IL REATO DI AUTORICICLAGGIO AL VAGLIO DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 15 dicembre 2015 – 27 gennaio 2016, n. 3691

A cura dell’Avv. Mario Antinucci

 

Al vaglio della Corte Suprema l’impugnazione avverso il Tribunale del riesame di Como che confermava un sequestro di beni a carico dell’indagato che veniva trovato in possesso di grosse somme in contanti: la prima sentenza di legittimità sul reato di autoriciclaggio di recente introduzione[1].  I precedenti fermi in dogana con mazzette di banconote, i modesti redditi ufficiali e le rischiose modalità di trasferimento in Svizzera dei fondi, facevano ipotizzare la commissione del reato di autoriciclaggio di cui all’art. 648 ter, 1° co., c.p.,  con riferimento a redditi fiscalmente illeciti; successivamente il PM – in linea con altri spunti investigativi – convalidava le perquisizioni ed i sequestri, ritenuti avere ad oggetto cose pertinenti il reato di cui all’art. 648 ter, c.p.

Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi art. 606 lett. c) ed e) c.p.p., la violazione dell’art. 125 c.p.p. per avere il Tribunale del riesame confermato la convalida del sequestro operato a (…) con motivazioni che possono adattarsi solo al sequestro operato a Milano e senza dar conto di una concreta condotta di impiego e/o di trasferimento e/o di sostituzione delle somme rinvenute in (…) e, in generale senza adeguatamente motivare sulla ricorrenza degli elementi costitutivi delle fattispecie di cui all’art. 648 ter, c.p., secondo l’impostazione del P.M., ovvero di quella di cui all’art. 648 ter, 1° co., c.p. secondo l’impostazione della P.G., limitandosi a valorizzare il mero possesso di denaro.

Cassazione (1)Con il terzo motivo del ricorso il ricorrente lamenta, ai sensi art. 606 lett. c) c.p.p., la violazione dell’art. 125 c.p.p. per aver omesso il Tribunale di motivare in ordine alla censura avanzata con memoria in data 1.9.2012, con la quale si eccepiva la non configurabilità del reato di autoriciclaggio nei casi in cui il reato presupposto risulti commesso in data precedente l’entrata in vigore della novella legislativa che ha introdotto tale reato.

Osserva – preliminarmente  – il Supremo Collegio  in materia di misure cautelari il sindacato di legittimità che compete alla Corte di Cassazione è limitato alla verifica dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza la possibilità di verificare la corrispondenza delle argomentazioni alle acquisizioni processuali, essendo interdetta in sede di legittimità una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione[2]; In particolare in materia di misure cautelari reali, il giudizio di legittimità risulta ancora più circoscritto, in quanto cade in un momento processuale, quale quello delle indagini preliminari, caratterizzato dalla sommarietà e provvisorietà delle imputazioni; ciò comporta che in sede di legittimità non è consentito verificare la sussistenza del fatto reato, ma soltanto accertare se il fatto contestato possa astrattamente configurare il reato ipotizzato; si tratta, in sostanza, di verificare un controllo sulla compatibilità fra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata, mediante una delibazione prioritaria dell’antigiuridicità penale del fatto[3].

Sulla base di tale premessa, l’ordinanza impugnata non risulta censurabile, emergendo dalla stessa una motivazione congrua e logica circa la sussistenza dei presupposti che giustificano l’adozione di una misura cautelare reale.

Quanto al primo motivo di ricorso, attinente all’asserita mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla concreta condotta di impiego e/o di trasferimento e/o di sostituzione delle somme rinvenute in Como, il provvedimento del Tribunale del riesame impugnato non presenta i vizi denunciati, in quanto esprime un’articolata motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti, rilevando come le circostanze del fatto che avevano portato alle attività di perquisizione e sequestro giustificavano senza dubbio la formulazione di un’ipotesi accusatoria di riciclaggio, e che comunque, con riferimento all’ipotesi di autoriciclaggio, la pur incerta destinazione delle somme appena importate in Italia non precludeva “di configurare quantomeno una fattispecie delittuosa tentata”. Ciò sulla base di considerazioni di fatto non censurabili in sede di legittimità, in quanto immuni da contraddittorietà o illogicità manifeste: in particolare, si è riconosciuto che concorrevano ad integrare il fumus dell’ipotizzato reato il rinvenimento di una rilevante somma di denaro in contanti, ripartita e confezionata con modalità tali da implicare una loro pronta circolazione, con suddivisione in mazzette di banconote di grosso taglio, in possesso di un soggetto che aveva appena varcato il confine di Stato a bordo di automobile con un doppio fondo occultato, e che peraltro già pochi mesi prima era stato fermato in un aeroporto con 180.000,00 Euro in contanti, e si è indicato tra le circostanze significative anche il rinvenimento nella propria abitazione, in provincia di Como, di altro denaro contante, che si rilevava essere stato “analogamente riposto in bizzarri involucri”, per evidenziare infine che si tratta di elementi indiziari circa l’esistenza di un traffico di valuta di provenienza illecita, atteso anche che i redditi del possessore non giustificavano in alcun modo tali disponibilità.
Si tratta di argomentazioni immuni da vizi logici, che non si limitano a valorizzare il mero possesso di denaro, come si assume con il primo motivo di gravame, e che giustificano la sussistenza delfumus, presupposto non solo del sequestro operato in Milano, ma anche di quello operato in provincia di Como, di cui si discute in questa sede, ed in relazione ad entrambi i giudici del riesame hanno riconosciuto essere legittimamente sequestrabili, in considerazione della natura dell’ipotesi di reato contestata, “sia il denaro (costituente vero e proprio corpo del reato), sia tutti i supporti cartacei e informatici rinvenuti (onde provare i movimenti di tale denaro e gli spostamenti del soggetto)”, oltre all’automobile predisposta per occultare il corpo del reato. Deve, poi, sul punto rilevarsi che il ricorso per cassazione contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, rientrando in tale nozione sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo di quei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi del tutto inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice[4].

