OBIETTIVO SOSTENIBILITÀ: LA NUOVA DIRETTIVA UE SULLA RENDICONTAZIONE SOCIETARIA

OBIETTIVO SOSTENIBILITÀ: LA NUOVA DIRETTIVA UE SULLA RENDICONTAZIONE SOCIETARIA

A cura della Redazione

 


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rendicontazione societaria di sostenibilità

 

La Corporate Sustainability Reporting Directive – La rendicontazione societaria di sostenibilità

Il Consiglio Europeo nel novembre 2022 ha approvato la Direttiva n. 2022/2464 sulla rendicontazione societaria di sostenibilità, che si innesta nel più ampio piano delle politiche dell’UE in materia di questioni ambientali, sociali e di governance.

La Direttiva sulla rendicontazione (cd. Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD) è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea lo scorso 16 dicembre 2022 con onere per l’Italia e per tutti gli altri Stati membri dell’UE di recepirla nel proprio ordinamento entro i primi di luglio 2024.

La CSRD modifica e prende il posto della Direttiva 2013/34/UE, concernente l’obbligo di comunicazione di informazioni di carattere non finanziario per le imprese di grandi dimensioni, di fatto stabilendo requisiti più severi per la redazione dei rapporti di stabilità.

Il 2024 è dunque l’anno della sostenibilità per l’Italia che è chiamata ad aderire alle politiche dell’Unione Europea in risposta alla crisi climatica, di fatto rendendo obbligatorio per circa 5000 imprese presenti sul territorio italiano una nuova forma di rendicontazione di sostenibilità.

Il cambiamento nell’attività di reporting assume un significato ancora più rilevante alla luce della recente modifica del testo costituzionale. Ed infatti, la recente riforma intervenuta con Legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1, recante “Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente” segna un significativo spostamento nella percezione giuridica dell’ambiente, ora considerato un “bene autonomo costituzionalmente tutelato”. Per la prima volta, viene previsto a livello costituzionale che l’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con la salute, l’ambiente il paesaggio e l’ecosistema. Il criterio vincola non solo le istituzioni nazionali che sono chiamate ad un ripensamento delle loro scelte in ambito di acquisti pubblici, di governance e nell’attuazione di politiche e azioni, ma anche sul piano privatistico.  In particolare, il secondo comma dell’art. 41 prevede che l’iniziativa economica privata non possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno, oltre che alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana, alla “salute e all’ambiente”. Il terzo comma dell’art. 41 prevede che “La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali” di fatto ampliando i casi in cui la legge può indirizzare l’attività economica affinché risponda in maniera più performante a finalità sociali ed ambientali, come pure di sostenibilità.

La modifica intervenuta sull’art. 41 ha forza dirompente in quanto consente all’iniziativa privata di mutuare i propri scopi, di fatto rendendo l’interesse alla tutela dell’ecosistema e dell’ambiente (e di riflesso, alla sostenibilità) un interesse e un obiettivo stesso dell’attività privata.

In quest’ottica la nuova Direttiva sul reporting risponde bene alle finalità dell’art. 41 e dell’art. 9 della Costituzione in quanto impone una nuova attenzione al tema della sostenibilità, e di conseguenza alla tutela ambientale, da attuarsi mediante un controllo ed una regolamentazione sulle operazioni di rendicontazione cui tutte le società di grandi dimensioni sono tenute.

Ci si chiede, proprio alla luce di queste considerazioni svolte, quale possano pertanto essere le conseguenze di un mancato recepimento della Direttiva EU, posto che la nuova riforma costituzionale non solo consente la contestazione di leggi contrarie alla tutela ambientale, ma permette anche di sollevare la questione dell’assenza di leggi favorevoli a tali principi.

Qualora l’Italia non dovesse attuare la CSRD in modo tempestivo, ciò potrebbe comportare conseguenze giuridiche e sanzioni da parte delle istituzioni europee EU. In caso di scenario nefasto, occorrerebbe valutare la portata “autoesecutiva” delle disposizioni per vagliare la possibilità di una loro diretta applicazione all’interno del territorio nazionale. Occorre evidenziare che, da una analisi del testo di legge, alcune delle disposizioni appaiono per loro natura estremamente chiare e specifiche, tali da ammettere il carattere “autoesecutivo” delle norme ivi contenute.  Anche il sovente richiamo a Regolamenti comunitari passati che importano ormai prassi consolidate, potrebbe astrattamente, e con le dovute cautele, escludere la necessità di atti di recepimento. D’altronde, basti citare il contenuto dell’art. 29 quinquies del testo che impone per il nuovo report di sostenibilità l’utilizzo del formato elettronico unico di comunicazione già regolamentato all’interno dell’art. 3 del regolamento UE 2019/815 con richiami chiari alla vecchia Direttiva in tema di reporting.

