Distinzione tra appalto e contratto d’opera in caso di lavori eseguiti “in famiglia”.

Distinzione tra appalto e contratto d’opera in caso di lavori eseguiti “in famiglia”.

A cura di Emilia Piselli, Fabrizio Vomero

 

ABSTRACT

Se mancano circostanze di fatto che dimostrano che il committente si sia riservato l’organizzazione e la divisione del lavoro e degli strumenti tecnici, assumendo il rischio del conseguimento del risultato, la qualità di imprenditore del soggetto cui è stata affidata l’esecuzione di un’opera o di un servizio fa presumere che le parti abbiano voluto stipulare un contratto d’appalto e non di opera.

Questo il principio evidenziato, in tema di distinzione tra appalto e contratto d’opera, dalla Corte di Cassazione nella recente ordinanza n. 10154 del 17 aprile 2025, che ha fatto chiarezza su una peculiare fattispecie in cui le problematiche connesse all’esecuzione dei lavori si intrecciavano ai rapporti familiari tra le parti coinvolte.

Sul punto, la Cassazione chiarito come il particolare rapporto sussistente tra le parti e il fatto che l’appaltatore avesse dall’inizio richiesto un corrispettivo comprensivo della sola restituzione dei costi dei materiali e della manodopera (ma non del guadagno), può e deve essere inquadrato nell’ambito della disciplina del contratto di appalto.

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Con la recentissima ordinanza n. 10154 del 17 aprile 2025, la Corte di Cassazione ha ribadito un importante principio in tema di distinzione tra appalto e contratto d’opera in una singolare fattispecie in cui le problematiche connesse all’esecuzione dei lavori si intrecciavano ai rapporti familiari tra le parti coinvolte.

 

Nel caso esaminato, il Tribunale di Marsala aveva riconosciuto all’attore € 30.000, a titolo di indennità ex art. 1150 cod. civ., pari al valore dell’attività lavorativa manuale dal medesimo prestata nella costruzione di una abitazione, c.d. “dammuso”, nell’isola di Pantelleria sul terreno di proprietà della sua futura suocera. Il Tribunale aveva, dunque, escluso che si trattasse di un contratto di appalto.

L’attore di primo grado aveva impugnato la sentenza dinanzi alla Corte di appello di Palermo, la quale aveva, invece, qualificato il rapporto come appalto, riconoscendo all’appellante la ben superiore somma di € 140.203,73 (al netto degli importi già riconosciuti), a titolo di corrispettivo contrattuale corrispondente all’incremento di valore del terreno per effetto dell’edificazione ed incorporazione della casa. Richiamando vari principi giurisprudenziali, i Giudici di appello avevano, tra l’altro, sottolineato che il criterio distintivo tra appalto e contratto d’opera dipende anche dalla tipologia di opera commissionata. In questa logica, se l’esecuzione dell’opera implica un’organizzazione di impresa, la fattispecie deve essere ricondotta alla figura dell’appalto. Peraltro, sebbene nella situazione scrutinata non fosse stato allegato alcun contratto scritto, occorre rammentare che sia il contratto di appalto che quello d’opera non richiedono la forma scritta né ad substantiam,ad probationem, ma possono essere stipulati anche per facta concludentia. E, invero, l’appellante aveva dimostrato la fonte negoziale del proprio diritto, mentre le controparti non avevano dimostrato di aver versato il corrispettivo per l’opera realizzata.

La sentenza di secondo grado è stata impugnata per Cassazione da parte degli eredi della suocera dell’appaltatore (inclusa la moglie dello stesso) sulla base di plurimi motivi di diritto, con i quali si è, in particolare e tra l’altro, sostenuto che la Corte palermitana non avrebbe rettamente interpretato l’accordo delle parti volto alla realizzazione di lavori “in famiglia”: l’esecutore delle opere aveva avuto sì un ruolo preminente, ma non in qualità di appaltatore. Si sarebbe, dunque, costituito un rapporto atipico sulla scorta della circostanza decisiva che l’immobile in via di costruzione sarebbe divenuto la casa in cui l’esecutore sarebbe andato a vivere con la sua futura moglie. In tal senso, la suocera aveva concesso il godimento del proprio terreno e del futuro “dammuso” a fronte della collaborazione personale del genero ai lavori edili necessari. In ogni caso, i ricorrenti hanno eccepito che, anche laddove le parti avessero inteso concludere un contratto di appalto, ciò non sarebbe stato possibile, in quanto difettavano i presupposti oggettivi dell’organizzazione dei mezzi necessari e della gestione a proprio rischio ai sensi dell’art. 1657 cod. civ.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, osservando, in primo luogo, che, come rilevato anche dai Giudici di appello, «ove facciano difetto circostanze di fatto atte a dimostrare che il committente si sia riservato l’organizzazione e la divisione del lavoro e degli strumenti tecnici, assumendo, quindi, il rischio del conseguimento del risultato ripromessosi, la qualità di imprenditore del soggetto cui sia stata affidata l’esecuzione di un’opera o di un servizio fa presumere che le parti abbiano inteso stipulare un contratto d’appalto e non di opera (Cass. Sez. II, n. 27258/2017)».

Tale principio è stato rettamente applicato dalla pronuncia d’appello che ha dato il giusto rilievo all’importanza dell’opera, i cui costi di costruzione ammontavano a ben € 170.000,00, nonché alla qualità di imprenditore di fatto dell’esecutore (il genero della defunta proprietaria del terreno), desunta dalle deposizioni testimoniali rese in corso di causa.

Il peculiare rapporto sussistente tra le parti e il fatto che l’appaltatore avesse ab origine richiesto un corrispettivo comprensivo della sola restituzione dei costi dei materiali e della manodopera (ma non del guadagno) può e deve essere inquadrato nell’ambito della disciplina del contratto di appalto.

D’altra parte, atteso che la distinzione tra appalto e contratto d’opera risiede nel fatto che il primo postula un’organizzazione di media o grande impresa cui l’obbligato è preposto (cfr. Cass., 21 maggio 2010, n. 12519), mentre il secondo coinvolge una piccola impresa, la Corte palermitana ha fatto retta applicazione di questo principio. Invero, secondo la Corte di Cassazione, la sentenza impugnata, da un lato, ha ritenuto che l’importanza dell’opera de qua presupponesse un’organizzazione di impresa tale da ricondurre il contratto alla figura dell’appalto (cfr. Cass., 4 aprile 2017, n. 8700), dall’altro, ha riconosciuto la qualifica di imprenditore all’esecutore sulla base delle risultanze probatorie e degli elementi di fatto disponibili (cfr. Cass., 28 aprile 2011, n. 9459).

Da ultimo, la Suprema Corte ha spiegato che deve ritenersi irrilevante il fatto che l’imprenditore non fosse iscritto nel registro delle imprese, poiché vige «il principio generale di libertà di lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi, a seconda del contenuto delle prestazioni e della relativa organizzazione (…). Nel caso in esame non vi è alcuna norma che subordina il diritto al compenso dell’imprenditore all’iscrizione nel registro delle imprese».

 

 

Cass. n. 10154-2025

Distinzione tra appalto e contratto d'opera in caso di lavori eseguiti in 'famiglia'
Distinzione tra appalto e contratto d’opera in caso di lavori eseguiti in ‘famiglia’

 

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