LE CONCESSIONI DEMANIALI MARITTIME ALLA LUCE DELLA DIRETTIVA BOLKESTEIN: UN ISTITUTO DAI CONFINI INCERTI ED IN CONTINUA EVOLUZIONE
a cura del Prof. Mauro Miccio e dell’Avv. Andrea Nervi
Con l’approssimarsi della nuova stagione balneare e tenuto conto dei contrasti esistenti tra la normativa nazionale e comunitaria, le concessioni demaniali marittime, con specifico riguardo alla finalità turistico- ricreativa, tornano ad essere senza dubbio uno degli argomenti maggiormente dibattuti e controversi del settore del diritto amministrativo. Con particolare riferimento alle modalità di assegnazione ed alle possibilità giuridiche di rinnovo delle stesse, il presente contributo cercherà di porre in luce gli aspetti più interessanti e discussi in dottrina e giurisprudenza, tentando di fornire una lettura ragionata delle diverse posizioni registratesi. Dopo un sintetico inquadramento dogmatico di carattere generale sia a livello europeo che nazionale, si passeranno in rassegna i diversi orientamenti accolti dai giudici amministrativi e, in ultimo, si tenteranno di fornire alcune prospettive e soluzioni.
Il presente lavoro non aspira in alcun modo a garantire una visione completa e definitiva della tematica in esame, bensì, nel tentativo di dare risalto più ai dubbi che alle certezze, ha lo scopo di fornire uno sguardo di insieme ad alcune delle problematiche sottese all’istituto delle concessioni demaniali marittime.
Le concessioni demaniali marittime sono concessioni amministrative aventi ad oggetto l’occupazione e l’uso, anche esclusivo, di beni facenti parte del demanio necessario dello Stato (art. 822 c.c.), dietro la corresponsione di un canone.
Mediante tale strumento, nel corso del tempo, le Amministrazioni hanno inteso attribuire ai privati la gestione di stabilimenti balneari, gli esercizi di ristorazione e somministrazione di bevande, di cibi e generi di monopolio, il noleggio di imbarcazioni e natanti, la gestione di strutture ricettive e attività ricreative e sportive, gli esercizi commerciali ed i servizi di conduzione di strutture abitative, svolti, appunto, su territorio demaniale.
Tenuto conto che la penisola italiana si sviluppa su oltre 7500 km di costa, appare con assoluta evidenza la portata sociale ed economica di tale fenomeno.
Invero, con l’approssimarsi della stagione estiva, migliaia di persone, tra le quali numerosi, numerosissimi turisti, si riversano sulle spiagge, prendendo di assalto le località balneari.
Questa macchina di produzione rappresenta una fetta considerevole del PIL nazionale, ed ogni anno, offre opportunità di lavoro all’intero tessuto sociale prospiciente l’area costiera.
Ultimamente, sono circolate sul web e sui giornali miriade di notizie che hanno gettato nel panico l’intero sistema produttivo.
L’annosa questione è tornata di ribalta sui tavoli del Governo, a seguito del rinvio ex art. 267 TFUE operato dal Tar Sardegna e dal Tar Lombardia allo scopo di per verificare la compatibilità dell’automatismo della proroga delle concessioni demaniali marittime al 31-12-2020 con il diritto comunitario ed, in particolare, con la Direttiva Bolkestein – n. 123/2006/CE – che, nel consentire la libera circolazione dei servizi e nell’assicurare la libertà di stabilimento, ha individuato nel regime concorrenziale, il criterio attraverso cui erogare servizi e svolgere attività commerciali e intellettuali, nell’ottica di una competizione trasparente e transnazionale.
La dead line è ormai prossima. Secondo indiscrezioni, entro il mese di luglio, i supremi Giudici lussemburghesi si pronunceranno sulla questione e c’è chi non vede la scomoda possibilità che siano revocate con effetto immediato le concessioni demaniali marittime di tempo in tempo rilasciate.
È una corsa contro il tempo che ha risvegliato improvvisamente gli addetti ai lavori, che freneticamente tentano di vagliare le conseguenze ed i possibili interventi da attuare per ridurre al minimo i pregiudizi che deriverebbero al sistema produttivo.
Ciò premesso, al fine di inquadrare la problematica, è necessario ripercorrere, seppur brevemente, l’evoluzione dell’istituto da un punto di vista normativo e giurisprudenziale.