Nel caso di specie, invece, il provvedimento impugnato argomenta in maniera più che sufficiente in ordine ai presupposti giustificativi del sequestro, facendosi riferimento, quanto al fumus, alla ipotizzabile provenienza illecita dei beni trasferiti dalla Svizzera in modo idoneo ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza, con conseguente astratta possibilità di formulare tanto “un’ipotesi accusatoria relativamente ad una condotta di riciclaggio”, quanto la configurabilità del reato di “autoriciclaggio”, in considerazione della “ancora incerta destinazione di dette somme (del resto appena importate in Italia)”, tale da non precludere di “configurare quantomeno una fattispecie delittuosa tentata”. Ciò si pone perfettamente in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che ha costantemente riconosciuto che in materia di sequestro il giudice del riesame deve avere riguardo al fatto in relazione al quale si rappresenta l’esistenza di un fumus di reato, ben potendo confermare il provvedimento anche sulla base di una diversa qualificazione giuridica di tale fatto[5]: nel caso di specie, infatti, il Tribunale, con riferimento al medesimo fatto come sopra rappresentato, ha legittimamente ritenuto di dovere confermare il provvedimento impugnato, sia pure in relazione ai reati di riciclaggio o di autoriciclaggio, quantomeno nella fattispecie tentata.

Manifestamente infondato è infine anche l’ultimo motivo del ricorso, concernente l’ipotesi di reato di cui all’art. 648 ter, 1°, c.p. introdotto dalla legge 14 dicembre 2014 n. 186, attesa l’irrilevanza della realizzazione, in epoca antecedente l’entrata in vigore di tale normativa, delle condotte di cui all’art. 4 D. Lgs. 74/2000 assunte ad ipotesi di reato presupposto: va premesso che impropriamente viene invocato il principio di irretroattività della legge penale di cui all’art. 2 c.p. in relazione ad un reato, quale quello di autoriciclaggio, nel quale soltanto il reato presupposto si assume commesso in epoca antecedente l’entrata in vigore della I. 15/12/2014 n. 186, ma quando comunque lo stesso reato era già previsto come tale dalla legge, mentre l’elemento materiale del reato di cui all’art. 648 ter c.p. risulta posto in essere in data 7 luglio 2015, ben successivamente all’introduzione della predetta normativa, e soprattutto non può ritenersi significativo che il Tribunale del riesame non abbia esplicitamente argomentato sul punto, dovendosi ritenere assorbente il rilievo che il Tribunale abbia comunque ritenuto configurabile “un’ipotesi accusatoria relativamente ad una condotta di riciclaggio” – di per sé sufficiente a giustificare il sequestro – pur riconoscendo che in questa fase delle indagini “l’incolpazione e necessariamente fluida”, tanto da ritenere non preclusa nemmeno l’ipotesi dell’autoriciclaggio, quantomeno nella fattispecie tentata.

[1] Il reato di autoriciclaggio ex art. 648 ter, 1° co, c.p. è stato introdotto in Italia con la legge n. 186/14, con decorrenza dal 1° gennaio 2015.

[2] Ex plurimis Sez. U. n. 6402 del 30/4/1997, Rv. 207944.

[3] Sez. U. n. 6 del 27/3/1992, Rv. 191327; Sez. U. n. 7 del 23/2/2000, Rv. 215840; sez. 2 n. 12906 del 14/2/2007, Rv. 236386

[4] Sez. 5 n. 43068 del 13/10/2009, Rv. 245093.

[5] Sez. 6 n. 24126 del 8/5/2008, Rv. 240370; sez. 1 n. 41948 del 14/10/2009, Rv. 245069.

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