Illegittimità costituzionale del quarto comma dell’art. 69 cod. pen. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sull’aggravante della recidiva reiterata in relazione ai delitti puniti con la pena edittale dell’ergastolo.
Illegittimità costituzionale del quarto comma dell’art. 69 codice penale nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sull’aggravante della recidiva reiterata in relazione ai delitti puniti con la pena edittale dell’ergastolo.
A cura degli Avvocati Emilia Piselli, Fabrizio Vomero
Con la recente sentenza n. 94 del 18 aprile – 12 maggio 2023 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale – I Serie Speciale, Corte Costituzionale – n. 20 del 17 maggio 2023), la Corte Costituzionale si è occupata della questione di legittimità dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, così come riformato dalla legge n. 251/2005, sollevata in via incidentale dalla Corte di Assise di Appello di Torino.
Il giudice del rinvio ha promosso la questione di legittimità della norma nella parte in cui, relativamente al reato previsto dall’art. 285 cod. pen. (devastazione, saccheggio e strage), non consentiva al giudice di ritenere la circostanza attenuante della lieve entità del fatto (art. 311 cod. pen.) prevalente sulla recidiva disciplinata dall’art. 99, quarto comma, codice penale
La questione (ben nota all’opinione pubblica in quanto ampiamente affrontata dagli organi di stampa anche per vicende extraprocessuali) verte in merito all’avvenuta collocazione, da parte degli imputati, nei pressi di una scuola Allievi Carabinieri, di due dispositivi ad alto potenziale esplosivo, i quali sono deflagrati a distanza di circa mezz’ora l’uno dall’altro.
All’esito dei tre gradi di giudizio, la Corte di Cassazione ha riqualificato il fatto ai sensi dell’art. 285 codice penale, rinviando ad una diversa sezione della Corte d’Appello all’esclusivo fine di una nuova valutazione del trattamento sanzionatorio da irrogare agli imputati.
In questa ottica, il giudice rimettente ha sottolineato che, alla luce delle modalità con cui si è realizzato il reato e delle conseguenze che ne sono derivate, la condotta degli imputati pare soddisfare i criteri previsti dall’art. 311 codice penale per il riconoscimento dell’attenuante della lieve entità del fatto.
Tuttavia, l’applicazione della norma risultava preclusa dal quarto comma dell’art. 69 codice penale che escludeva la prevalenza della circostanza attenuante del fatto di lieve entità in presenza dei presupposti della recidiva reiterata.
In sostanza, secondo l’ordinanza di rimessione, l’attenuante di cui all’art. 311 codice penale acquisterebbe la decisiva funzione di riequilibrare la severa previsione di pena prevista dalla norma incriminatrice in relazione alla concreta natura, alla specie, ai mezzi, alle modalità e/o alle circostanze dell’azione con cui è stato commesso il reato.
La Consulta, all’esito di una approfondita ricostruzione dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale del concorso tra circostanze aggravanti ed attenuanti, ha ritenuto fondata la tesi sostenuta dalla Corte rimettente.
In primo luogo, la Corte Costituzionale ha rilevato come il divieto di prevalenza delle attenuanti in caso di recidiva reiterata sia già stato dichiarato costituzionalmente illegittimo in più occasioni per contrasto con i principi di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), offensività della condotta penale (art. 25, secondo comma, Cost.) e di proporzionalità della pena tendente alla rieducazione del condannato (art. 27, terzo comma, Cost.).
Invero, la deroga al giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee, conseguente al divieto de quo, comporta una «alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti nella strutturazione della responsabilità penale» (sentenza n. 251 del 2012), giacché «finisce per comportare l’applicazione di pene identiche per violazioni di rilievo penale marcatamente diverso» (sentenza n. 94/23, in commento).
Ripercorrendo alcuni orientamenti già espressi in relazione a diverse fattispecie di reato, la Corte ha evidenziato come sia «stata riconosciuta alle singole attenuanti, anche non ad effetto speciale, una necessaria funzione riequilibratrice del marcato divario tra una pena particolarmente elevata per il reato base a fronte di quella che altrimenti risulterebbe dall’applicazione dell’attenuante; funzione che (…) non può essere compromessa dal divieto di prevalenza sulla recidiva reiterata recato dalla disposizione censurata».
In secondo luogo, anche con riferimento alle attenuanti espressive della ridotta censurabilità soggettiva del reo, il «principio di proporzionalità della pena desumibile dagli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. esige (…) in via generale, che al minor grado di rimproverabilità soggettiva corrisponda una pena inferiore rispetto a quella che sarebbe applicabile a parità di disvalore oggettivo del fatto» (cfr. sentenza n. 73 del 2020).
Tali considerazioni risultano valide anche per la fattispecie scrutinata dal giudice a quo, nella quale risulta particolarmente elevato il divario tra la pena edittale e quella irrogabile laddove non fosse preclusa la prevalenza di una circostanza attenuante sulla recidiva reiterata: da un lato, l’ergastolo, dall’altro, la reclusione da venti a ventiquattro anni.
Anche nell’ottica della finalità rieducativa della pena, l’irrogazione di una sanzione rigida, quale l’ergastolo, può essere costituzionalmente giustificata solo «a condizione che, per la natura dell’illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, quest’ultima appaia ragionevolmente “proporzionata” rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato» (cfr. sentenze n. 222 del 2018 e n. 50 del 1980).
Di converso, non può parlarsi di pena proporzionata quando la medesima sanzione sia irrogata in relazione ad atti, che pur integrando il delitto consumato, «si differenzino sul piano oggettivo per condotte di più avanzato compimento dell’attività delittuosa» (sentenza n. 94/23, in commento).
Quanto detto vale a maggior ragione con riferimento ai delitti di attentato, c.d. “a consumazione anticipata”, per i quali, a causa dell’assimilazione tra delitto tentato e delitto consumato, «concorrendo l’aggravante della recidiva reiterata e applicandosi il censurato divieto di prevalenza delle attenuanti, la pena dell’ergastolo diventa l’unica irrogabile, quindi “fissa” e “indefettibile”» (sentenza n. 94/23, in commento).
In definitiva, secondo la Consulta «la fissità della pena edittale dell’ergastolo, aggravata dal suo rigore per essere la sanzione più elevata in assoluto, in quanto perpetua al momento della sua irrogazione, e marcatamente più afflittiva rispetto a quella irrogabile per lo stesso reato circostanziato da una diminuente, richiede – per la tenuta costituzionale della pena stessa, in riferimento a tutti gli evocati parametri (artt. 3, primo comma, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost.) – che non sia precluso, in caso di recidiva reiterata, l’ordinario bilanciamento delle circostanze attenuanti del reato, le quali, se esclusive o ritenute dal giudice prevalenti sulle aggravanti, comportano che alla pena dell’ergastolo è sostituita quella della reclusione da venti a ventiquattro anni (art. 65 cod. pen.)».
Per tale ragione, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del quarto comma dell’art. 69 codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sull’aggravante della recidiva reiterata in relazione ai delitti puniti con la pena edittale dell’ergastolo, precisando che la riscontrata violazione vale anche «riguardo ad ogni altra attenuante, comprese le attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis codice penale, e per tutti gli altri reati puniti allo stesso modo (…), quando parimenti operi il divieto di prevalenza delle attenuanti».
Conseguentemente, rimossa dall’ordinamento la norma illegittima, il giudice, nello stabilire la pena per un soggetto recidivo imputato di un delitto punito con l’ergastolo, può operare l’ordinario bilanciamento tra circostanze concorrenti, liberamente ritenendo le attenuanti prevalenti, equivalenti o subvalenti rispetto alla recidiva aggravata.