REGNO UNITO – L’IMPATTO FISCALE DELLA BREXIT SULLE HOLDING INGLESI
a cura di Emanuele Curti e Andrea Formica
Il risultato del referendum inglese ha costatato la volontà del popolo inglese di uscire dall’Unione Europea (UE), dando luogo al c.d. Brexit.
Vien da chiedersi a questo punto, se tale decisione sia, o meno, in grado di influenzare le strutture societarie internazionali che includono una holding inglese. Attualmente, si può affermare con certezza che per molti gruppi i vantaggi fiscali apportati da una holding inglese sopravvivranno alla Brexit.
È un dato di fatto che molti gruppi, in virtù della legislazione corrente, hanno scelto di istituire una holding, in qualità di capogruppo o di società intermedia, nel Regno Unito. Infatti, l’attrattività di tale operazione è segnata in principal luogo dalle prospettive fiscali, particolarmente favorevoli, tipiche dell’ordinamento tributario UK, che non è direttamente influenzato dall’adesione all’Unione Europea.
Si ricordano, a tal proposito, i principali vantaggi offerti per l’istituzione di una holding in territorio anglofono:
- Vantaggi fiscali sui flussi dei dividendi: il Regno Unito non applica una ritenuta d’acconto sui dividendi in uscita; inoltre, vige il regime di partecipation exemption (c.d. pex) per i dividendi in entrata, purché gli stessi rientrino in una delle cinque classi esenti;
- Il regime delle Controlled Foreign Companies (c.d. CFC): per quanto riguarda gli utili non distribuiti delle controllate, il regime delle CFC del Regno Unito si rivolge al trasferimento fittizio di utili al di fuori dello stesso Regno Unito e non ricomprende le controllate, anche con regimi fiscali meno gravosi, che possiedono una effettiva attività commerciale locale;
- Nessuna imposta sulla vendita delle controllate operative: è presente, inoltre, una totale esenzione sulle plusvalenze realizzate dalla vendita di una filiale operativa, a condizione che le partecipazioni siano state detenute per un periodo di 12 mesi e che le trading conditions siano state rispettate;
- Nessuna imposta sulla cessione di quote di società inglesi da parte di soci esteri: Solitamente sono esenti da imposta le plusvalenze realizzate da azionisti non residenti in caso di cessione di quote relative ad una società situata nel Regno Unito;
- Deducibilità del costo degli interessi: esistono delle norme relativamente generose in materia di deducibilità degli interessi, soggetta a capitalizzazione sottile, alle regole del transfer pricing, e, a partire dal mese di Aprile 2017, entrerà in vigore il limite del “Rapporto fisso”, realizzato sulla base delle raccomandazioni contenute nell’ultimo report dell’OCSE sul “Base Erosion and Profit Shifting”, altrimenti noto come “BEPS”.
In aggiunta a quanto descritto sopra esistono, ovviamente, altri fattori che giocano un ruolo fondamentale nella scelta della sede della holding.
Molto presumibilmente, quindi, i vantaggi fiscali sopra riportati sono destinati a rimanere. Sarebbe totalmente inaspettata la scelta, per un futuro governo inglese, di apportare delle modifiche che, di fatto, potrebbero ledere piuttosto che danneggiare significativamente l’attrattività del Regno Unito per investimenti internazionali in entrata ovvero in uscita.
Al contrario, il governo inglese sta prendendo in esame la possibilità di addurre ulteriori miglioramenti al regime della pex sulle plusvalenze, al fine di semplificarla e renderla maggiormente competitiva in campo internazionale. In particolare, si stanno prendendo in considerazione i cambiamenti da adottare per incoraggiare il ricorso a compagnie inglesi, come la Holding platform per il settore dei fondi (includendo i fondi sovrani, i fondi pensione e i fondi d’investimento privato fiscalmente trasparenti).
Un ulteriore aspetto fiscale che può necessitare di analisi aggiuntive, sulla scia del risultato del referendum, è, come anticipato, il tema della ritenuta d’acconto sui flussi di cassa in entrata.
Infatti, se la tassazione sui redditi provenienti dalle controllate extra Ue resterà invariata, dei cambiamenti potrebbero occorrere in ambito UE: la Brexit potrebbe causare delle incongruenze in relazione ai pagamenti ricevuti da società controllate di alcuni paesi dell’UE. Secondo le direttive del Consiglio dell’Unione Europea, dividendi, interessi e royalties possono essere traferiti tra società infragruppo liberamente da uno Stato membro all’altro senza applicazione delle ritenute d’acconto. Dunque, con la Brexit tale operazione non sarà più protetta dalla direttiva comunitaria.
