INAPPLICABILITÀ, NEI CONFRONTI DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI, DELLA RESPONSABILITÀ SOLIDALE DI CUI ALL’ART. 29 DEL D. LGS. N. 276/2003

Il secondo comma dell’art. 29 del D. Lgs. n. 276/2003 stabilisce che, in caso di appalto di opere o di servizi, il committente “imprenditore o datore di lavoro” sia obbligato, in solido con l’appaltatore e con gli eventuali subappaltatori, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto. Tale obbligo è circoscritto temporalmente entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto.

Con la sentenza n. 9412 del 17 aprile 2018, la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito all’applicabilità di tale norma alle Pubbliche Amministrazioni, aderendo all’orientamento consolidato che ha offerto una risposta recisamente negativa alla questione.

Il primo argomento individuato dalla Corte a sostegno della decisione è prettamente testuale, in quanto l’art. 1, comma secondo, dello stesso D. Lgs. n. 276/2003 precisa che le norme in esso contemplate non trovano applicazione per le Pubbliche Amministrazioni e per il loro personale.

Nondimeno, l’impossibilità di estendere la responsabilità solidale alle Stazioni appaltanti non è soltanto la conseguenza di una specifica puntualizzazione del legislatore, ma soprattutto risponde alla ratio dell’istituto ed alle marcate differenze tra l’appalto pubblico e quello privato.

Per gli appalti pubblici, invero, l’ordinamento ha definito, a tutela dei diritti dei lavoratori, un complesso articolato di misure che non si estendono al settore privato.

È per questo motivo che la responsabilità solidale di cui all’art. 29 del D. Lgs n. 276 del 2003 è riservata ai soli contratti privatistici.

Del resto, a voler opinare diversamente, si entrerebbe in contrasto con il principio generale secondo il quale gli enti pubblici hanno l’obbligo di predeterminare le proprie spese, tanto da non poter sottoscrivere contratti da cui possano discendere esborsi non preventivati e deliberati. Il citato art. 29, infatti, non esclude la responsabilità del committente neppure nell’ipotesi in cui questi abbia integralmente adempiuto le sue obbligazioni nei confronti dell’appaltatore.

In altri termini, l’estensione della solidarietà all’appaltatore pubblico si scontrerebbe con il nuovo testo dell’art. 81 della Carta Costituzionale, che rimette alla legge la fissazione dei «criteri volti ad assicurare l’equilibrio fra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni», e finirebbe con il frustrare, attraverso la lievitazione del costo dell’opera, interessi di carattere generale.

Ad ogni modo, la Suprema Corte ha precisato che, oltre alle norme speciali della disciplina dei pubblici appalti, resta applicabile nei confronti della P.A. l’art. 1676 cod. civ., secondo cui «coloro che, alle dipendenze dell’appaltatore, hanno dato la loro attività per eseguire l’opera o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda».

Chiaramente, la disposizione da ultimo citata, stabilendo una tutela circoscritta “alla concorrenza del debito”, protegge i diritti del lavoratore senza interferire con le esigenze di bilancio degli enti pubblici.

 

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