LA BLOCKCHAIN A TUTELA DEL MADE IN ITALY: LE POTENZIALITA’ NEL SETTORE AGRIFOOD

A cura degli Avv.ti Pierluigi Piselli e Sara Lepidi

Una manciata di secondi e di click per conoscere tutto sulla tracciabilità alimentare di ciò che si ha nel piatto e nel bicchiere: dettagli di origine delle materie prime, informazioni su produzione e lavorazione, date di stoccaggio e spedizione dei vari prodotti.

Uno scenario che sembra avvenieristico, ma che è già realtà grazie alla blockchain, l’innovazione che sta rivoluzionando sistemi e modelli di business di molte imprese in tutto il mondo e che ora punta a trasformare radicalmente logiche e paradigmi del settore agroalimentare a livello globale.

Inizialmente sviluppata e implementata nel segmento finance, ben presto tale tecnologia – per le sue peculiari caratteristiche intrinseche – si è imposta all’attenzione di settori diversi ed eterogenei: in particolare, nell’ambito dell’industria alimentare si sta rivelando decisiva per ‘certificare’ la storia degli alimenti e (ri)conquistare la fiducia dei consumatori.

Proprio in questa prospettiva si colloca l’iniziativa della Rete Ovinicoltori Siciliani di Cammarata, che nei giorni scorsi ha aderito alla prima piattaforma Europea in Blockchain per la certificazione e la tracciabilità dei dati, Lirax, di cui lo Studio Piselli è Legal Counsel e partner strategico.

L’obiettivo è tracciare con sicurezza e affidabilità tutta la filiera del latte di pecora, permettendo anche alle piccole aziende del territorio di tracciare il loro lavoro quotidiano, tutelando il Made in Sicily al 100% e così aumentarne la competitività sul mercato.

Il prossimo step sarà il tracciamento, in modo oggettivo, di tutte le fasi di analisi chimiche e batteriologiche facenti parte della filiera agro-alimentare: si sta già lavorando in modo tale che i dati numerici siamo automaticamente esportati all’interno della piattaforma Blockchain, tramite nuovi dispositivi IOT.

Con tale integrazione (legata principalmente alla creazione di API — codici che fanno dialogare diversi sistemi informatici tra loro), anche la certificazione oggi rilasciata dai vari enti ed autorità sarà tracciata in modo sicuro ed immutabile, riducendo al minimo i rischi di contraffazione.

Tutti i dati viaggeranno dunque solo in digitale, sulla rete.

Del resto, nell’attuale fase di digital disruption, improntata a sviluppi e cambiamenti repentini ed incessanti, i dati ed il loro valore giocano un ruolo centrale.

Essi infatti crescono esponenzialmente e vengono generati, organizzati e analizzati in modo massivo, utilizzati online e offline, in applicazioni, dispositivi e device sempre più avanzati.

Per registrare tutti questi dati in modo immutabile e sicuro ed allo stesso tempo tutelare tutti i soggetti coinvolti, la risposta non può che venire appunto dalla blockchain, uno strumento che apre opportunità inedite per gestire in modo innovativo i rapporti, le transazioni, i contratti, le modalità di controllo e di identificazione in innumerevoli settori, come il retail, il manufacturing, la filiera del food e la c.d. Smart Agriculture.

L’obiettivo è stabilire un rapporto di fiducia, che dia chiare garanzie a tutti gli attori coinvolti con riguardo alla qualità del lavoro svolto e al rispetto delle regole e dei relativi diritti.

Ed è proprio sul tema della fiducia che si colloca la soluzione basata sulla Blockchain, in cui tutti i movimenti e le informazioni su quanto è avvenuto e su chi ha svolto le varie attività (trasporto, trasformazione, packaging, vendita) vengono registrati su una piattaforma comune basata su una rete di “blocchi”.

Va tenuto presente, infatti, che la fiducia è un fattore decisivo in un settore come quello dell’agroalimentare, in cui i consumatori sono sempre più attenti – e diffidenti – a temi quali affidabilità, trasparenza e sicurezza[1].

Grazie alla blockchain è possibile creare delle filiere aperte, in cui tutti i soggetti coinvolti – produttori di materie prime, aziende di lavorazione, logistica, trasporti, packaging, retail – possono non solo conferire dati e informazioni, ma anche controllare, con la massima trasparenza, i dati di tutti gli altri attori, a tutela del consumatore finale.

Peraltro non può non rilevarsi come molte delle questioni critiche che incidono sulla sicurezza alimentare (contaminazione, malattie di origine animale, gestione dei rifiuti, onere economico dei richiami di merci corrotte), si basano sulla mancanza di accesso alle informazioni di tracciabilità (non è un caso che le filiere che maggiormente offrono esempi di utilizzo della tecnologia blockchain sono quelle più spesso caratterizzate da richiami di prodotto a causa di contaminazioni e rischi per la salute).

Le riflessioni svolte pongono in evidenza i numerosi vantaggi derivanti dall’utilizzo della blockchain nel settore in oggetto: trasparenza e immutabilità delle informazioni, maggiore velocità nell’identificare i prodotti e conseguente riduzione dei costi di gestione di eventuali blocchi o richiami, incremento dell’efficacia dei processi di recupero dei dati in caso di situazioni critiche per la food safety.

