STOP DALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE ALLA PROROGA FINO AL 2020 DELLE CONCESSIONI DEMANIALI

Con la sentenza del 14 luglio 2016, nella cause riunite C‑458/14 e C‑67/15, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato che le disposizioni nazionali che consentono la proroga generalizzata ed automatica delle concessioni demaniali fino al 31 dicembre 2020 contrastano con l’ordinamento comunitario (si tratta dell’art. 1, comma 18, del d.l. 30 dicembre 2009, n. 194, nella versione risultante dalle modifiche apportate dall’art. 34-duodecies del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, articolo introdotto in sede di conversione con legge 17 dicembre 2012, n. 221).

I giudici comunitari, in particolare, hanno dichiarato che contrastano con i principi comunitari le disposizioni nazionali che prevedono “la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico‑ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati”.

La vicenda trae origine dalle ordinanze di rimessione del T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. IV^, del 26 settembre 2014 n.2401, e del TAR Sardegna, Sez. I^, 28 gennaio 2015, n. 224, che avevano messo in discussione la conformità della proroga automatica ai principi di libertà di stabilimento, di protezione della concorrenza e di eguaglianza di trattamento tra operatori economici, così come con i principi di proporzionalità e di ragionevolezza.

Come è noto, la principale ragione alla base della scelta del Legislatore italiano di stabilire la proroga automatica e generale dei rapporti concessori in essere era rappresentata dall’esigenza di salvaguardare gli investimenti economici effettuati dai concessionari demaniali e preservare l’equilibrio finanziario in capo a questi ultimi.

Tale impostazione tuttavia non è stata condivisa dalla Corte di Giustizia.

La Corte, in particolare, ha tenuto a precisare che una proroga ad una concessione demaniale è giustificata solo allorquando sia finalizzata a tutelare la buona fede del concessionario, ossia quando lo stesso abbia ottenuto una determinata concessione in un’epoca in cui “non era ancora stato dichiarato che i contratti aventi un interesse transfrontaliero certo avrebbero potuto essere soggetti a obblighi di trasparenza”.

La tutela della buona fede del concessionario, dunque, va relazionata alla data di adozione della Direttiva 2006/123/CE – c.d. Bolkestein. In caso di concessione rilasciata in data antecedente, secondo la Corte, la cessazione anticipata della concessione “deve essere preceduta da un periodo transitorio che permetta alle parti del contratto di sciogliere i rispettivi rapporti contrattuali a condizioni accettabili, in particolare, dal punto di vista economico”; viceversa, la previsione di un periodo transitorio non sarebbe possibile laddove la concessione sia stata rilasciata dopo la Direttiva Bolkestein.

In conclusione, è chiaro come la pubblicazione di una sentenza di tale portata imponga un rapido intervento da parte del Legislatore, affinché sia arginato l’impatto negativo della stessa sulle migliaia di concessioni demaniali rilasciate su tutto il territorio nazionale, che da oggi sono a rischio di illegittimità.

Allo scopo di conformarsi a tale pronuncia, il Legislatore potrebbe quindi stabilire un periodo transitorio per differire l’applicazione dei principi comunitari in argomento, stabilendo una proroga implicita e generalizzata – comunque per un tempo più ridotto rispetto alla data del 31.12.2020 – a tutte le concessioni rilasciate senza procedura ad evidenza pubblica, a patto però che le stesse siano state rilasciate e/o prorogate prima dell’adozione della Direttiva 2006/123/CE o comunque prima dell’8 maggio 2010, data di recepimento nel nostro ordinamento delle direttiva stessa.

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