Prima che venisse emanata la richiamata Direttiva, era prevista la possibilità di attribuire la occupazione e l’uso, anche esclusivo dei suoli demaniali ai privati secondo il dettato giuridico di cui l’art 37 del Codice della Navigazione e della Legge n. 494/1993 (di conversione del decreto Legge n. 400/1993) che integra la disciplina codicistica per quanto concerne lo specifico ambito di interesse delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico – ricreativa.
Specificatamente, la disciplina nazionale prevedeva la possibilità di attribuire la concessione demaniale al privato che ne faceva espressa richiesta e che si proponeva di utilizzare l’area nel perseguimento di un interesse pubblico valutato di volta in volta dalla Amministrazione. In tale panorama, si prediligeva la istanza che, nel realizzare in modo più rilevante l’interesse pubblico voluto e perseguito, evitava di modificare in modo permanente l’ambiente costiero mediante la installazione di strutture “non fisse e completamente amovibili”. Si prevedeva anche un particolare favor nei confronti dei soggetti già titolari della concessione che, alla relativa scadenza, si vedevano rinnovare il rapporto a discapito di coloro che proponevano per la prima volta una nuova istanza.
Con riferimento alla specifica finalità turistico ricreativa, il D.L. n. 400/1993 (all’ora in vigore) delineava, poi, un sistema di rinnovo automatico del titolo concessorio di sei anni in sei anni che, di fatto, nel protrarre sine die la durata della concessione, impediva l’acceso ai nuovi operatori, in virtù del cosiddetto diritto di insistenza.
Proprio tale istituto, che poneva il profilo comparativo – nelle sue eventuali ricadute pro competitive, rispetto al relativo mercato e quindi alla possibilità per gli operatori economici interessati di accedervi in posizione chiaramente sub valente rispetto alla consentita protrazione di validità temporale del titolo concessorio in capo all’assegnatario -, è venuto a porsi in contrasto con la disciplina comunitaria.
Da qui, un primo intervento del Legislatore italiano che in sede di approvazione della Legge finanziaria 2007 (Legge n. 296/2006) ha introdotto interventi modificativi sulla disciplina in vigore, inserendo all’art. 3 del D.L. 400/1993 la previsione di una durata massima ventennale delle concessioni.
Con la suddetta modifica, si tentò di aggirare il problema, prevedendo un limite temporale di durata delle concessioni demaniali marittime, che, comunque, alla luce della entrata in vigore della Direttiva Bolkestein, si rivelò inidoneo a garantire la libertà di stabilimento dei prestatori negli Stati membri, nonché la libera circolazione di servizi transfrontaliera.
Ciò perché la Direttiva n. 123/2006/CE all’art. 12 ha imposto agli Stati membri che “qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento” (par. 1): in tali casi “l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami” (par. 2); tuttavia, pur nel rispetto del primo paragrafo dell’articolo 12, in deroga alla disposizione di cui al paragrafo 2, agli Stati membri è consentito tenere conto, “nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario”.
Sostanzialmente, la Direttiva ha ritenuto che il servizio del settore turismo e quindi nella parte che qui occupa, la modalità di assegnazione della concessione demaniale marittima, debba essere assoggettata a gara, con la conseguente applicazione delle norme che sovraintendono le procedure ad evidenza pubblica.
Nonostante la immediata attuazione dello strumento “direttiva” negli organismi normativi nazionali, l’Italia ha mantenuto lo status quo ante.
Lo strappo con il diritto dell’Unione divenne così inevitabile e, nel 2008, la Commissione Europea nel verificare il rispetto della Direttiva da parte dello Stato italiano, rilevata l’incompatibilità con i principi in essa contenuti delle disposizioni rinvenibili nel Codice della Navigazione e nel D.L. n. 400/1993, attinenti il diritto di insistenza, ha formalmente ammonito l’Italia con la procedura di infrazione n. 2008/4908, intimando la revisione dell’ordinamento giuridico interno al fine di armonizzare le disposizioni normative nazionali ai principi comunitari.
Sul punto, intervennero anche diverse pronunce del G.A. che affermarono il principio giuridico in base al quale “sulla scia delle decisioni della Corte di Giustizia CE, l’inveramento nell’ordinamento nazionale di fondamentali principi di diritto comunitario rinvenibili direttamente nel Trattato CE, ma non per questo sforniti di immediata efficacia precettiva (il riferimento è, essenzialmente, al rispetto della libertà di stabilimento, di libera prestazione dei servizi, nonché ai principi di par condicio, imparzialità e trasparenza), non possa prescindere dall’assoggettamento delle Pubbliche Amministrazioni all’obbligo di esperire procedure ad evidenza pubblica ai fini della individuazione del soggetto contraente. Da tali acquisizioni giurisprudenziali non può ritenersi estranea la materia delle concessioni di beni pubblici (siano essi del demanio ovvero del patrimonio indisponibile dello Stato, delle Regioni o dei Comuni), ed in particolare delle concessioni demaniali marittime, ancorchè risulti codificato nell’ambito delle stesse (art. 37 del cod. nav.) il cd diritto di insistenza in favore del precedente concessionario, in occasione della rinnovazione del rapporto concessorio”. Consiglio di Stato 25 settembre 2009 n. 5765.
