INSTALLAZIONE DEL C.D. CAPTATORE INFORMATICO NEI DISPOSITIVI ELETTRONICI PORTATILI E NUOVO MODELLO DI CRIMINALITÀ ORGANIZZATA

A cura dell’Avv. Mario Antinucci

Le Sezioni Unite penali, con una sentenza destinata a suscitare non pochi dubbi e perplessità, hanno dato una risposta affermativa al quesito concernente la legittimità o meno delle intercettazioni “tra presenti” eseguite a mezzo di “captatore informatico” installato in un dispositivo portatile, nell’ambito di attività investigativa svolta in  relazione a procedimenti per delitti di criminalità organizzata: e ciò, a prescindere dalla preventiva individuazione ed indicazione dei luoghi in cui la captazione deve essere espletata. In tal caso esplica, infatti, la sua efficacia la norma speciale derogatrice di cui all’art.  13 del decreto-legge n.  152 del 1991 (convertito dalla legge n. 203/91), a condizione che il giudice, nell’ autorizzare le particolari intercettazioni di comunicazioni “tra presenti” oggi rese possibili dall’uso dei “captatori informatici“,  motivi adeguatamente le proprie determinazioni.

E’ stato così enunciato il seguente principio di diritto: “Limitatamente ai procedimenti per delitti di criminalità organizzata, è consentita l’intercettazione di conversazioni comunicazioni tra presenti – mediante l’installazione di un ‘ceptatore informatico’  in dispositivi elettronici portatili (ad es.,  personal computer,  tablet,  smartphone, ecc.)  –  anche nei luoghi di privata dimora ex  art. 614  cod.  pen.,  pure non singolarmente individuati e anche se ivi non si stia svolgendo l’attività  criminosa”.

Le Sezioni Unite Scurato,  all’esito dell’analisi del complesso e variegato panorama offerto dalla giurisprudenza e dalla dottrina circa la nozione di “criminalità organizzata“, confermano quella precisata con la richiamata decisione delle Sezioni Unite, perché consente di cogliere l’essenza di un delitto di “criminalità organizzata” e nel contempo di ricomprendere tutti i suoi molteplici aspetti, nell’ottica riconducibile alla ratio che ha ispirato gli interventi del legislatore in materia, tesi a contrastare nel modo più efficace quei reati che – per la struttura organizzativa che presuppongono e per le finalità perseguite – costituiscono fenomeni di elevata pericolosità sociale. Principio confermato ancora di recente dalle Sezioni Unite, le quali hanno affermato che per procedimento di criminalità organizzata deve intendersi «quello che ha ad oggetto una qualsiasi fattispecie caratterizzata da una stabile organizzazione programmaticamente orientata alla commissione di più reati» (Sez.  Un., n.  37501 del  15/07/2010,  Donadio,  Rv.247994).

Quanto alla nozione di reati di criminalità organizzata è stato dunque enunciato il seguente principio di diritto:

“Per reati di criminalità organizzata devono intendersi non quelli elencati nell’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., ma anche quelli comunque facenti capo a un’ associazione per delinquere, ex art. 416 cod. pen., correlata alle attività criminose più diverse, con esclusione del mero concorso di persone nel reato”.

 

 

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