraio 2019. La presente disposizione si applica ai datori di lavoro pubblici e privati”.
La disposizione in esame sembra, dunque, equiparare i casi di accertata infezione da COVID-19 nell’ambito dei luoghi di lavoro all’accertamento di ogni altro evento infortunistico, ai fini dell’erogazione delle prestazioni INAIL; essa si colloca nel complesso quadro di misure eccezionali introdotte dal Governo in svariati campi dell’ordinamento sociale e giuridico, volte, tra le altre cose, anche al sostegno dei lavoratori.
Nella Relazione tecnica di accompagnamento al D.L. n. 18/20, relativamente a tale disposizione, si precisa semplicemente che “La disposizione è di carattere procedimentale e quindi non comporta nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. In maniera più esaustiva, invece, nel Dossier redatto dal servizio studi parlamentare, viene rappresentato che “Il comma 2, in primo luogo, conferma, per le infezioni da virus SARS-CoV-2 (noto anche come COVID-19) contratte in occasione di lavoro, che trova applicazione il principio generale in base al quale le malattie infettive contratte in circostanze lavorative (ad esclusione di quelle inquadrate come malattie professionali) sono considerati infortuni sul lavoro ai fini della relativa assicurazione obbligatoria – con esclusivo riferimento, naturalmente, ai lavoratori, pubblici e privati, iscritti, in ragione della loro attività, alla medesima assicurazione -. In merito, il comma 2 conferma infatti che il medico certificatore redige l’ordinario certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL e che le prestazioni a carico di quest’ultimo Istituto – nei casi accertati di infezioni dalla malattia in oggetto in occasione di lavoro – sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato”[1].
Anche alla contratta infezione da COVID-19 sui luoghi di lavoro, dunque, si applica il principio generale di equiparazione delle malattie infettive agli infortuni sul lavoro.
Pare interessante notare come, per i soli operatori sanitari, in conformità a tale principio generale, anche la circolare INAIL 60010 del 17.3.20 (adottata, cioè, contestualmente alla pubblicazione in G.U. del D.L. cd. “Cura Italia”) ha chiarito che “in linea con l’indirizzo vigente in materia di trattazione dei casi di malattie infettive e parassitarie, l’Inail tutela tali affezioni morbose, inquadrandole, per l’aspetto assicurativo, nella categoria degli infortuni sul lavoro, in questi casi, infatti, la causa virulenta è equiparata a quella violenta”; ancor più precisamente, la stessa circolare continua affermando che “si ritiene di ricondurre anche i casi di Covid-19 dei lavoratori dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale e, in generale, di qualsiasi altra Struttura sanitaria pubblica o privata assicurata con l’Istituto, ossia, medici infermieri e altri operatori sanitari in genere, laddove sia accertata l’origine professionale del contagio, avvenuto nell’ambiente di lavoro, oppure per causa determinata dallo svolgimento dell’attività lavorativa”.
Ciò posto, seppur a fronte della ineludibile necessità di fornire ai lavoratori ogni più opportuno sostegno nell’ambito della eccezionale situazione emergenziale ancora in essere, l’art. 42 pone delicate criticità interpretative, sia dal punto di vista delle modalità di accertamento delle infezioni da coronavirus in occasione di lavoro, sia delle misure che il datore di lavoro deve porre in essere per scongiurare ogni rischio di contagio e, dunque, essere esente da qualsivoglia responsabilità di natura civile e penale.
Per quanto riguarda il primo aspetto, infatti, non può non considerarsi come la straordinaria contagiosità del virus COVID-19 molto spesso precluda un sicuro accertamento sulla fonte di contagio; tant’è che nella circolare dell’INAIL sopra richiamata, per sopperire a tale difficoltà per gli operatori sanitari, si sottolinea che “ove l’episodio che ha determinato il contagio non sia percepito o non possa essere provato dal lavoratore, si può comunque presumere che lo stesso si sia verificato in considerazione delle mansioni/lavorazioni e di ogni altro indizio che in tal senso deponga”; in buona sostanza, tenuto conto del rischio professionale insito nell’esercizio dell’attività sanitaria in piena emergenza da COVID-19, l’eventuale contagio si presume essersi prodotto nell’ambito dell’attività lavorativa.
Ebbene, tale approccio, ove analogicamente seguito anche per ogni altro lavoratore non può che comportare gravi e sproporzionate conseguenze in capo ai datori di lavoro pubblici e privati, qualora non venga espressamente chiarito che l’equiparazione di cui all’art. 42 in commento è fatta ai soli ed esclusivi fini dell’erogazione delle prestazioni INAIL o, in ogni caso, ove non venga chiarito per via legislativa quale sia il complesso di misure che il datore di lavoro pubblico e privato deve porre in essere per scongiurare il rischio di contagio o, comunque, per scongiurare ogni profilo di responsabilità.
Accanto alla valorizzazione delle forme di cd. smart working incentivate anche nell’ultimo decreto governativo, alcune indicazioni, sotto tale profilo, potrebbero trarsi dalle disposizioni del D.Lgs. n. 81/08, che, a titolo esemplificativo, pone a carico del datore di lavoro una serie di obblighi, tra cui quelli di:
– fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il RSPP e il Medico Competente;
– richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza e igiene sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione;
– adottare misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza;
– informare i lavoratori dei rischi e delle disposizioni prese in materia di protezione;
-astenersi dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un rischio grave e immediato (cfr. l’art. 18 del D.Lgs. n. 81/08).
Ancora, sempre ai sensi del D.Lgs. n. 81/08, il datore di lavoro potrebbe aggiornare il Documento di Valutazione dei Rischi, di cui al combinato disposto degli artt. 17 e 28 del D.Lgs. n. 81/08 cercando di agire in via preventiva per adattare l’organizzazione imprenditoriale e la specifica attività professionale alle contingenti situazioni emergenziali.
Ad ogni modo, accanto a tali spunti esemplificativi, occorrerebbe accompagnare alla necessaria normativa eccezionale in tema di sostegno ai lavoratori anche una chiara e sistematica raccolta di prescrizioni – altrettanto eccezionale – indirizzata ai datori di lavoro al fine di prevenire il rischio di contagio e porli al riparo da incongrue letture dell’art. 42 esaminato.
[1] Grassetto nostro. Cfr. pag. 91 del Dossier di studi parlamentari del 20 marzo 2020 D.L. 18/2020 – A.S. 1766.