In particolare, è stato precisato che “alle concessioni di beni pubblici di rilevanza economica (specificamente le concessioni demaniali marittime), poiché idonee a fornire una situazione di guadagno a soggetti operanti nel libero mercato, devono applicarsi i principi discendenti dall’art. 81 del Trattato UE e dalle Direttive comunitarie in materia di appalti, quali quelli della loro necessaria attribuzione mediante procedure concorsuali, trasparenti, non discriminatorie, nonché tali da assicurare la parità di trattamento ai partecipanti. TAR Campania, Napoli, Sez. VII, 3828/2009.
Infatti, anche nell’assegnazione di un bene demaniale occorre individuare il soggetto maggiormente idoneo a consentire il perseguimento dell’interesse pubblico, garantendo a tutti gli operatori economici una parità di possibilità di accesso all’utilizzazione dei beni demaniali. (TAR Napoli, IV, 23 aprile 2010 n. 2085).
Dette pronunce, se da un lato hanno affermato la necessità dell’adozione di procedure ad evidenza pubblica anche per il rilascio di concessioni demaniali, dall’altro hanno, comunque, confermato la distinzione dell’istituto della concessione di beni demaniali rispetto ai contratti pubblici di appalto, dei quali si impone di applicare i principi ma non la normativa di settore.
Tuttavia, si è ritenuto rilevante, ai fini della soluzione del quesito in esame, indagare se per il tramite del rilascio di concessioni demaniali marittime sia configurabile il rilascio di concessioni di lavori e di servizi pubblici.
Sul punto, si ha avuto modo di esprimersi l’Autorità Nazionale Anticorruzione che con la nota GE1468/09, ha ritenuto dover ricordare che le concessioni per la realizzazione di strutture dedicate per la nautica da diporto, disciplinate dal D.P.R. n. 509/1997, siano configurabili come concessioni di costruzione e gestione di un’opera pubblica, o comunque finalizzate alla realizzazione di lavori pubblici dal momento che, ai sensi dell’art. 49 cod. nav. – norma applicabile anche questa particolare fattispecie di concessione – salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione – le opere non amovibili realizzate in esecuzione della concessione demaniale marittima di cui al D.P.R. n. 509/1994 restano acquisite allo Stato al termine della concessione medesima, concludendo per la necessità che l’affidamento avvenga mediante procedure improntate all’evidenza pubblica.
Similmente, è stato ritenuto che la concessione demaniale marittima possa configurare una concessione di servizi quando l’utilizzo del bene demaniale si estrinsechi anche nell’esercizio di un servizio pubblico.
Una simile posizione è stata, poi, sostenuta dal TAR Toscana che, nella sentenza n. 162/2011, in conformità a Tar Campania, Napoli, VII, 5 dicembre 2008, n. 21241, ha ritenuto che la concessione demaniale marittima per la gestione degli ormeggi ovvero per la gestione delle attrezzature portuali (comprendente i servizi di prenotazione dei posti barca, la relativa assegnazione, la riscossione dei canoni di occupazione e lo svolgimento delle operazioni di ormeggio), alla luce dell’ampia definizione espressa dall’art. 112 del d.lgs. n. 167/2000, abbia per oggetto attività qualificabili come servizi pubblici locali, rispetto al cui esercizio l’utilizzo del demanio marittimo si pone come presupposto necessario.
Stando così le cose, il Legislatore italiano, non potendo più procrastinare la necessità di armonizzare il diritto interno con quello comunitario, è intervenuto con il D.L. 194/2009 convertito con la Legge n. 25/2010 il cui art. 1 comma 18 ha abrogato l’art. 37 comma 2 del Codice della Navigazione disciplinante la disposizione incriminata, ovvero il “diritto di insistenza” e, contestualmente, ha disposto una proroga sino al 31.12.2012 della scadenza di tutte le concessioni in essere alla data di entrata in vigore del suindicato decreto.