Tuttavia, per quanto riguarda i dividendi, in molti casi, le direttive europee – sui rapporti tra la capogruppo e le c.d. società figlie, si rivelano superflue in quanto gli ordinamenti dello Stato di appartenenza delle società già prevedono l’esenzione dalla ritenuta d’acconto sui dividendi medesimi (come nel caso dell’Ungheria) ovvero delle generose forme di esenzione (come nel caso dell’Irlanda). Inoltre, sebbene, in linea di principio la ritenuta si applichi in base alla normativa tributaria locale, il tasso può esser ridotto, piuttosto che azzerato, in virtù dei trattati inglesi contro la c.d. doppia imposizione. Infatti, è opportuno ricordare che l’Inghilterra ha sottoscritto i trattati contro la doppia imposizione fiscale con tutti gli Stati membri dell’UE.
Pertanto alla luce di quanto affermato, l’impatto della Brexit sui dividendi in entrata risulta esser ridotto alle sole controllate situate in pochi Stati membri. Le controllanti inglesi possono subire una ritenuta d’acconto pari al 5% sui dividendi di controllate situate in Austria, Croazia, Repubblica Ceca, Germania, Italia e Romania e del 10 % in Grecia.
Nel caso in cui una holding inglese effettui dei prestiti o fornisca dei diritti di proprietà intellettuale alle sue controllate, si adotterà, in linea di principio, la medesima procedura sopra descritta. La direttiva Europea sugli interessi e sulle royalties, che solitamente esime dalla ritenuta d’acconto i pagamenti infra-gruppo, in ambito europeo, per interessi e royalties, a tempo debito non potrà più esser adottata. In conseguenza di ciò, la Brexit potrà potenzialmente influenzare i flussi di redditi in entrata generati dagli interessi e dalle royalties provenienti da controllate UE (ma non dagli Stati Extra UE). Anche in questo caso, l’impatto pratico dipende dalla possibilità che la giurisdizione di provenienza imponga la ritenuta d’acconto, o meno, e in tal caso andranno considerati i termini del Trattato in questione con il Regno Unito. Molti Stati offriranno una totale esenzione dalla ritenuta d’acconto per gli interessi e le royalties.
SEDI ALTERNATIVE PER LE HOLDING EUROPEE
Se una società inglese possiede una controllata in uno o più di uno dei sette Paesi UE “rilevanti” ed è una holding intermedia in un gruppo internazionale più ampio, dovranno esser svolte delle indagini più accurate per determinare se l’applicazione di una ritenuta d’acconto sui dividendi della controllata europea rappresenti un costo fiscale incrementale che influenza il gruppo nel suo complesso.
Ad esempio, se la capogruppo ha la sede negli Stati Uniti e può ricorrere al credito d’imposta estero addizionale, sviluppatosi con la ritenuta d’acconto aggiuntiva, per ridurre l’imposta che dovrà fronteggiare per il rimpatrio dei profitti realizzati in Europa verso gli Stati Uniti, l’applicazione della ritenuta d’acconto potrebbe non generare alcun effetto negativo sul gruppo nel suo complesso. Diversamente, se la holding inglese è anche la capogruppo di un gruppo a partecipazione largamente diffusa, la ritenuta d’acconto sui dividendi rappresenterà molto probabilmente un costo fiscale incrementale non indifferente.
Pertanto, lo spostamento della holding in altri Stati varia a seconda del regime fiscale di sua appartenenza e, quindi:
– i Paesi Bassi non possono offrire alcun miglioramento, considerato che una società olandese potrebbe rappresentare una soluzione come un’ulteriore holding intermedia sottostante ad una compagnia inglese, a condizione che i requisiti di “sostanza” siano soddisfatti;
– una holding irlandese potrebbe essere adatta, a seconda dell’identità dell’azionista o degli azionisti finali, data l’ampia esenzione dalla ritenuta d’acconto sui dividendi irlandesi a favore dei destinatari residenti in giurisdizioni con cui vige un accordo (a prescindere dai termini precisi dell’accordo stesso).
Se il costo del post Brexit riguarda unicamente gli interessi e le royalties, vale la pena notare che i prestiti e i diritti sulle proprietà intellettuali non devono seguire necessariamente in parallelo le partecipazioni: in questo contesto, si dovrebbe/potrebbe mantenere le holding inglesi, ma separando la struttura patrimoniale da quella delle proprietà intellettuali.
CONCLUSIONI
A seconda dei casi, un’attenta analisi dei fatti sarà, pertanto, necessaria. Se la Brexit si tradurrà, a tempo debito, in un effetto negativo e se un trasferimento della holding in un’altra giurisdizione UE sarà in grado di fornirle un generale miglioramento, sarà opportuno pianificare delle misure per attuare una riorganizzazione societaria nell’arco dei prossimi anni, prima che la Brexit divenga effettiva, affinché il gruppo possa usufruire delle speciali regole aziendali e fiscali previste per le riorganizzazioni infra UE.