Nell’attesa di conoscere i futuri sviluppi, di seguito si riepilogano i punti salienti della nuova Direttiva Comunitaria nell’ottica di comprendere gli obblighi e i cambiamenti normativi associati alla CSRD e di sensibilizzare i diversi attori sul come adattarsi alle nuove dinamiche della sostenibilità aziendale.

A chi è diretta la rendicontazione societaria di sostenibilità?

La nuova modalità di rendicontazione prevede che l’attività di reporting si estenderà dagli Enti di Interesse Pubblico (cui verrà applicata già dal primo reporting da rendere nel 2025) sino alle società capogruppo che risiedono in paesi extra EU nel 2029 e che generano un fatturato elevato all’interno dell’EU. Nello specifico l’attività di rendicontazione sarà diretta a:

  1. imprese di grandi dimensioni, indipendentemente dal fatto che siano quotate o meno, che posseggono almeno due dei presenti requisiti: € 20 milioni di attivo patrimoniale, € 40 milioni di fatturato e 250 dipendenti;
  2. PMI quotate sui mercati regolamentati europei a eccezione delle microimprese;
  3. società non UE che generano un fatturato netto di € 150 milioni all’interno dell’Unione Europea e hanno almeno una impresa nell’UE.

In cosa consiste rendicontazione societaria di sostenibilità?

In termini pratici, la rendicontazione di sostenibilità andrà inserita in una apposita sezione della Relazione sulla Gestione che accompagna il Bilancio, con lo scopo di creare maggiore integrazione tra le informazioni di carattere finanziario e non.

Nello specifico, tra gli ampi obblighi di rendicontazione si farà riferimento al (a) modello di business e governance adottato in relazione alla sostenibilità, (b)  target di sostenibilità programmati dalla società nel tempo,  (c) eventuali politiche aziendali adottate o da adottare, (d) rischi aziendali ed azioni intraprese con relativo focus sui risultati raggiunti, (e) descrizione dei principali impatti negativi effettivi o potenziali, legati alle attività dell’impresa, compresi i suoi prodotti e servizi, i suoi rapporti commerciali e la sua catena di fornitura che l’impresa è tenuta ad identificare, azioni intraprese per monitorare tali impatti, etc. La normativa in ogni caso richiede che l’informativa sia conforme a standard e principi dettati dall’UE a livello generale e speciale.

In conclusione

Lo scopo perseguito dal nuovo modello di rendicontazione sarà quello di permettere a tutti coloro che entrino in contatto con le informazioni di bilancio “la conoscenza degli impatti che la società genererà in termini di sostenibilità e di come i fattori di sostenibilità influenzino lo sviluppo, le attività e le performance della società stessa”.

Dal punto di vista dell’impresa sono numerosi i vantaggi che scaturiranno da questo nuovo modello di rendicontazione. Solo a titolo esemplificativo basti pensare al miglioramento reputazionale dell’impresa che opera in maniera sostenibile o ancora, i vantaggi indiretti che alla società deriverebbero da un più semplice accesso al mercato del credito ed ai finanziamenti pubblici.

Occorre altresì considerare che i nuovi oneri di rendicontazione di fatto renderanno necessario l’impiego di figure professionali altamente specializzate in grado di fornire attività di consulenza legale, commerciale, finanziaria ed al tempo stesso in materia di sostenibilità dei processi e della strategia in linea con quanto richiesto dalla Direttiva.

Solo a titolo esemplificativo, basti pensare al fatto che sarà necessaria una assistenza sul piano della rendicontazione, e, dunque nella preparazione del Bilancio di sostenibilità, garantendo che lo stesso risponda in modo appropriato ai nuovi standard UE. Saranno inoltre necessarie risorse in grado di analizzare l’impatto della Direttiva sulle operazioni aziendali, come pure indirizzare le aziende ad identificarne i rischi associati, ad escludere le potenziali sanzioni per le non conformità, a sviluppare strategie per mitigarne i rischi.

 

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