RIFERIMENTI IN PUBBLICO ALLA COLPEVOLEZZA PENALE
Self restraint nella proposta di direttiva del Parlamento e del Consiglio UE
A cura di Mario Antinucci
La risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 20 gennaio 2016 sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali[1] rappresenta una tappa importante nella lunga marcia della giustizia penale verso il giusto processo europeo[2].
In particolare, sulla base della tabella di marcia, sono state adottate tre misure in materia di diritti procedurali nei procedimenti penali: le direttive 2010/64/UE[3], 2012/13/UE[4] e 2013/48/UE[5] del Parlamento europeo e del Consiglio; in nessun caso, tuttavia, era stata prevista una normativa di dettaglio in materia di “Riferimenti in pubblico alla colpevolezza”.
Al riguardo l’art. 4 espressamente rubricato “Riferimenti in pubblico alla colpevolezza” prevede:
1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che, fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole. Ciò lascia impregiudicati gli atti della pubblica accusa volti a dimostrare la colpevolezza dell’indagato o imputato e le decisioni preliminari di natura procedurale adottate da autorità giudiziarie o da altre autorità competenti e fondate sul sospetto o su indizi di reità.
2. Gli Stati membri provvedono affinché siano predisposte le misure appropriate in caso di violazione dell’obbligo stabilito al paragrafo 1 del presente articolo di non presentare gli indagati o imputati come colpevoli, in conformità con la presente direttiva, in particolare con l’articolo 10 .
3. L’obbligo stabilito al paragrafo 1 di non presentare gli indagati o imputati come colpevoli non impedisce alle autorità pubbliche di divulgare informazioni sui procedimenti penali, qualora ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all’indagine penale o per l’interesse pubblico.
L’esegesi di queste disposizioni normative non può essere disgiunta dalla lettura in chiave sistematica dei c.d. considerando nn. 16-18 della Risoluzione, e precisamente: “(16) La presunzione di innocenza sarebbe violata se dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche o decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza presentassero l’indagato o imputato come colpevole fino a quando la sua colpevolezza sia stata legalmente provata. Tali dichiarazioni o decisioni giudiziarie non dovrebbero rispecchiare l’idea che una persona sia colpevole. Ciò dovrebbe lasciare impregiudicati gli atti della pubblica accusa che mirano a dimostrare la colpevolezza dell’indagato o imputato, come l’imputazione, nonché le decisioni giudiziarie in conseguenza delle quali decorrono gli effetti di una pena sospesa, purché siano rispettati i diritti della difesa. Dovrebbero altresì restare impregiudicate le decisioni preliminari di natura procedurale, adottate da autorità giudiziarie o da altre autorità competenti e fondate sul sospetto o su indizi di reità, quali le decisioni riguardanti la custodia cautelare, purché non presentino l’indagato o imputato come colpevole. Prima di prendere una decisione preliminare di natura procedurale, l’autorità competente potrebbe prima dover verificare che vi siano sufficienti prove a carico dell’indagato o imputato tali da giustificare la decisione e la decisione potrebbe contenere un riferimento a tali elementi. (17) Per “dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche” dovrebbe intendersi qualsiasi dichiarazione riconducibile a un reato e proveniente da un’autorità coinvolta nel procedimento penale che ha ad oggetto tale reato, quali le autorità giudiziarie, di polizia e altre autorità preposte all’applicazione della legge, o da un’altra autorità pubblica, quali ministri e altri funzionari pubblici, fermo restando che ciò lascia impregiudicato il diritto nazionale in materia di immunità. (18) L’obbligo di non presentare gli indagati o imputati come colpevoli non dovrebbe impedire alle autorità pubbliche di divulgare informazioni sui procedimenti penali, qualora ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all’indagine penale, come nel caso in cui venga diffuso materiale video e si inviti il pubblico a collaborare nell’individuazione del presunto autore del reato, o per l’interesse pubblico, come nel caso in cui, per motivi di sicure”.
L’interprete attento non potrà non evidenziare la distanza siderale tra queste previsioni e la torsione inquisitoria delle relative garanzie difensive, con precipuo riguardo – ad esempio – alla prassi della conferenza stampa dell’Ufficio del P.M. e/o della Polizia Giudiziaria e dei competenti reparti operativi delle Forse dell’ordine in corso d’indagine coperte dal segreto investigativo; idem con riguardo alla prassi corrente della cronaca giudiziaria di divulgare contenuti di indagini penali in corso, spesso attraverso la pubblicazione di fotografie di protagonisti delle indagini, sia indagati sia investigatori.
In questo caso il legislatore europeo ha indicato un limite tassativo al potere dell’ autorità giudiziaria (e pubblica in genere) di divulgare informazioni sui procedimenti penali, cioè “qualora ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all’indagine penale, come nel caso in cui venga diffuso materiale video e si inviti il pubblico a collaborare nell’individuazione del presunto autore del reato, o per l’interesse pubblico, come nel caso in cui, per motivi di sicure”.
