Risoluzione del contratto di appalto già completamente eseguito: i chiarimenti della Cassazione
Possibilità di risoluzione del un contratto di appalto già eseguito dalle parti.
Approfondimento a cura degli Avv. Emilia Piselli e Fabrizio Vomero
L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 22065 de
l 12 luglio 2022 ha indicato alcuni aspetti fondamentali in merito alla possibilità di risoluzione del contratto di appalto già eseguito dalle parti.
La pronuncia della Corte d’Appello
Nel caso scrutinato, la Corte di Appello di Roma, confermando sul punto la sentenza di primo grado, aveva rigettato la domanda di risoluzione del contratto avanzata dall’appaltatrice, sostenendo che la disciplina di cui all’art. 1453 cod. civ. presupporrebbe, ai fini della sua applicabilità, la pendenza del contratto: nella fattispecie esaminata, il rapporto negoziale era stato portato a compimento con l’ultimazione e la consegna dell’opera.
Inoltre, secondo il Giudice di appello, il fatto che l’appaltatrice avesse proseguito i lavori in data successiva alla notifica alla committente di un atto di diffida ad adempiere, doveva essere considerato come espressivo della volontà di rinunciare ad avvalersi della risoluzione.
L’orientamento della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha accolto l’impugnazione promossa sul punto dall’appaltatrice, non condividendo l’orientamento della Corte di Appello di Roma secondo cui l’esecuzione integrale del contratto si porrebbe in rapporto di incompatibilità con il ripristino dello status quo ante, che costituisce l’effetto derivante dalla pronuncia di risoluzione ex art. 1458 cod. civ.
I Giudici di legittimità hanno, invero, evidenziato come l’interesse ad ottenere la risoluzione sopravviva al completamento delle prestazioni contrattuali.
Il riferimento è, tra l’altro, alla questione della tempestività delle riserve: la risoluzione del contratto, infatti, permetterebbe di superare l’eccezione di tardività delle riserve iscritte dall’appaltatore fondata sulle condizioni generali di contratto (il cui effetto vincolante verrebbe meno a seguito dello scioglimento del negozio).
Secondo l’insegnamento della Corte di Cassazione, l’appalto, fatta eccezione per i servizi e le manutenzioni periodiche, non rappresenta un contratto ad esecuzione continuata o periodica anche nelle situazioni in cui la sua esecuzione si protragga nel tempo, cosicché resta soggetto alla regola generale, fissata dall’art. 1458 cod. civ., della piena retroattività di tutti gli effetti della risoluzione, anche in ordine alle prestazioni già eseguite.
Per effetto di ciò, successivamente alla risoluzione del contratto, il prezzo delle prestazioni già eseguite può essere liquidato «a titolo di equivalente pecuniario della dovuta restitutio in integrum» (cfr. Cass., n. 15705/13 e n. 3455/15).
Inoltre, la tesi, sostenuta dalla Corte di Appello, che vedrebbe la risoluzione per inadempimento preclusa dall’ultimazione dei lavori, non solo non è avallata da alcun riscontro positivo, ma soprattutto si scontra con il fatto che, nell’appalto pubblico, il momento temporale che assume rilievo decisivo è il collaudo.
Perciò, fino a che l’opera non è stata definitivamente collaudata, la domanda di risoluzione resta proponibile (cfr. Cass., 27 novembre 1964, n. 2813).
In definitiva, l’ordinanza in commento ha chiarito che il completamento delle prestazioni non esclude la possibilità che una delle parti chieda ed ottenga la risoluzione del contratto, dalla quale discenderebbe il travolgimento retroattivo di tutte le condizioni negoziali.
Quanto al problema della presunta rinuncia tacita dell’appaltatrice alla risoluzione, la Suprema Corte ha ritenuto la questione assorbita dall’accoglimento del motivo di ricorso attinente alla risolvibilità di un appalto già completato.