Il Decreto Sblocca-Cantieri è diventato legge

Con la legge n.55 del 14 giugno 2019 è stato convertito in legge, con modificazioni, il D.L. 18 aprile 2019, n. 32, recante “Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici” (c.d. Sblocca-cantieri), che si poneva come obiettivo quella della semplificazione e razionalizzazione degli affidamenti, come volano per la ripresa del segmento strategico dell’edilizia e delle infrastrutture, motori storici dello sviluppo economico del Paese.
Dopo l’approvazione da parte del Senato, che ha riscritto ampia parte dei contenuti, il provvedimento è passato all’esame della Camera dei Deputati, che lo scorso 12 giugno ha approvato la relativa legge di conversione.

Una prima considerazione sulle modifiche introdotte riguarda la mole degli istituti codicistici coinvolti dalla riforma: molti – forse troppi, secondo i rilievi di alcuni – in un’opera di revisione rivolta principalmente alla ripresa del comparto dei lavori pubblici, attraverso uno snellimento delle procedure amministrative.
Sotto tale profilo, non può non richiamarsi il confronto-scontro che vede contrapposte due direttrici che in realtà appaiono come speculari: l’efficienza della macchina pubblica e l’adozione di idonee misure anticorruzione, dibattito in cui spicca il ruolo dell’ANAC.
In realtà, non si tratta di contrastare la corruzione rinunciando all’efficienza, né di incrementare gli obblighi amministrativi, spesso macchinosi, per aumentare i controlli in chiave di anticorruzione.
Ad avviso di chi scrive, se si intende realmente favorire la ripresa degli appalti pubblici, entrambi tali approcci mostrano palesi limiti, in quanto nessuno dei due pone la giusta attenzione alla delicatezza del settore in cui i pubblici funzionari, spesso dotati di buona volontà, si trovano ad agire senza il minimo supporto, in un contesto caratterizzato da attriti politici e rilevantissimi interessi economici che attraggono sia l’imprenditoria sana sia, e maggiormente, la criminalità.
E’ proprio la descritta peculiarità del settore che dovrebbe essere la stella polare di ogni intervento legislativo: semplificare la normativa e le procedure in senso reale, attraverso un numero limitato di norme chiare, ben scritte, interpretate in maniera univoca da tutte le Autorità e soprattutto stabili nel tempo, in grado di contrastare efficacemente le infiltrazioni di stampo criminoso e garantire l’efficienza dell’azione amministrativa.
Ciò che si registra, invece, è un affastellarsi di testi e disposizioni normative, che causano confusione ed incertezze applicative, oltre ad un maggior rischio di diffusione di corruttela e malaffare.
Da tale contesto normativo estremamente caotico deriva una ulteriore criticità, rappresentata dall’atteggiamento di molti pubblici funzionari, “bloccati” dal timore di possibili addebiti di responsabilità e dunque restii a firmare autorizzazioni e provvedimenti.