Inoltre la disponibilità di dati e informazioni genera maggiore efficienza complessiva dei processi di supply chain, con effetti sul miglioramento nella gestione delle scorte, sulla riduzione degli sprechi alimentari e sul consolidamento delle relazioni di filiera

Ancora, rilevano l’attendibilità e affidabilità dei dati che sono inseriti e gestiti da tutti gli attori della filiera, tra cui il consumatore finale, il tutto senza la necessità di appoggiarsi a “documenti cartacei” o a terze parti fisiche che certificano i vari passaggi, con una significativa riduzione dei costi amministrativi e infrastrutturali.

Aspetto altrettanto importante, la diminuzione del margine di errore umano, poichè, qualora si verificasse, per distrazione o dolo, in qualsiasi anello della filiera, esso sarebbe facilmente e immediatamente ricondotto al suo autore.

Molte le aziende che propongono soluzioni per la tracciabilità digitale dei prodotti agroalimentari: tra il 2017 e il 2018 sono più che raddoppiati i casi di applicazione di blockchain al settore in esame.

Si tratta per lo più di piattaforme software finalizzate alla registrazione dei dati, alla loro eventuale integrazione ed elaborazione. Gli strumenti hardware includono i lettori per i codici a barre, i visori, i sensori IoT, gli smart tag.

Alcuni progetti più avanzati prevedono una combinazione di hardware e software, abbinando l’identificazione e l’acquisizione automatica del dato a una riprogettazione dei processi tra i nodi chiave della filiera.

Tra i grandi player che stanno portando avanti iniziative in tale ambito figurano Driscoll, Golden State Foods, IBM, Walmart, Nestlé, Unilever, Dole e Carrefour, il primo grande operatore della distribuzione alimentare ad aver utilizzato una certificazione blockchain per tracciare alcuni prodotti.

In un’ottica di tutela delle aziende di trasformazione, Certified origins, una società che nasce dalla volontà di tre importanti realtà attive nella valorizzazione dell’olio italiano nel mondo, sta sviluppando un sistema di garanzia su questa filiera di prodotto con la collaborazione di Oracle.

Altri esempi di aziende “virtuose” sono Barilla, Perugina, e Coop.

Anche il Gruppo Italiano Vini ha avviato un progetto di tracciabilità, mentre EY Italia ha studiato una soluzione di Wine blockchain e Dnv Gl, uno dei leader mondiali nelle certificazioni, ha messo a punto il sistema My Story, grazie al quale un QR code in etichetta riporta tutta la storia del prodotto.

Oltre ai vantaggi sopra illustrati, l’utilizzo della Blockchain sarebbe in grado di sanare molte delle criticità della tradizionale distribuzione dei prodotti alimentari, come il gravoso problema, per la salute dei consumatori e per l’intera economia italiana,  della contraffazione, poiché l’assoluta trasparenza nel procedimento dell’immissione dei dati e della loro validazione tramite il consenso del network, nonché la loro immutabilità una volta che essi siano stati confermati, impedisce qualsiasi atto fraudolento.

In tal senso, la tracciabilità sarebbe funzionale ad accrescere la competitività del nostro Made in Italy, i cui prodotti godrebbero di una garanzia “rafforzata” in termini di qualità e sicurezza, dando un valore “certificato” all’unicità e all’esclusività dei nostri prodotti.

Con la “catena di blocchi”, infatti, tutti gli attori della filiera sono realmente identificati; in tal modo, i distributori e i consumatori potranno avere sotto mano la vera storia di quello che bevono e mangiano, riconoscendone la qualità e l’affidabilità.

Con questi obiettivo e questa consapevolezza, negli ultimi anni sono aumentati i casi di sperimentazione della tecnologia blockchain nel segmento agrifood.

Fra i tanti, il Consorzio arance rosse di Sicilia ha realizzato in blockchain una versione “4.0” del bollino Igp, con un sistema permette di verificare il campo di produzione, la data del raccolto, le modalità di conservazione e distribuzione in tutto il mondo.

Tuttavia, occorre essere consapevoli che per sfruttare il potenziale offerto dalla blockchain sarà necessario acquisire i dati in formato digitale nativo, cioè mediante sensori digitali certificati; così come sarà fondamentale il monitoraggio dell’intervento umano, poiché la blockchain impedisce la contraffazione di dati già inseriti, ma non ha modo di impedire l’inserimento di un dato falso.

Conclusioni

Come visto, molti e rilevantissimi sono i benefici che la tecnologia è in grado di apportare a questo importante settore, sostenendo e semplificando l’attività dell’uomo.

Dopo l’IoT, Internet of Things, forse siamo già all’era del BoT, Blockchain of Things, e viene spontaneo immaginare che molti altri ambiti di business si apriranno nei prossimi mesi o anni, quando questa tecnologia  sarà esplorata ed applicata in tutta la sua dirompente

 

[1] Un recente studio del Food Marketing Intitute ha evidenziato che il 44% dei consumatori esige informazioni dettagliate sulle modalità di produzione del cibo acquistato; circa il 43% desidera sapere in che modo i prodotti sono stati trattati, se organici, ogm o privi di conservanti. Tuttavia il 75% non si fida di quanto riportato sulle etichette.

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