In sede di conversione, il Legislatore ha fatto salva la disposizione dell’art. 1 comma 2 del D.L. n. 400/1993 recante il rinnovo di sei anni in sei anni per le concessioni demaniali marittime.
Tale emendamento, entrato nel corpo della disciplina definitiva, ha comportato l’apertura di una seconda procedura di infrazione comunitaria n. 2010/2734, accessoria e conseguente alla prima (n. 2008/4908) legata al permanere della disposizione che, nel permettere il rinnovo automatico della concessione, ancorché fosse stato eliminato il diritto di insistenza, assicurava comunque al titolare della concessione di mantenerla oltre il termine di scadenza (di rinnovo in rinnovo) svuotando così il contenuto garantistico che la Direttiva Bolkestein intendeva assicurare.
Da qui, sono scaturiti ulteriori interventi modificativi da parte del Legislatore Italiano.
Dapprima, con l’art. 11 della Legge 15.12.2011 n. 217 che ha disposto la abrogazione dell’art. 1 comma 2 del D.L. n. 400/1993, eliminando così una volte per tutte l’istituto del rinnovo automatico.
Contestualmente, il testo normativo ha attribuito una delega al Governo per adottare (entro 15 mesi) un decreto legislativo volto a riordinare e revisionare la legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime alla stregua dei principi fissati dalla Unione.
Attraverso questo intervento a doppio binario, si è riusciti a chiudere definitivamente le procedure di infrazione.
Successivamente, l’art. 1 comma 18 del D.L. n. 194/2009, convertito in Legge n. 25/2010 è stato interessato da una serie di modifiche legislative (ai sensi e per gli effetti dell’articolo 34-duodecies, comma 1, del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 , dell’articolo 1, comma 547, della Legge 24 dicembre 2012, n. 228 e, da ultimo, dell’articolo 1, comma 291, della Legge 27 dicembre 2013, n. 147) che hanno allargato la portata della disciplina, sino a quel momento in vigore, anche alle concessioni dei beni demaniali lacuali, fluviali ad uso pesca, acquacoltura ed attività produttive ad essa connesse e sportive, nonché quelle destinate a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto e, contestualmente, ha prorogato al 31.12.2020 il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto ed in scadenza entro il 31.12.2015.
Questa modificazione, ha rappresentato una vera e propria boccata di ossigeno, per tutti i titolari di concessione demaniale, poiché di fatto, almeno nella sua interpretazione iniziale, la norma ha sancito una proroga ex lege della durata delle concessioni.
Tale linea di pensiero, è stata, poi, avallata anche dal Giudice Amministrativo (ex multis Consiglio di Stato Sez. VI n. 525/2013) che seppur consapevole della necessità di adeguare il sistema normativo nazionale – in termini di garanzia concorrenziale – in ragione del contrasto della normativa interna con la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa ai servizi nel mercato interno, 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE e, segnatamente, del comma 2 dell’art. 12 nella parte in cui esclude il rinnovo automatico della concessione; nonché con i principi del Trattato – direttamente applicabili negli ordinamenti giuridici degli Stati membri e di cui la direttiva è mera attuazione – in tema di concorrenza e di libertà di stabilimento, ha statuito che debba trovare applicazione la disciplina transitoria di cui al cit. art. 1, comma 18, d.l. n. 194 del 2009, come convertito con la l. n. 25 del 2010 e, poi, successivamente modificato dal d.l. n. 179 del 2012, convertito con modificazioni nella l. n. 221 del 2012, che ha esteso la proroga automatica al 2020, essendo tale disciplina proprio tesa a consentire l’adeguamento della normativa interna alle disposizioni comunitarie.
Ora, il beneficio della proroga non poteva dirsi incondizionato, dovendo necessariamente ricorrere due presupposti: uno temporale ed uno qualitativo, ovvero che la concessione demaniale marittima in questione fosse in essere alla entrata in vigore del richiamato Decreto Legge n. 194/2009 e, comunque, in scadenza alla data del 31.12.2015 e che fosse stata rilasciata per il perseguimento di finalità turistico-ricreative.
Diversamente, la assegnazione della concessione, fornendo una occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, doveva, comunque, essere presidiata da meccanismi attributivi che prevedessero il previo svolgimento di pubbliche procedure di selezione.
Da qui, si è assistito al tentativo di rendere legittime nuove attribuzioni di concessioni demaniali, attraverso una interpretazione piuttosto fuorviante dell’art 45 del Trattato.
Senonché, il G.A. è intervenuto sul punto, riportando a legalità la attività sino a quel momento perpetrata.