Alla luce del quadro così sommariamente tracciato, occorre esaminare il D.L. 32/2019, come convertito dalla legge 55/2019.
Due sono gli aspetti critici su cui il Legislatore è intervenuto: la discrezionalità amministrativa e la soft law. Entrambe sono state fortemente ridimensionate nella nuova impostazione, quali istituti negativi per la contrattualistica pubblica e tali da determinare il blocco degli appalti.
Non è questa la sede per una approfondita disamina delle questioni.
Pur tuttavia, è bene precisare che chi sostiene che il blocco degli appalti sia da ricondurre all’eccessiva discrezionalità ed alla presenza della soft law ha una visione parziale del problema, il quale presenta radici più profonde e complesse, che affondano nelle criticità insite nei meccanismi di spesa pubblica, oltre che nella cronica mancanza di risorse da parte della PA.
Ma volendosi esaminare nel suo insieme il provvedimento, v’è a dire siamo in presenza di diversi “ritorni al passato”, senza peraltro voler andare fino in fondo.
La stessa impostazione della legge di conversione ne è la dimostrazione: il vecchio Codice non viene modificato, ma viene “sospeso a termine”: vale a dire, per molti istituti, si torna alla vecchia disciplina, ma solo fino al 31. Dicembre 2020.
Ma veniamo al ritorno al Regolamento unico (dai contorni, tuttavia, al momento ancora poco definiti) e, quindi, il ripensamento del tanto discusso meccanismo della soft law, ossia delle linee guida vincolanti di ANAC.
Tale aspetto ci riporta all’impostazione di circa 150 anni fa (Legge 2248 del 1865, All. f, Legge sui lavori pubblici e Regolamento di cui al Regio Decreto n. 350 del 1895).
Resta da vedere se effettivamente il nuovo Regolamento sarà emanato entro il termine di 180 giorni dalla pubblicazione della Legge n. 55/2019.
Ulteriore ritorno al passato possiamo trovare in tema di appalto integrato.
Si tratta di una misura resa necessaria dalla carenza di progetti da parte di molte Amministrazioni e dalla impossibilità di riavviare con immediatezza gare di lavori senza una progettazione definitiva, ma che è stata riproposta senza tenere nella giusta considerazione i difetti e le criticità che avevano condotto al suo abbandono, dunque senza predisporre i dovuti correttivi.
Una considerazione per tutte: al fine di consentirne una applicazione in chiave evolutiva, e non in senso meramente ripropositivo del passato, sarebbe stato sufficiente, (nonché per altri versi opportuno), ammetterlo, ad esempio, a fronte di una progettazione qualificata da parte delle imprese, vale a dire una progettazione eseguita in modalità BIM, completa e dettagliata in ogni suo particolare.
Analogo discorso può essere fatto per altri istituti.
Per quanto riguarda la possibilità per i Comuni non capoluogo di provincia di procedere direttamente e autonomamente all’espletamento delle gare d’appalto, che nella sostanza dà luogo ad un sostanziale arretramento rispetto alla limitazione del numero di stazioni appaltanti. Viceversa, si sarebbe potuto legare tale possibilità alla dimostrazione, da parte dell’Ente, di aver maturato un qualche percorso di qualificazione come Stazione Appaltante (ad esempio, corsi di formazione per il proprio organico, ovvero dotazione di strumenti informatici per l’espletamento della funzione).
Allo stesso modo, in tema di Commissari di gara, la possibilità di non scegliere fra i soggetti dell’Albo si sarebbe potuta – e dovuta – collegare a miglioramenti degli Enti quale Stazione Appaltante.
Altre norme del D.L. 32/2019, poi, rappresentano un ritorno al passato per essersi rivelate le modifiche introdotte dal D.Lg. 50/2016 (così come modificato dal D.Lg. 56/17) totalmente fuori contesto ed a volte in contrasto con le direttive europee.
In tal senso, il venir meno dell’obbligo di indicare in sede di offerta la terna dei subappaltatori, l’innalzamento dal 30% al 40% del tetto massimo al subappalto e la possibilità dell’operatore economico aggiudicatario della gara di diventare subappaltatore rappresentano appunto un ritorno ad una maggiore liberalizzazione dell’istituto del subappalto, così come richiesto dall’Unione Europea.
Analogamente, l’addio al rito super accelerato con l’abrogazione del comma 2 bis dell’art. 120 del codice del processo amministrativo costituisce un ritorno al passato, in quanto la norma che imponeva l’immediata impugnazione delle esclusioni e delle ammissioni rappresentava una palese distorsione della normale dialettica processuale.

Ma prima di esaminare il ripensamento sulla soft law, occorre una considerazione di fondo sull’opportunità di introdurre modifiche strutturali di impostazione con decreto legge e per di più in attesa di una riforma organica dell’intera normativa sulla contrattualistica pubblica, (riforma già annunciata e che, stando alle dichiarazioni rilasciate, dovrebbe intervenire mediante il meccanismo della legge delega e del decreto delegato).
Certamente si determina un senso di instabilità normativa che non può non essere preso in seria considerazione.
Gli effetti del decreto-legge perdono efficacia ex tunc in caso di mancata conversione.
Vero è che, per tutelare i rapporti giuridici eventualmente sorti sulla base delle disposizioni contenute in un decreto legge non convertito, le Camere possono deliberare leggi che facciano salvi alcuni effetti di quest’ultimo (art. 77, co. 3 Cost.).
Tuttavia l’incertezza non sembra rispondere all’esigenza di tranquillizzare i pubblici funzionari chiamati a dare attuazione a norme ancora non completamente definite per far ripartire il settore.
In tale ottica, il D.L. 32/2019 ha già determinato una ulteriore difficoltà per tutta la contrattualistica pubblica nel periodo che occorrerà per riscrivere e ridare completezza al quadro normativo primario e subprimario. Sul punto, non può che condividersi l’affermazione secondo la quale ciò di cui il settore degli appalti ha più urgente bisogno non è l’ennesima riforma epocale, quanto – piuttosto – una fase di sostanziale tregua normativa che consenta di raggiungere – sia pure attraverso un sistema non perfetto – un ragionevole livello di certezza e stabilità dei rapporti giuridici per un periodo di tempo adeguato.
Invero, ogni riforma nel settore, prima di andare a regime, richiede un periodo di studio e di approfondimento da parte dei pubblici funzionari.
Ce lo insegnano le esperienze passate e soprattutto la considerazione che ogni procedura, anche la più semplice, ha bisogno dell’azione del pubblico funzionario per andare a regime.
La scarsa attenzione da parte del legislatore per tali aspetti aumenta la preoccupazione: si possono adottare leggi, darne le più disparate interpretazioni, ma quello che si deve sempre avere presente è l’impatto che queste avranno nell’attuazione pratica.
Non avendosi questa consapevolezza, ben difficilmente si potranno raggiungere i risultati auspicati e attesi dall’applicazione delle norme.

