OVERTURING DELLA SENTENZA DI PRIMO GRADO E RILEVABILITA’ D’UFFICIO DELLE GARANZIE EUROPEE SULLA PROVA TESTIMONIALE: LA PAROLA ALLE SEZIONI UNITE
a cura dell’Avv. Mario Antinucci
Cass., Sez. II, 20 gennaio 2016, Ord. n. 2259
Con una ordinanza destinata a suscitare importanti riflessioni in letteratura e giurisprudenza sul delicato terreno del procedimento probatorio e della rivalutazione cartolare della prova decisiva effettuata su un compendio probatorio deprivato rispetto a quello esaminato dai giudici di prima istanza, la Seconda Sezione della Suprema Corte ha rimesso allo scrutinio delle Sezioni Unite la seguente questione di diritto: “se sia rilevabile d’ufficio la questione relativa alla violazione dell’art. 6 C.e.d.u. per avere il giudice d’appello riformato la sentenza di primo grado sulla base di una diversa valutazione di attendibilità di testimoni di cui non si procede a nuova escussione”
Come si può apprezzare dalle motivazioni della sentenza impugnata, la valutazione di una circostanza decisiva per l’accertamento di responsabilità in ordine al reato di estorsione – ovvero se la somma estorta fosse piuttosto un semplice prestito – dipende dall’analisi del contegno del dichiarante, ovvero dalla precocità della dichiarazione rispetto alla domanda del pm e dalla capacità di comprensione della lingua dell’imputato: ovvero dalla valutazione di una serie di elementi che richiedono un apprezzamento “diretto” della testimonianza e che non possono essere affidabilmente valutate su base cartolare.
La Corte di Strasburgo con una serie di pronunce omogenee[1] ha ribadito l’iniquità del ribaltamento della assoluzione fondato sulla rivalutazione cartolare della attendibilità della testimonianza decisiva, nel caso in cui, nella fase processuale conclusasi con l’assoluzione, la stessa prova, formatasi in contraddittorio, fosse stata valutata inattendibile. La Corte Europea, pur ribadendo che l’art. 6 della Convenzione non detta regole sulla ammissibilità delle testimonianze e sul modo di valutarle, rileva comunque che la mancata audizione dei testimoni, in particolari circostanze, può essere incompatibile con la tutela assicurata dalla Convenzione al diritto di difesa. Così, la condanna basata sulla rivisitazione del giudizio di attendibilità della testimonianza effettuata senza la percezione diretta dell’evento dichiarativo è stata giudicata “iniqua” nella misura in cui non garantisce una affidabile valutazione della prova decisiva.
- In sintesi la Corte Europea: (a) legittima l’utilizzo della prova dichiarativa cartolare formata fuori dal contraddittorio per fondare sentenze di condanna ogni volta che emergano adeguate “garanzie procedurali”; (b) legittima il sacrificio dell’oralità quando è in gioco il bilanciamento degli interessi della vittima con quelli dell’accusato (la testimonianza formata in incidente probatorio si presenta anch’essa nello stato “cartolare” al giudice di merito, di regola diverso dal giudice di fronte al quale si è formata); (c) censura, ciononostante, la rivalutazione in appello della prova dichiarativa decisiva rimarcando, con particolare rigore in questo caso, la incompatibilità del sacrificio dell’oralità con le garanzie previste dalla Convenzione.
Ad essere giudicata in contrasto con le garanzie convenzionali è, dunque, non tanto l’uso della testimonianza documentale, quanto l’operazione di overturning della sentenza di primo grado effettuata su un compendio probatorio deprivato rispetto a quello esaminato dai giudici di prima istanza.
Secondo l’orientamento che il collegio condivide, per rispettare l’art. 6 C.e.d.u., così come interpretato dalla Corte di Strasburgo nelle sentenze sopra richiamate, il giudice di appello per riformare in peius una sentenza assolutoria è tenuto a disporre la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale solo quando si prospetta la possibilità di un diverso apprezzamento della attendibilità di una testimonianza assunta in primo grado, ma non anche quando fonda il proprio convincimento su altri elementi di prova, in relazione ai quali la valutazione del primo giudice è mancata o è travisata[2].
