Il codice 36 nasce dalla straordinarietà PNRR ma impone una rottura rispetto al passato che può diventare ordinaria
Il codice 36 nasce dalla straordinarietà PNRR ma impone una rottura rispetto al passato che può diventare ordinaria
A cura di Avv. Stefano de Marinis
Tutte le più importanti opzioni che si leggono nei due principali provvedimenti di semplificazione messi in campo tra il 2020 ed il 2021, in parte anticipati anche dal decreto sblocca cantieri del 2019, si ritrovano, a regime, nel nuovo codice. Queste norme hanno trainato il settore e l’economia nel 2021-22 e possono fare altrettanto fino al 2032 – L’INTERVENTO di Stefano de Marinis su diarionuoviappalti.it
Dal 1° luglio è operativo il nuovo codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo n. 36, del 31 marzo 2023. Nonostante il rinvio al 1° gennaio 2024 delle disposizioni riferite al cosiddetto pacchetto digitale – scelta che si porta dietro l’intero segmento informativo documentale comprendente la Banca Dati Nazionale Anac, il Fascicolo Virtuale dell’Operatore Economico, la pubblicità delle gare ed il regime di raccolta e comunicazione dei dati rilevanti, incluso il DGUE, che resta regolato dal vecchio codice fino al 31 dicembre – possiamo a tutti gli effetti dire di trovarci davanti ad una vera svolta sostanziale della disciplina di settore.
Non che in questo campo i cambiamenti delle regole che lo governano siano stati fin qui cosa rara; se consideriamo gli ultimi 30 anni si contano almeno 4 grandi interventi di riscrittura ex novo del quadro normativo (la legge Merloni, il Codice de Lise, il Codice 50 e il nuovo codice), ai quali aggiungere la legge obiettivo, numerosi correttivi e decine di decreti legge modificativi di questa o quella disposizione, o gruppo di esse.
Un contesto, quindi, che non trova requie, da tempo privato della possibilità di assestare scelte che, al di là di qualsiasi valutazione di merito, comunque necessiterebbero di opportuna sedimentazione, specie da parte della giurisprudenza chiamata a giudicare della loro corretta applicazione.
Al riguardo, basti pensare che il regolamento per la direzione, la contabilità e la collaudazione dei lavori era del 1895, prima di essere assorbito, nel 1999, dal Dpr 554; ancora, la legge di contabilità generale dello Stato, che disciplinava unitariamente anche le forniture e i servizi, e il relativo regolamento, datavano rispettivamente 1923 e 1924, e all’atto del loro primo, ancorché parziale, pensionamento operavano da oltre 70 anni.
Le considerazioni sull’inopportunità di porre ancora una volta mano al quadro delle regole sarebbero valide anche per questo nuovo intervento, che peraltro ci si augura possa esser l’ultimo; in questo caso, però, non si è trattato dell’ennesima iniziativa del legislatore nazionale in cerca di riscontro, ma dell’assolvimento di un preciso impegno assunto dal Governo con l’Europa, all’atto dell’assegnazione delle importanti risorse poste a servizio del programma Next Generation EU – unico strumento che si occupa di disegnare e sostenere scenari evolutivi di ampio respiro per il nostro futuro – in Italia declinato come PNRR.
A fronte della concessione di oltre 200 miliardi di euro, peraltro finanziati dal debito comune, l’impegno era quello di porre fine ad una oggettiva crescente difficoltà che l’Italia da tempo manifesta rispetto alla capacità di utilizzare le risorse che l’Europa, pur con modalità diverse, ciclicamente ci mette a disposizione, sempre motivata della farraginosità delle regole che governano i processi di spesa. Accompagnare l’attuazione del PNRR, che come è noto prevede investimenti e riforme, con nuove regole anche su questo fronte era quindi ineludibile, così come non eludibile era il significativo cambio di passo che tale intervento doveva portare per non riprodurre la situazione del passato. Da aggiungere, poi, è che qui si tratta di operare anche nell’interesse dell’Unione: l’ammodernamento del Paese che il PNRR persegue è, infatti, necessità non solo nostra, ma dell’intero contesto socio economico comunitario di cui siamo parte indispensabile che, nello scenario evolutivo mondiale già in corso, non intende restare al margine nè risultare servente.
