BENI CULTURALI: PRIMA E DOPO LA “CURA” (II parte)
Abbiamo visto nella “puntata” precedente, la complessa procedura che in Italia regola la circolazione internazionale delle opere d’arte. Si è anche visto come il 2 agosto 2017 sia stato finalmente approvato il cd. DDL Concorrenza 2017, di seguito pubblicato nella G.U. n. 189 del 14 agosto 2017, come Legge n. 124 del 4 agosto 2017 (in vigore dallo scorso 29 agosto), che rappresenta senz’altro un importante segnale di apertura verso il mercato dell’arte italiano da parte della politica, e l’inizio – ci si augura – di una stagione complessivamente meno conservatrice nei confronti del medesimo. Finora la normativa era infatti fortemente sbilanciata a favore della tutela nazionale dei beni culturali rispetto alla circolazione internazionale dei beni stessi.
Vediamo le principali novità. E poi di seguito – purtroppo – i molti punti deboli della riforma, che la derubricano a rivoluzione mancata (o occasione perduta, a dir si voglia).
L’art. 1, comma 175 – da leggere con il successivo comma 176 – della Legge n. 124_2017 ha precisato come le finalità della legge siano di «semplificare le procedure relative al controllo della circolazione delle cose antiche che interessano il mercato dell’antiquariato».
In che modo?
È presto detto: innanzitutto elevando da 50 anni a 70 l’età dell’opera oltre la quale se la medesima sia di un’artista non più vivente, diviene passibile di provvedimenti di tutela secondo il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modifiche). Poi è stato previsto come per le cose che non abbiano superato i 70 anni (a prescindere dal valore) e per quelle che abbiano superato, d’età, questi ultimi, ma che non superino i 13.500 euro di valore, sia sufficiente, al momento dell’uscita definitiva dal nostro Paese, una autocertificazione.
Viene fatta salva comunque – nel caso le cose abbiano più di 50 ma non superino i 70 – la possibilità che i funzionari del competente ufficio esportazione, se ritentano che le medesime abbiano un «interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione», possano essere oggetto di procedimento di dichiarazione di interesse culturale, da concludersi entro i 60 giorni dalla presentazione della cosa.
La legge in commento prevede inoltre:
– la trasformazione dell’archivio nel quale i mercanti di arte e di cose antiche da sempre sono tenuti a registrare le opere vendute — in base ad una disposizione, l’art. 63, comma 2, del Codice dei beni culturali e del paesaggio — in un registro elettronico, che consenta la consultazione in tempo reale alle soprintendenze (diviso in due distinti elenchi: uno per le cose che necessitano di presentazione all’ufficio esportazione; e uno per quelle che non necessitano di tale presentazione per il rilascio dell’attestato di libera circolazione);
– l’introduzione di una sorta di “passaporto” delle opere, di durata quinquennale, allo scopo di registrare tutte le movimentazioni ed i passaggi di proprietà delle medesime;
– la totale riproducibilità dei beni culturali, compresi quelli archivistici e bibliotecari, per motivi personali e di studio.
Tralasciando queste ultime novità, sulle quali il Ministero deve ancora molto precisare — ad esempio per chiarire che differenza vi sia, all’atto pratico, tra il precedente attestato di libera circolazione e l’attuale c.d passaporto delle opere — con una Circolare (attesa entro la fine di ottobre, essendo stati previsti 60 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento per pronunciarsi), e su cui quindi torneremo a tempo debito con un altro approfondimento, credo che non occorrano molte parole — soprattutto per chi ha avuto o avrà la generosità di leggere la prima parte dell’articolo — per far intendere come la situazione non sia molto migliorata rispetto al passato. Anzi.
Non si può non notare, infatti, come la procedura per il “controllo” — così testualmente la legge n. 124/2017, con termine che già di per sé la dice lunga — non sia stata affatto semplificata.
Ad esempio non è stato in alcun modo previsto (e sanzionato) che nel caso in cui i funzionari non riescano a concludere nei termini il procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale, non possano in alcun modo — come sta avvenendo recentemente, secondo una prassi tanto scellerata quanto sottaciuta — , riavviarne uno nuovo (e spesso subito dopo, ancora un altro, e così via), sulla medesima opera. Prassi, quest’ultima, che rallentando all’infinito l’iter procedurale, contribuisce non poco a rendere poco appetibile, e decisamente provinciale, il nostro mercato dell’arte: sempre più guardato con sospetto da quello internazionale, e dai grandi collezionisti che vi operano.
Inoltre, a ben guardare, forse sarebbe stato meglio innalzare solo la soglia temporale (da 50 a 70 anni) senza introdurre una soglia di valore così risibile (13.500 euro, decisamente non in linea con il resto d’Europa), che potrebbe avere l’effetto boomerang di favorire un mercato di piccolo cabotaggio; o ancor peggio di portare all’instaurazione — con la complicità di qualche perito d’arte compiacente — di una prassi per cui all’esportazione il valore dell’opera venga dichiarato sempre sotto i 13.500 euro. Il che, combinato con la circostanza per cui opere dal valore milionario, ma di età inferiore ai 70 anni, possono liberamente uscire, potrebbe portare ad un effetto del tutto contrario a quello voluto: ovvero la perdita del “controllo” del mercato dell’arte italiano, che avrebbe poi, come corollario, un danno di immagine non da poco, dovuto ad una prevedibile, ulteriore perdita di fiducia nel medesimo da parte della comunità internazionale degli operatori professionali del settore.
Insomma, aspettiamo con malcelata ansia la Circolare ministeriale di cui si accennava poc’anzi, nella speranza che vi sia anche un ravvedimento su altri fronti delicati della riforma che tante speranze ha generato. Chi vivrà , vedrà.