D’altronde non poteva ritenersi, che la tradizionale idea della concessione senza gara potesse trovare giustificazione nell’art. 45 del Trattato, secondo cui sono escluse dall’applicazione delle disposizioni del presente capo le attività che, nello Stato nazionale, partecipino, sia pure occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri. La norma va, infatti, interpretata in senso restrittivo, dovendo trattarsi di un trasferimento di potere pubblicistico autoritativo non ravvisabile, con riferimento all’istituto della concessione che, ai fini comunitari, si distingue dall’appalto essenzialmente con riguardo alle modalità di remunerazione dell’opera del concessionario. Consiglio di Stato Sez. VI n. 5063/2015.
Seppur con le illustrate limitazioni, l’orientamento giurisprudenziale sin qui delineato, è stato ben accolto dagli operatori balneari – in possesso dei requisiti temporali e speciali di cui sopra – che hanno trovato conforto nel regime di proroga introdotto dal Legislatore nazionale, ancorché previsto in via transitoria, al precipuo scopo di armonizzare il complesso normativo con le disposizioni comunitarie.
Senonché, la calma apparente che si era faticosamente adagiata sull’istituto delle concessioni demaniali marittime, rischia oggi di tramutarsi in caos per effetto di una pronuncia del Tar Lombardia, la n. 2401/2014, che ha formalmente riaperto la mai definitivamente chiusa questione sulla compatibilità delle disposizioni nazionali con il diritto comunitario.
Volendo analizzare compiutamente i contenuti della “agognata” pronuncia, è opportuno riassumere brevemente l’oggetto del contendere.
La sentenza in oggetto, statuisce in merito ad un ricorso di legittimità volto all’annullamento del diniego di rinnovo di una concessione demaniale lacuale, che a detta dei ricorrenti, si pone in violazione con l’art. 1 comma 18 del D.L. n. 194/2009 (che ne dispone la proroga di durata sino a dicembre 2020). A questo punto, appare anche necessario ricordare che la norma, originariamente non era riferibile alle concessioni lacuali, la cui portata è stata successivamente estesa dall’art. 1 comma 547 della Legge n. 228/2012 (sul punto si è già detto).
Ciò premesso, il Consesso lombardo, dopo un breve excursus sugli interventi legislativi che hanno inteso modificare la portata temporale (originariamente la durata delle concessioni è stata prorogata sino al dicembre 2012, poi, al 2015 e da ultimo al 2020) e applicativa (dapprima estesa alle sole concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative, poi anche a quelle lacuali, fluviali ad uso pesca, acquacoltura, attività produttive connesse e sportive, nonché quelle destinate a porti turistici, approdi e punti di ormeggio) della norma, si interroga sulla compatibilità dell’attuale disposto con il diritto comunitario. Preme sin d’ora, rappresentare che la conclusione cui giunge il Plesso ha pericolosamente riaperto i termini dell’annosa questione.
Il ragionamento dei Giudici milanesi prende le mosse dal consolidato orientamento della Giurisprudenza comunitaria e nazionale secondo cui “i principi posti dal Trattato sull’Unione Europea a garanzia del buon funzionamento del mercato unico sono di applicazione generale e devono essere osservati in relazione a qualunque tipologia contrattuale tale da suscitare l’interesse concorrenziale delle imprese e dei professionisti, ancorché diversa dagli appalti di lavori, servizi e forniture, disciplinati da specifiche direttive comunitarie, come accade per le concessioni di beni pubblici di rilevanza economica, oltre che per le concessioni di servizi e gli appalti sottosoglia comunitaria” ex multis: Corte di Giustizia sentenza 7.12.2000 C-324; Consiglio di Stato Sez. VI 30 gennaio 2007 n. 362.
I principi cui viene fatto riferimento sono quelli di libertà di stabilimento (art. 49 TFUE ex articolo 43 del TCE), libertà di prestazione dei servizi (art. 56 TFUE ex articolo 49 del TCE), parità di trattamento e divieto di discriminazione in base alla nazionalità (artt. 49 e 56 TFUE), trasparenza e non discriminazione (art. 106 TFUE ex articolo 86 del TCE).
Pertanto, per il sol fatto che tali principi siano sanciti in modo universale dal Trattato, sono valevoli anche per contratti e fattispecie diverse da quelle concretamente contemplate (appalti) e da ciò deriva l’immediata operatività degli stessi con riferimento alle concessioni di beni di rilevanza economica, trattandosi di un modello di organizzazione e gestione del bene pubblico che comporta un’occasione di guadagno per i soggetti operanti sul mercato.