Sotto diverso profilo, si rimarca che è pienamente raccolta dalla Cassazione l’indicazione di sistema che proviene dalla Corte dei diritti umani, ovvero l’inquadramento della testimonianza come “evento”, che necessita di una valutazione estesa anche ai dati extradichiarativi, dunque all’analisi del contegno del testimone, essenziale per la valutazione di attendibilità[3].
- Poiché la questione del mancato rispetto dei parametri di legalità convenzionale, decisiva per la valutazione della legittimità della sentenza impugnata, non è stata sottoposta alla Corte di cassazione dal ricorrente, il collegio si interroga sulla possibilità di rilevarla d’ufficio.
Secondo un primo orientamento: non è rilevabile d’ufficio, in sede di giudizio di legittimità, la questione riferita alla violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, così come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 5 luglio 2011, nel caso Dan c/Moldavia, questione riconducibile, con adattamenti, alla nozione del vizio di “violazione di legge” e, dunque, da far valere, ai sensi dell’art. 581 C.p.p., mediante illustrazione delle ragioni di fatto e di diritto a suo sostegno. La Corte ha precisato che la scelta dell’imputato di non proporre richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale determina, altresì, l’impossibilità di attivare il rimedio CEDU, il cui presupposto è la “consumazione” di tutti i rimedi del sistema processuale domestico[4].
Alla base di tale interpretazione c’è la valorizzazione dell’impulso di parte che viene ritenuto necessario per focalizzare le ragioni non solo di diritto, ma soprattutto di fatto, a sostegno della necessità della rinnovazione dibattimentale. Si è ritenuto infatti che “la mancata rinnovazione è evenienza capace di inficiare la decisione di condanna in appello, quando ricorrono specifici presupposti di necessità di rivalutazione della attendibilità del teste “chiave”, che il soggetto interessato deve dedurre specificamente con ricorso per cassazione. Ciò, perché la valutazione della esistenza di tali presupposti può implicare attestazioni o allegazioni di merito che la Cassazione può non essere in grado di effettuare in via autonoma: quelli, cioè, non solo inerenti la unicità della prova dichiarativa ai fini del decidere, ma anche il connotato dell’essere in gioco la sola “attendibilità intrinseca” del dichiarante, posto che il mutamento di giudizio sulla attendibilità “estrinseca”, invece, ben può attenere a circostanze trascurate dal giudice di primo grado e per questo valorizzabili dal giudice dell’appello, senza dovere risentire il teste”[5].
Si ritiene cioè che sia onere della parte rilevare la “crisi di equità” del processo evidenziando, alla luce delle indicazioni Europee, in che misura la sentenza abbia inciso il diritto di difesa (nella dimensione di diritto alla formazione della prova in contraddittorio orale) con la indicazione specifica dei profili di illegittimità nella valutazione della attendibilità intrinseca, con eventuale allegazione degli elementi di fatto non valutati. La premessa logica di tale orientamento è che sia indecifrabile, in assenza di un impulso di parte, se la rivalutazione della testimonianza attenga a profili di attendibilità intrinseca che implicano la rinnovazione, piuttosto che alla riconsiderazione degli elementi esterni al dichiarato estranei all’area di incidenza della giurisprudenza Europea.
Muovendo da diverse premesse, l’opposto orientamento sostiene che è rilevabile d’ufficio in sede di giudizio di legittimità ai sensi dell’art. 609, II co., c.p.p., la questione relativa alla violazione dell’art. 6 della CEDU, così come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 5 giugno 2013 nel caso Hanu c. Romania, nel caso in cui il giudice di appello riforma la sentenza di assoluzione di primo grado sulla base di una diversa valutazione di attendibilità di testimoni di cui non procede a nuova escussione[6].
