LIMITI AL SUBAPPALTO: ILLEGITTIMO PER LA CORTE UE L’ART.105 DEL CODICE DEI CONTRATTI
E’ contraria alla normativa europea una normativa nazionale, in particola quella italiana, che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi.
E’ quanto stabilito – o meglio, confermato – dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza C-63/18 del 26 settembre 2019, l’ultimo dei provvedimenti – in ordine di tempo – con cui l’Europa stigmatizza il mancato rispetto da parte del nostro Paese delle regole comunitarie poste a tutela della concorrenza.
Già lo scorso 24 gennaio la Commissione Europea aveva inviato all’Italia una lettera di costituzione in mora (procedura di infrazione n. 2018/2273), inerente proprio le norme interne sul subappalto.
In quella sede, era stato rilevato che nelle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE non vi sono disposizioni che consentano un limite obbligatorio (30%) all’importo dei contratti pubblici che può essere subappaltato; al contrario, le direttive si basano sul principio secondo cui occorre favorire una maggiore partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici, e il subappalto è uno dei modi in cui tale obiettivo può essere raggiunto (principio affermato già nella sentenza 14 luglio 2016, causa C-406/14).
La pronuncia in commento arriva a seguito della questione pregiudiziale sollevata dal TAR Lombardia (sentenza 19 gennaio 2019, n. 148), laddove i giudici di merito avevano avanzato dubbi circa la possibile violazione dei principi di libertà di stabilimento (art. 49 TFUE), di libera prestazione dei servizi (art. 56 TFUE) e di proporzionalità, nonché dell’art. 71, Direttiva 2014/24/UE.
La Corte UE ribadisce come una restrizione al ricorso del subappalto non può essere ritenuta compatibile con la direttiva 2014/24 e , pertanto, la direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la Direttiva 2004/18/CE, come modificata dal regolamento delegato (UE) 2015/2170 della Commissione, del 24 novembre 2015, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi.
In tal senso, secondo la Corte, l’art. 105, comma 2 del Codice dei contratti che limita al 30% la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi sarebbe contrario alla normativa comunitaria.
In particolare, si sottolinea, la richiamata direttiva n. 2014/24 è volta a garantire il rispetto, nell’aggiudicazione degli appalti pubblici, della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, e dei principi che ne derivano, in particolare la parità di trattamento, la non discriminazione, la proporzionalità e la trasparenza, nonché di garantire la massima apertura alla concorrenza.
Secondo i Giudici dell’Unione, agli Stati membri è riconosciuta la facoltà di prevedere disposizioni più severe di quanto stabilito nelle citate direttive al fine di combattere le infiltrazioni criminali negli appalti pubblici, ma una restrizione come quella dettata dal Codice dei contratti pubblici del 2016 sembra eccedere quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo.
Si legge invero nella sentenza: “La normativa nazionale di cui al procedimento principale vieta in modo generale e astratto il ricorso al subappalto che superi una percentuale fissa dell’appalto pubblico in parola, cosicché tale divieto si applica indipendentemente dal settore economico interessato dall’appalto di cui trattasi, dalla natura dei lavori o dall’identità dei subappaltatori. Inoltre, un siffatto divieto generale non lascia alcuno spazio a una valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore”. (…) “Ne consegue che, nell’ambito di una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, per tutti gli appalti, una parte rilevante dei lavori, delle forniture o dei servizi interessati dev’essere realizzata dall’offerente stesso, sotto pena di vedersi automaticamente escluso dalla procedura di aggiudicazione dell’appalto, anche nel caso in cui l’ente aggiudicatore sia in grado di verificare le identità dei subappaltatori interessati e ove ritenga, in seguito a verifica, che siffatto divieto non sia necessario al fine di contrastare la criminalità organizzata nell’ambito dell’appalto in questione”.