In questo senso si è provveduto, modificando radicalmente l’approccio frutto dell’altra importante riforma che, nel 1994, aveva investito il settore: la cosiddetta legge Merloni. Ciò andando in larga parte a stabilizzare quelle regole che, da metà 2020, avevano prima consentito al Paese di uscire dalla crisi post pandemica, realizzando ottime performance di PIL, non solo in termini di mero rimbalzo, e successivamente di affrontare, sempre con risultati positivi, la crisi energetica generata dagli eventi bellici tuttora irrisolti.
Tutte le più importanti opzioni che si leggono nei due principali provvedimenti di semplificazione messi in campo tra il 2020 ed il 2021, in parte anticipati anche dal decreto sblocca cantieri del 2019, si ritrovano, a regime, nel nuovo codice: dall’importante semplificazione nella gestione dei contratti di rilevanza nazionale al Collegio Consultivo Tecnico, quale strumento di supporto al RUP anche sul fronte delle sue responsabilità, volto ad evitare la sospensione dei lavori o consentirne il pronto riavvio più che a introdurre un doppione di istituti quali l’accordo bonario o l’arbitrato; dal recupero dell’appalto integrato specie in funzione PNRR, superando la rigida aprioristica separazione tra progettazione ed esecuzione, alla generalizzazione della consegna sotto le riserve di legge, anche questa per favorire il pronto avvio dei processi esecutivi; dall’anticipazione contrattuale al 30% al ripristino della revisione dei prezzi quale strumento legale di riequilibrio del corrispettivo d’appalto in presenza di significativi fenomeni di inflazione; dalle regole sui ricorsi amministrativi al tema della responsabilità per danno erariale.
Il tutto all’interno di un innovativo contesto di principi che lo stesso Consiglio di Stato ha messo a punto, quale momento qualificante del proprio operato ed imprescindibile chiave di lettura del l’intero nuovo codice, ovvero dell’obiettivo cambio di passo che lo caratterizza.
In questo senso l’impostazione del 1994, riassumibile nel fatto di prevedere, per il solo campo dei lavori, all’epoca considerato trainante, o forse come il solo avente necessità di essere “corretto”, un sistema di norme contraddistinto da un sostanziale azzeramento di ogni margine di esercizio della discrezionalità amministrativa, la cui gestione veniva posta in mano ad un tecnico (il RUP) piuttosto che ad un amministrativo (il RUP era addirittura chiamato a “garantire” la conformità a legge delle disposizioni contenute nei bandi di gara e negli inviti), viene oggi totalmente superata con una sorta di inversione ad U che si giustifica nel senso di modificare scelte che, nella migliore delle ipotesi non avevano dato i frutti sperati; nella peggiore, anche per le numerose contorsioni del quadro giuridico dalle stesse generate, avevano solo reso sempre più difficile attivare la spesa pubblica anche per la paura di sbagliare di chi doveva farlo, generando il più che condivisibile tema della cosiddetta amministrazione difensiva.
In quest’ottica l’aver posto al vertice della piramide dei principi in base ai quali si interpretano e si applicano tutte le disposizioni del nuovo codice quello del risultato che, per affermazione espressa, costituisce attuazione, nel settore dei contratti pubblici, del principio del buon andamento e dei correlati principi di efficienza, efficacia ed economicità, ed è altresì perseguito nell’interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione europea, di per sé ben sintetizza il senso di una svolta epocale.
Superando l’impostazione puntata solo sui lavori, il perseguimento del risultato diviene, in tutto il campo della contrattualistica pubblica, per esplicita volontà del legislatore, la chiave attuativa della regola costituzionale fissata dall’articolo 97 della legge fondamentale dello Stato. Subordina ad esso anche il principio di concorrenza intesa in senso astratto, ragion per cui, ad esempio, non avremo più la necessità di gare partecipate oltre i limiti della loro utile gestione, o prolungate attese per stabilire il diritto ad eseguire il singolo contratto da parte di questo o quell’operatore interessato ad accrescere il proprio curriculum in vista del futuro accesso al mercato, ponendo in secondo piano l’interesse generale del cittadino a fruire prontamente delle opere in appalto, fermo il diritto al risarcimento del pretendente che, a seguito del giudizio di merito, dimostri il pregiudizio subito.