Ciò si riflette incondizionatamente sulle modalità con cui deve essere individuato il concessionario.
Da qui, si arriva ad evidenziare la contrarietà della disciplina nazionale con la libertà di stabilimento garantita da diritto comunitario, perché la reiterata proroga del termine di scadenza delle concessioni demaniali configura una restrizione ingiustificata di tale libertà ed, in particolare, una discriminazione in base al luogo di stabilimento dell’operatore economico, rendendo estremamente difficile, se non impossibile, l’accesso di qualsiasi altro concorrente alle concessioni in scadenza.
Ciò perché, la proroga sottrae, in modo reiterato, l’assegnazione in concessione del bene demaniale al confronto competitivo tra gli operatori, in palese violazione del principio di tutela della concorrenza.
Secondo i Giudici, quindi, il susseguirsi di norme che spostano automaticamente in avanti il termine della scadenza delle concessioni demaniali, determina la consolidazione di posizioni di sostanziale monopolio nello sfruttamento economico del bene stesso, in palese violazione dei principi sottesi alla realizzazione del mercato unico e del canone della parità di trattamento tra gli operatori economici del settore, nonché della più recente Giurisprudenza della Corte Costituzionale Italiana. Cfr Corte Cost. 4 luglio 2013 n. 171.
Né per altro verso, la reiterazione della proroga può essere giustificata, nei casi in esame, da esigenze di certezza del diritto, principio che appartiene all’ordinamento comunitario e che si impone ad ogni autorità nazionale che debba applicare il diritto comunitario (cfr. Corte di Giustizia UE, 21 settembre 1983, cause riunite 205/82-215/82; Corte giustizia UE, sez. II, 17 luglio 2008, n. 347).
Si esclude, poi, che tutto ciò possa essere consentito per preservare l’equilibrio finanziario del concessionario, in quanto trattandosi di una disciplina che incide in modo indifferenziato su una pluralità di rapporti concessori tra loro diversi, non è possibile esprimere a priori esigenze di carattere economico del concessionario, ancorché ipotizzabili in astratto, poiché non suffragate da concrete indicazioni.
Conclude la sentenza, esplicitando la necessità ai fini della decisione del ricorso, di sollevare la seguente questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 del TFUE (ex articolo 234 del TCE), in relazione all’interpretazione della normativa comunitaria:
“I principi della libertà di stabilimento, di non discriminazione e di tutela della concorrenza, di cui agli articoli 49, 56, e 106 del TFUE, nonché il canone di ragionevolezza in essi racchiuso, ostano ad una normativa nazionale che, per effetto di successivi interventi legislativi, determina la reiterata proroga del termine di scadenza di concessioni di beni del demanio marittimo, lacuale e fluviale di rilevanza economica, la cui durata viene incrementata per legge per almeno undici anni, così conservando in via esclusiva il diritto allo sfruttamento a fini economici del bene in capo al medesimo concessionario, nonostante l’intervenuta scadenza del termine di efficacia previsto dalla concessione già rilasciatagli, con conseguente preclusione per gli operatori economici interessati di ogni possibilità di ottenere l’assegnazione del bene all’esito di procedure ad evidenza pubblica?”
Per completezza, si rappresenta che, nel frattempo, si è susseguita un’altra pronuncia del T.A.R. Sardegna che, allineandosi alla visione del Consesso lombardo, ha rimesso la questione a Lussemburgo.
Delineati i termini della questione, appare doveroso interrogarsi sulle possibili conseguenze che si potranno configurare successivamente alla decisione della Corte di Giustizia Europea ormai prossima alla pubblicazione.
Ove i dubbi prospettati dal TAR Milano venissero accolti, si assisterebbe alla immediata revoca di numerose numerosissime concessioni, con tutto ciò che ne consegue in termini di perdita economica e di esponenziale aumento di contenziosi.
Presumibilmente, verrebbero mosse nuove procedure di infrazione, che potrebbero imporre al Legislatore nazionale termini piuttosto ridotti per conformare, una volte per tutte, la normativa nazionale a quella comunitaria, con il rischio, di arrivare alla scadenza, con un progetto poco risolutivo.
C’è chi non vede, però, il pericolo che gli Organi Comunitari, piuttosto che limitarsi ad ammonire l’Italia, pongano in essere procedimenti sanzionatori che esporrebbero le casse ad un impegno insostenibile.
D’altronde, lo strumento infrazione, già utilizzato dalla Unione, si è dimostrato insufficiente, prova ne è stato il rinvio ex art. 267 TFUE svolto dai Giudici milanesi.
