L’OBBLIGO DI CUSTODIA DELL’IMMOBILE OGGETTO DI CONTRATTO DI APPALTO
Il commento a cura degli Avv.ti Emilia Piselli e Fabrizio Vomero
La recentissima ordinanza della Corte di Cassazione n. 16609 dell’11 giugno 2021 si è soffermata su un argomento di notevole interesse per chi decida di affidare ad un’impresa edile i lavori di ristrutturazione del proprio immobile: chi risponde dei danni scaturenti dall’eventuale violazione dell’obbligo di custodia del bene?
Nel caso esaminato dai Giudici di legittimità, la Corte di Appello di Milano aveva accolto la richiesta di risarcimento dei danni subiti, a causa di infiltrazioni d’acqua, dai proprietari dell’appartamento sottostante all’immobile oggetto dei lavori di ristrutturazione.
In tal senso, la sentenza d’appello aveva condannato, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., i proprietari dell’immobile sovrastante, giacché non risultava alcun trasferimento, in capo all’impresa appaltatrice, dell’obbligo di custodia dell’appartamento sul quale erano stati effettuati i lavori, né ricorreva alcuna ipotesi di caso fortuito idonea ad assumere un’incidenza causale autonoma rispetto alla produzione dei danni patiti dagli attori.
La decisione della Corte milanese era stata impugnata dai proprietari dell’immobile sovrastante, i quali sostenevano, da un lato, che attraverso il contratto di appalto l’obbligo di custodia sarebbe stato trasferito in capo all’appaltatore, dall’altro, che, in ogni caso, la responsabilità oggettiva dei proprietari ex art. 2051 cod. civ. fosse esclusa dal caso fortuito rappresentato dalla condotta dell’impresa esecutrice dei lavori che aveva malamente eseguito alcune opere di rifacimento.
La Suprema Corte ha respinto entrambe le tesi dei ricorrenti, pur compensando le spese di tutti i gradi di giudizio a causa della «particolare complessità delle questioni giuridiche trattate – solo di recente ricondotte a sistema dalla giurisprudenza di legittimità».
In primo luogo, i Giudici hanno rilevato che la giurisprudenza di legittimità ha recentemente evidenziato come la conclusione di un contratto di appalto d’opera non comporti in nessun modo la perdita della custodia da parte del committente, dal momento che la consegna dell’immobile all’appaltatore designato della realizzazione dei lavori non trasferisce il ruolo di custode verso i terzi.
Del resto, se così non fosse, si profilerebbe, a favore del committente, un improprio quanto iniquo esonero contrattuale da responsabilità efficace nei confronti di chi del negozio non è parte (Cfr. Cass., 17 marzo 2021, n. 7553).
Invero, nell’appalto d’opera, tanto privato, quanto pubblico, il committente conserva un rapporto con l’oggetto di contratto, perché l’affidamento dell’incarico all’appaltatore «non rappresenta null’altro che l’esercizio di un potere giuridico o di fatto» sul proprio bene.
Di converso, l’autonomia dell’appaltatore ha valore meramente endocontrattuale e, anche nei casi in cui il suo ruolo sia riducibile al nudus minister (perché il committente lo ha privato della libertà di decisione e di determinazione in merito alle opere da eseguire), non può essere esclusa una sua responsabilità extracontrattuale nei confronti dei terzi ex art. 2055 cod. civ. (ovvero, in solido con il committente).
Perciò, la Corte ha formulato il seguente principio di diritto: «Nei confronti dei terzi danneggiati dall’esecuzione di opere effettuate in forza di un contratto di appalto, il committente è sempre gravato della responsabilità oggettiva di cui all’art. 2051 c.c., la quale non può venir meno per la consegna dell’immobile all’appaltatore ai fini dell’esecuzione delle opere stesse, bensì trova un limite esclusivamente nel ricorso del caso fortuito; il che naturalmente non esclude ulteriori responsabilità ex art. 2043 c.c. del committente e/o dell’appaltatore».
In secondo luogo, il caso fortuito non si configura in presenza di un semplice inadempimento dell’appaltatore agli obblighi contrattualmente assunti nei confronti del committente, perché l’art. 2051 cod. civ. esclude la responsabilità del custode soltanto al ricorrere di situazioni di imprevedibilità-inevitabilità (che costituiscono l’essenza del caso fortuito).
In questa ottica, la condotta dannosa dell’appaltatore potrebbe assurgere a caso fortuito unicamente qualora non sia «non percepibile in toto dal committente che, adempiendo così rettamente al suo obbligo di custodia, abbia seguito l’esecuzione del contratto con un continuo e adeguato controllo, eventualmente tramite un esperto direttore dei lavori».
Nel caso di specie, quindi, la Suprema Corte non ha potuto che confermare la valutazione di merito della Corte d’Appello (insindacabile in sede di legittimità) che aveva negato che il fatto dell’appaltatore avesse assunto «quei caratteri di eccezionalità, imprevedibilità e autonoma incidenza causale rispetto all’evento dannoso, tali da integrare il caso fortuito».