In particolare è stato chiarito che: “la Corte Edu, nel pervenire a tale conclusione, abbia nuovamente ricordato che dall’assenza di un’espressa richiesta di parte non possa desumersi una mancanza di interesse del ricorrente nel suo processo, giungendo, per questa via, a respingere l’eccezione di mancato esaurimento dei rimedi interni sollevata dal governo, il quale aveva sostenuto… che il ricorrente non aveva chiesto ai giudici di disporre una nuova audizione dei testimoni, pur essendo stato posto nelle condizioni di poter utilizzare utilmente questa possibilità, tanto da essere stato ascoltato di persona da parte dei giudici, tra cui l’Alta Corte. Si tratta di un orientamento che pone in crisi l’indirizzo autorevolmente espresso dalla quinta Sezione di questa Corte secondo il quale non è rilevabile d’ufficio, in sede di giudizio di legittimità, la questione riferita alla violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, così come interpretato dalla sentenza della Corte Edu del 5 luglio 2011, nel caso Dan c/Moldavia, questione che, secondo la richiamata pronuncia di questa Corte, dovrebbe essere fatta valere, ai sensi dell’art. 581 cod. proc. pen., mediante illustrazione delle ragioni di fatto e di diritto a suo sostegno, specificandosi in motivazione che la scelta dell’imputato di non proporre richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale determina, altresì, l’impossibilità di attivare il rimedio C.e.d.u., il cui presupposto è la consumazione di tutti i rimedi del sistema processuale domestico[7], riaprendo dunque il problema se, in assenza di una specifica doglianza della parte interessata nei motivi di ricorso, la Corte di cassazione possa o meno rilevare d’ufficio la violazione dell’art. 6 della C.e.d.u.
La parola, ora, alle Sezioni unite.
[1] Dan v. Moldavia, Corte Edu, 5 luglio 2011; Manolachi v. Romania, Corte EDU, III sez., 5 marzo 2013; Id, Flueras v. Romania, 9 aprile 2013; Id, sent. 4 giugno 2013; Hanu v. Romania, rie. 10890/04; più recentemente Id, Moinescu v. Romania, 15 settembre 2015; Id, Nitulescu v. Romania, 22 settembre 2015.
[2] Cass., Sez. 5, n. 16975 del 12 febbraio 14, Rv. 259843; Id., n. 10965 del 11 gennaio 2013, Rv. 255223; Id., n. 8423 del 16 ottobre 2013 dep. – 2014, Rv n. 258945; Cass., Sez. 4, n. 7597, 08 novembre 2013, dep. 2014, Rv. 259127; Cass., Sez. 2, n. 45971 del 15 ottobre 2013, Rv. 257502
[3] Cass. Sez. 3, n. 43724 del 23 maggio 12, Rv. 258324
[4] Cass. Sez. 5, n. 51396 del 20 novembre 2013, Rv. 257831; Cass., Sez. 4, n. 18432 del 19 novembre 2013, dep. 2014, Rv. 261920; Cass. Sez. 1, n. 26860 del 09 giugno 2015, Rv. 263961
[5] Cass. Sez. 5, n. 51396 del 20 novembre 2013, Rv. 257831
[6] La Corte ha precisato che tale violazione non è rilevabile d’ufficio quando è necessario un giudizio di fatto sulla rilevanza della prova dichiarativa che richiede attestazioni o allegazioni di merito non compatibili con il giudizio di legittimità, sul punto cfr. Cass. Sez. 3, n. 19322 del 20 gennaio 2015, Rv. 263513; Cass. Sez. 1, n. 24384 del 03 marzo 2015, Rv. 263896; Cass. Sez. 3, n. 11 648 del 12 novembre 2014, dep 2015, Rv. 262978; Cass. Sez. 2, n. 677 del 10 ottobre 2014, dep. 2015, Rv. 261555.
[7] Sez. 5, n. 51396 del 20/11/2013, Basile ed altri, Rv. 257831.