Il principio del risultato, sempre per affermazione espressa, costituisce altresì il criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto, ciò che si collega al successivo principio della fiducia, su cui viene fondata l’attribuzione e l’esercizio del potere nel settore dei contratti pubblici; il principio di fiducia fissato all’articolo 2 considera tutte le parti; vi si legge che è reciproca, e che riguarda l’azione da intendersi, per presupposto, legittima, si badi benetrasparente e corretta da parte dell’amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici.
Appare in tutta la sua evidenza l’impostazione assai differente rispetto al, più o meno recente, passato.
Dovendo sintetizzare senso e portata del nuovo codice potremmo dire che si è inteso con esso, da un lato restituire all’amministrazione pubblica l’esercizio della discrezionalità, quale essenza stessa del suo ruolo, ancorché da tempo fortemente limitata soprattutto in questo settore; dall’altro compensare tale apertura di credito, puntando sulla trasparenza, assicurata dalla tracciabilità delle corrispondenti attività, in specie ricorrendo alle forme più avanzate di digitalizzazione dell’intero processo realizzativo.
Il trade off tra semplificazione e trasparenza così attuata è, per affermazioni che più volte si trovano nella preziosa Relazione del Consiglio di Stato che accompagna il nuovo codice, la chiave di volta dell’intera operazione di rinnovamento su cui è basato l’intervento del legislatore; ciò che in conclusione ne decreterà il successo o il fallimento.
I presidi sono la digitalizzazione in senso avanzato non della sola fase di scelta del contraente, la cui implementazione è opera non facile che necessita della spinta finale e, in parallelo, la qualificazione delle Stazioni Appaltanti. Bene quindi, sul primo fronte, il rinvio del citato pacchetto di regole al 1° gennaio 2024, onde consentire alle amministrazioni e alle imprese di attrezzarsi per tempo, in tal senso eliminando il pretesto di ulteriori false partenze per motivare il definitivo abbandono di scelte che sono tanto fondamentali quanto da tempo perseguite senza grande successo; bene quindi anche la già intervenuta emanazione, specie da parte di AgID ed ANAC, delle necessarie disposizioni attuative.
Si può dire, dunque, che il nuovo codice rappresenta una grande occasione per rinnovare in modo importante un approccio legislativo più volte giudicato insufficiente dall’Europa che in ogni occasione in cui ciò è stato possibile (dalle offerte anomale al subappalto, dal collegamento tra imprese alle incompatibilità nelle attività di progettazione ecc.) ci ha ricordato come non facciano parte della cultura delle direttive di settore norme recanti divieti assoluti che precludano alle stazioni appaltanti la valutazione della singola situazione (cioè l’individuazione della regola del caso concreto cui propriamente si riferisce il quarto comma dell’articolo 1), cultura viceversa già da tempo orientata alla digitalizzazione dei processi ed alla trasparenza sull’operato dei singoli che questa permette realizzando in tal modo il corretto presidio rispetto ad ogni forma di distorsione.
Per chi, infine, dubita di una scelta il cui senso altro non sarebbe se non quello di stabilizzare una disciplina di matrice emergenziale che, passata la straordinarietà del momento, non avrebbe più ragion d’essere, appare utile ricordare che l’esigenza è tutt’altro che esaurita.
Trattasi di dar corso, da qui al 2032, al più grande progetto di rinnovamento e trasformazione del Paese che può contare, tra PNRR, PNC e fondi strutturali dell’Unione europea, su oltre 400 miliardi di sole disponibilità finanziarie pubbliche da tradurre in investimenti a un ritmo di spesa aggiuntiva che supera i 40 miliardi annui, ciò che conferma, pur in un’ottica diversa, il permanere dei presupposti di straordinarietà.
Che se poi, considerati i dati quadrimestralmente diffusi dall’ANAC, la possibilità di continuare ad operare sui ritmi raggiunti dal 2020 in poi in base a norme fin qui definite emergenziali o straordinarie risulterà in grado di risolvere in via definitiva l’atavica difficoltà del Paese di mettere a terra, come usa dire, gli investimenti, non si vede perché non riclassificare, anche lessicalmente, tali norme come ordinarie.