Il principio di obbligatorietà dell’azione penale disciplinato dall’art. 112 cost. esige che nulla venga sottratto al controllo di legalità effettuato dal giudice: ed in esso è insito, perciò, quello che in dottrina viene definito favor actionis; ciò comporta non solo il rigetto del contrapposto principio di opportunità che opera, in varia misura, nei sistemi ad azione penale facoltativa, consentendo all’organo dell’accusa di non agire anche in base a valutazioni estranee all’oggettiva infondatezza della notitia criminis; ma comporta, altresì, che in casi dubbi l’azione vada esercitata e non omessa; di ciò è, del resto, palese dimostrazione la formulazione – mai messa in discussione – dell’istituto dell’archiviazione in termini di “manifesta infondatezza” ex art. 407 c.p.p. Azione penale obbligatoria non significa, però, consequenzialità automatica tra notizia di reato e processo, né dovere del p.m. di iniziare il processo per qualsiasi notitia criminis. Limite implicito alla stessa obbligatorietà, razionalmente intesa, è che il processo non debba essere instaurato quando si appalesi oggettivamente superfluo: regola, questa, tanto più vera nel nuovo sistema, che pone le indagini preliminari fuori dell’ambito del processo, stabilendo che, al loro esito, l’obbligo di esercitare l’azione penale sorge solo se sia stata verificata la mancanza dei presupposti che rendono doverosa l’archiviazione, che è, appunto, non-esercizio dell’azione in applicazione dell’art. 50 c.p.p. (onde la regola – specificamente enunciata negli artt. 326 e 358 c.p.p. – secondo cui il pubblico ministero ha il dovere di compiere “ogni attività necessaria” ai fini delle “determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale” – cioè, delle richieste o di archiviazione o di rinvio a giudizio – ivi compresi gli “accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini”).
In questo senso la Corte costituzionale ebbe a chiarire con un’importante sentenza additiva di principio[6] la fonte costituzionale del principio di “completezza” (almeno tendenziale) delle indagini preliminari, che nella struttura del nuovo processo con rito accusatorio assolve una duplice, fondamentale funzione. La completa individuazione dei mezzi di prova è, invero, necessaria, da un lato, per consentire al pubblico ministero di esercitare le varie opzioni possibili (tra cui la richiesta di giudizio immediato, “saltando” l’udienza preliminare) e per indurre l’imputato ad accettare i riti alternativi: ciò che è essenziale ai fini della complessiva funzionalità del sistema, ma presuppone, appunto, una qualche solidità del quadro probatorio. Dall’altro lato, il dovere di completezza funge da argine contro eventuali prassi di esercizio “apparente” dell’azione penale, che, avviando la verifica giurisdizionale sulla base di indagini troppo superficiali, lacunose o monche, si risolverebbero in un ingiustificato aggravio del carico dibattimentale; in chiave di sistema tale principio ha oggi piena cittadinanza nell’art. 111, 3° cost., ove si stabilisce che la persona sottoposta ad indagini ha diritto “ad ogni altro mezzo di prova a suo favore”.
Ed il principio di effettività dei controlli sulle scelte del PM nell’ambito delle indagini preliminari, non solo è stato oggetto di specificazioni da parte della Consulta con effetti determinanti per il definitivo tramonto dell’impianto processuale inquisitorio già dagli anni 60/70 caratterizzati da forti scontri interpretativi sul punto tra le supreme Magistrature[7]; ma ha trovato pieno riconoscimento nelle regole del giusto processo europeo, nell’accezione chiarita dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo[8] che argomentando dall’art. 13 della CEDU interpreta correntemente il diritto al controllo effettivo interno non solo con effetti sul sistema delle impugnazioni, ma con riguardo al diritto del cittadino europeo ad indagini complete ed efficienti da parte di organi ufficiali secondo il principio di legalità.
[1] La presunzione di innocenza e il diritto a un equo processo sono sanciti negli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (“Carta”), nell’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“CEDU”), nell’articolo 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (“ICCPR”) e nell’articolo 11 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
[2]Il 30 novembre 2009 il Consiglio ha adottato una risoluzione relativa a una tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti procedurali di indagati o imputati in procedimenti penali (“tabella di marcia”). Sulla base di un approccio graduale, la tabella di marcia invita ad adottare misure che riguardano il diritto alla traduzione e all’interpretazione (misura A), il diritto a informazioni relative ai diritti e all’accusa (misura B), il diritto alla consulenza legale e all’assistenza legale (misura C), il diritto alla comunicazione con familiari, datori di lavoro e autorità consolari (misura D) e garanzie speciali per gli indagati o imputati vulnerabili (misura E). L’11 dicembre 2009 il Consiglio europeo ha accolto con favore la tabella di marcia e l’ha integrata nel programma di Stoccolma – Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini (punto 2.4). Il Consiglio europeo ha sottolineato il carattere non esaustivo della tabella di marcia, invitando la Commissione a esaminare ulteriori elementi dei diritti procedurali minimi di indagati e imputati, e a valutare se sia necessario affrontare altre questioni, ad esempio la presunzione di innocenza, per promuovere una migliore cooperazione nel settore.
[3] Direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 ottobre 2010, sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali (GU L 280 del 26.10.2010, pag. 1).
[4] Direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto all’informazione nei procedimenti penali (GU L 142 dell’1.6.2012, pag. 1).
[5] Direttiva 2013/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013, relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d’arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari (GU L 294 del 6.11.2013, pag. 1).
[6] Corte cost., 28 gennaio 1991, n. 88.
[7] Corte cost., 21 novembre 1968, n.117; Id., 25 febbraio 1971, n. 40; Id., 4 giugno 1971, n. 123; Id., 28 dicembre 1971, n. 209.
[8] Corte EDU, 23 marzo 202, Eduard c. Regno Unito.