In questo scenario, si aprirebbero nuovi contenziosi con il Consiglio e la Commissione, volti ad evitare i procedimenti sanzionatori.
Volendo ipotizzare il peggiore degli scenari, si potrebbe sostenere la abnormità del provvedimento di irrogazione, evidenziando il carattere temporaneo della norma asseritamente non conforme ai principi del trattato.
Si intende dire, che la disciplina di proroga di cui l’art. 1 comma 18 del D.L n. 194/2009 e s.m.i. si caratterizza per il carattere della temporaneità che, pertanto, lascerebbe (ancora) margini di tempo al Legislatore per rispristinare la conformità con il diritto dell’Unione.
Detta norma, a parere dello scrivente, deve essere, infatti, letta congiuntamente all’art. 11 della Legge n. 217/2011, (che ha eliminato il comma 2 dell’art. 1 D.L. n. 400/1993 – rinnovo automatico) il quale recita “al fine di chiudere la procedura di infrazione n. 2008/4908 avviata ai sensi dell’art. 258 TFUE, nonché al fine di rispondere all’esigenza degli operatori del mercato di usufruire di un quadro normativo stabile, che conformemente ai principi comunitari, consenta lo sviluppo e l’innovazione dell’impresa turistico-balneare -ricreativa.”
Tenuto conto dello scopo che si era prefigurati di raggiungere, e tenuto conto cha la disposizione da ultimo richiamata è successiva all’1 comma 18 del D.L n. 194/2009 – che si ribadisce ha prorogato i termini di scadenza al 31.12.2020 – appare doveroso, in coerenza ai principi di interpretazione sistematica dell’intero corpus normativo, individuare in questa data il tempo ultimo per ripristinare la conformità al diritto comunitario.
Inquadrata la problematica sotto tale profilo, la (possibile) procedura sanzionatoria si presenterebbe ingiusta ed immotivata , poiché mancherebbe il presupposto dell’inadempimento.
Diversamente, nel caso venissero accolte le difese italiane, come già esplicitato, troverebbe applicazione il regime di proroga, entro il quale il Governo dovrà obbligatoriamente riordinare la materia delle concessioni demaniali marittime, cercando di contemperare gli interessi nazionali con il diritto comunitario.
Ciò posto, a parere di chi scrive, appare interessante soffermarsi su una recente pronuncia del T.A.R. Lazio Sez. II bis n. 9258 in data 9.7.2015 che, contrariamente alle aspettative, che ha preso una posizione differente rispetto a quella pocanzi prospettata.
Nella fattispecie in esame ai Giudici romani, viene impugnata una comunicazione di scadenza della concessione di servizi portuali, sul presupposto che la stessa doveva essere prorogata sino al 2020 per effetto del noto art. 1 comma 18 del D.L n. 194/2009 e s.m.i.
Il Consesso laziale parte del presupposto che la materia relativa alla gestione del demanio non va confusa con le concessioni di servizi che l’Autorità Portuale è tenuta ad assentire, previo esperimento di procedure di gara.
In effetti, il porto è collocato dall’art. 822 del Codice Civile tra i beni del demanio necessario, anzi volendo essere più precisi, l’art. 28 del Codice della navigazione lo annovera nell’alveo dei beni del demanio marittimo.
Se tutto quanto è vero e lo è sicuramente stante i contenuti delle norme richiamate, si può senz’altro assumere che i correlati atti, relativi alla gestione del demanio, non vanno confusi con le concessioni di servizi che l’Autorità Portuale è tenuta ad assentire, previo esperimento di procedure di gara.
Ne deriva, che la concessione di servizi portuali, già regolata dall’abrogato art. 111 del codice della navigazione, accede dunque alla concessione del bene caratterizzandone il regime secondo modelli e finalità estranei agli artt. 36 e ss. del codice della navigazione: il riferimento all’area demaniale, infatti, diviene il “limite” spaziale dell’esercizio dell’attività.
Traslando detto principio al caso di specie, ancorché è stata analizzata una fattispecie diversa rispetto all’istituto che occupa in questa sede, il T.A.R. Lazio, ritiene in ogni caso che alle concessioni demaniali marittime possa essere applicato il regime di proroga al 2020 sul presupposto che sia stato già ritenuto compatibile col diritto comunitario.
