L’errata o palese indicazione incongrua dei costi della manodopera non comporta l’esclusione immediata dell’offerta.

L’errata o palese indicazione incongrua dei costi della manodopera non comporta l’esclusione immediata dell’offerta.

Approfondimento a cura dell’Avv. Giuseppe Imbergamo e della Dott.ssa Tania Rea

Sentenza consiglio di stato 7141

La sezione V del Consiglio di Stato con la Sentenza 7141 ha ricostruito l’ambito di intervento della stazione appaltante, nonché i limiti ad esso correlati, nel caso di palese incongruenza dei costi della manodopera indicati dall’offerente.

In particolare, la questione sollevata dall’appellante imponeva di stabilire se il verificarsi di tale ipotesi comportasse l’immediata esclusione dell’offerta, in virtù della riscontrata difformità tra detto importo e l’effettivo costo del lavoro, ovvero se la stazione appaltante, constatato che tale indicazione non corrispondeva al complessivo costo della manodopera impiegata per l’esecuzione dell’appalto, dovesse procedere all’avvio del procedimento di verifica della congruità dell’offerta.

Secondo la tesi dell’appellante (secondo classificato), la stazione appaltante avrebbe proceduto a una inammissibile correzione dell’offerta (dell’aggiudicataria), posto che non sarebbe consentito procedere a soccorso istruttorio su elementi essenziali dell’offerta, così come sarebbero inammissibili le modifiche apportate all’offerta dall’aggiudicataria con lo strumento delle giustificazioni presentate in sede di verifica dell’anomalia.

In primo grado il Tar Puglia (sezione I, sentenza n. 173/2021) ha affermato che l’indicazione dei costi palesemente incongrui della manodopera doveva ritenersi il frutto di «un evidente errore della controinteressata (da qualificare come errore ostativo o nella dichiarazione)» e, come tale, riconoscibile ictu oculi dalla stazione appaltante grazie al contesto stesso dell’atto. Pertanto, secondo il TAR, la stazione appaltante ben poteva procedere d’ufficio con la correzione dell’errore materiale.

La sentenza viene prontamente impugnata con una serie di doglianze.

In particolare, l’appellante (sempre il secondo classificato) ha lamentato che, anche in forza del principio di immodificabilità dell’offerta, l’errore materiale può essere rettificato d’ufficio dall’Amministrazione soltanto quando: i) tale errore sia riconoscibile e ii) sia palese l’effettiva volontà negoziale del concorrente. In altri termini, l’errore materiale è tale quando l’Amministrazione possa procedere alla rettifica senza effettuare particolari attività di verifica o di interpretazione circa il contenuto dell’offerta formulata.

Ebbene, secondo l’appellante, non era questo il caso, in quanto la formulazione del costo della manodopera (indicato in cifre e in lettere nell’errato importo di euro 9.120,00) non si sarebbe potuto evincere dalla reale volontà dell’offerente, se non attraverso un inammissibile ricorso a fonti di conoscenza esterne. Sul punto l’appellante ha sottolineato che l’effettiva valutazione dei costi della manodopera è stata operata soltanto in sede di giustificazione dell’anomalia, e quindi in un momento successivo alla conclusione delle operazioni di valutazione delle offerte con atti integrativi ed esterni all’offerta stessa.

Il Consiglio di Stato ha subito chiarito che nel caso di specie non si è trattato di un errore materiale, dal momento che, avendo l’operatore economico indicato lo stesso importo sia in cifre che in lettere, dall’esame dell’offerta economica non si poteva ricavare alcun elemento che facesse dubitare della corrispondenza di quanto ivi indicato rispetto all’effettiva volontà del dichiarante.

Quanto detto, secondo il Collegio, trova conferma nella circostanza per cui la stazione appaltante, per comprendere la discrepanza, ha dovuto procedere «a un’attività interpretativa» non consentita perché «basata su dati esterni al documento (quale, per esempio, l’importo del contratto posto a base di gara».

Una volta ricostruito il perimetro della questione, il Collegio ha precisato che l’eventuale indicazione di costi della manodopera incongrui non legittima l’immediata esclusione dell’offerente; al contrario, in tale ipotesi nasce l’esigenza di una verifica attraverso il «procedimento di verifica della congruità dell’offerta» e verifica dei giustificativi.

A differenza di quanto sostenuto dall’appellante, precisa la sentenza, non si può dedurre che attraverso queste operazioni sia configurabile una

«ipotesi (inammissibile) di modifica dell’offerta in sede di giustificazioni, dal momento che la verifica di congruità e il vaglio delle giustificazioni sono stati condotti prendendo in considerazione gli elementi proposti con l’offerta, senza alcuna modifica postuma».

Infatti, secondo il Collegio occorre distinguere il soccorso istruttorio integrativo (articolo 83, comma 9 del Codice) dal sub-procedimento di verifica della congruità dell’offerta (art. 97, comma 5 del Codice). 

Nel caso di specie, la ricostruzione delle varie componenti dell’offerta non è avvenuta attivando il soccorso istruttorio – circostanza effettivamente inammissibile perché tale sub-procedimento non può riguardare l’offerta – ma, più correttamente, attraverso la verifica della congruità a cui l’appaltatore è chiamato a partecipare presentando le giustificazioni.

Infatti, l’art. 95, comma 10 del Codice, contrariamente a quanto avviene nel caso di mancata indicazione del costo della manodopera, non prevede per l’ipotesi di errata o incongrua indicazione del costo della manodopera, l’immediata esclusione dell’offerta, ma impone ai sensi dell’art. 97, comma 5, lettera d), la verifica della congruità dell’offerta. Pertanto, solo nel caso in cui la verifica risultasse negativa l’offerta potrebbe essere esclusa.

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Sentenza consiglio di stato 7141

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