Lo spunto seguito, che tra l’altro si condivide, è quello di prendere atto che dalla data di entrata in vigore dell’art. 1 comma 18 del D.L. n. 194/2009 e s.m.i., l’Unione non ha più ammonito l’Italia mediante alcuna procedura di infrazione (ovviamente ci si riferisce all’ambito delle concessioni demaniali marittime).
Ne deriva, che la norma, non potrebbe dirsi in contrasto con il diritto comunitario, tenuto conto che l’intervento, ha previsto un regime di proroga transitorio per permettere al Legislatore italiano di adeguarsi e conformarsi ai principi comunitari.
Alla luce di quanto esposto, è chiaro che sulla materia si sono susseguite e sussistono tutt’oggi, visioni contrapposte, che però, stante il rinvio ex art. 267 del TFUE operato dai Giudici lombardi, verranno a breve conformate a legalità, mediante la previsione di un’unica soluzione.
Da ultimo, si ritiene necessario interrogarsi sulle sorti dell’impegno che il Governo si era assunto con l’art. 11 della Legge 15.12.2011 n. 217 di adottare (entro 15 mesi dalla entrata in vigore della Legge) un decreto legislativo volto a riordinare e revisionare la il complesso di norme disciplinanti le concessioni demaniali marittime alla stregua dei principi fissati dalla Unione.
Ebbene, ad oggi, ancora si è rimasti inerti.
Da quanto è dato sapere, l’appuntamento per il riordino complessivo della materia, doveva prendere luogo in occasione della legge di stabilità del 2014. Tuttavia, decorsi due anni si è ancora in attesa.
La questione, però, in seguito al rinvio operato dal Giudice milanese, è tornata ad essere di primaria importanza. Si vocifera tra i corridoi di Palazzo Chigi, che è in lavorazione un testo che, nel riordinare la intera materia, preveda anche la anticipazione della durata della proroga delle concessioni demaniali marittime al 2017.
Ciò che è certo, qualsiasi sia l’esito della pronuncia della Corte di Giustizia, è che appare opportuno rappresentare alla Unione, la specificità che riveste la questione concessioni nella nazione Italia.
Non può ignorarsi, infatti, che, attualmente, sono più di trenata mila, le imprese balneari che operano su arenile del demanio in regime “di proroga” di concessione e che tale macchina di produzione, oltre ad offrire numerosi posti di lavoro, rappresenta una quota importante degli introiti nazionali.
In un modello di integrazione e liberalizzazione come quello europeo non può prescindersi della importanza socio-economico che il sistema produttivo balneare rappresenta per la nostra penisola.
In tale ottica appare, allora poco conforme ai principi di coesione e armonizzazione, tanto rimarcati, prevedere un regime di concorrenza che, di fatto, attribuisce vantaggi solo a quei paesi che sono impossibilitati per ragioni climatiche o territoriali a sviluppare il settore balneare, offrendo opportunità di investimenti differentemente precluse.
Il raggiungimento di un equilibrio armonico deve necessariamente passare per il riconoscimento dei bisogni delle singole nazioni.
Allo stesso modo, lo scrivente non ignora quanto sia complesso contemperare in un unico modello interessi, culture e necessità di 28 paesi, se non ad oggi 27 (non può prescindersi dal risultato del referendum britannico), ognuno con una propria storia e soprattutto con una propria individualità cristallizzata in centinaia di anni.
Questa riflessione, lungi dal voler essere antieuropeista, pone però il problema in termini più ampi che inevitabilmente si riverberano sui singoli istituti, tra cui quello che occupa in questa sede.
In conclusione, le questioni aperte, come si è cercato di evidenziare, sono ancora molte.
In riferimento a tutte le soluzioni sopra delineate, anche di recente si sono registrate differenti posizioni interpretative che non paiono pronte a risolversi di qui a poco. Le posizioni adottate, piuttosto che sembrare il frutto di “leggere” letture prive di approfondimento, rappresentano piuttosto visioni, interpretazioni ragionate e diametralmente opposte. In altre parole, le ragioni sottese alle tesi rappresentate appaiono, se lette nella loro singolarità, tutte meritevoli di approfondite riflessioni.
Del resto, esse sono anche lo specchio di quel (apparente) contrasto immanente all’intero ambito delle concessioni demaniali marittime: da una parte l’esigenza di garantire e preservare il precario equilibrio che con difficoltà si è raggiunto, e quindi di tutelare l’importanza che tale strumento giuridico rappresenta per una nazione con oltre 7500 km di litorale; dall’altra, l’esigenza che lo Stato non abdichi ai suoi poteri (rectius doveri) di controllo diretti a garantire la legalità e la necessaria rispondenza al diritto comunitario.