E veniamo al superamento della soft law, questione rilevantissima dal punto di vista sistematico, anticipatoria di quella che forse sarà la prossima ulteriore modifica degli appalti.
Alla base dell’introduzione, da parte del legislatore del 2016, di una legittimazione delle fonti di soft law nel settore in disamina, vi era l’esigenza di concedere alle Pubbliche Amministrazioni una maggiore discrezionalità, così da bilanciare una eccessiva rigidità normativa e così promuovere l’efficienza del comparto.
Tuttavia, sebbene condivisibile nelle intenzioni, tale scelta si è rivelata con il tempo fallimentare, laddove, lungi dal risolvere problematiche interpretative ed applicative, ha contribuito, al contrario, a complicare ulteriormente il framework giuridico (sia a causa dei ritardi nella emanazione degli atti attuativi previsti, sia per la loro farraginosità), frenando l’attività di operatori e stazioni appaltanti, confusi da un panorama normativo instabile ed indefinito.
Deve, altresì, aggiungersi l’assegnazione all’ANAC dello svolgimento di numerose ed eterogenee funzioni.
Peraltro, occorre precisare che quella in commento non costituisce una misura tendente a ridimensionare il ruolo dell’Autorità, bensì rappresenta una diversa impostazione sistemica: il Regolamento unico è senza dubbio da intendersi come fonte unitaria e globale, volta ad avere un testo omnicomprensivo e di maggiore certezza.
Con riguardo appunto al Regolamento unico, definito di esecuzione, attuazione ed integrazione, nella legge di conversione viene riportato l’elenco specifico delle materie allo stesso attribuite: a) nomina, ruolo e compiti del responsabile del procedimento; b) progettazione di lavori, servizi e forniture, e verifica del progetto; c) sistema di qualificazione e requisiti degli esecutori di lavori e dei contraenti generali; d) procedure di affidamento e realizzazione dei contratti di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie comunitarie; e) direzione dei lavori e dell’esecuzione; f) esecuzione dei contratti di lavori, servizi e forniture, contabilità, sospensioni e penali; g) collaudo e verifica di conformità; h) affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria e relativi requisiti degli operatori economici; i) lavori riguardanti i beni culturali.
Rimangono, in altre parole, ad ANAC tutti i precedenti poteri, ivi inclusa la possibilità di emettere linee guida non vincolanti ai sensi dell’art. 213 co. 2 del codice appalti, allo scopo di garantire “la promozione dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti, cui fornisce supporto anche facilitando lo scambio di informazioni e la omogeneità di procedimenti amministrativi”.
Conseguentemente, occorrerà distinguere, fra le linee guida ad oggi emesse, quelle vincolanti e quelle non vincolanti.
Salve le previsioni su cui interviene direttamente il d.l.n. 32/2019, circostanza questa che comporta una immediata caducazione degli atti in ipotesi contrari di ANAC (anche prescindendosi da una esplicita modifica degli stessi da parte della medesima Autorità), quelle vincolanti hanno il destino segnato: con l’entrata in vigore del Regolamento unico, cesseranno di efficacia se difformi alle nuove norme. Le altre rimarranno in vigore sino alla emanazione del Regolamento .
Quelle non vincolanti, invece, continueranno ad essere vigenti anche dopo l’entrata in vigore del Regolamento, ferma restando la necessità di essere adeguate alle disposizioni dello stesso.
Ovviamente, in caso di difformità con i nuovi provvedimenti normativi, le linee guida ANAC sia vincolanti, sia non vincolanti, saranno destinate a venire meno e a cessare la loro efficacia.
Più problematico è capire se, nelle more dell’emanazione del Regolamento, l’ANAC potrà emanare linee guida nelle materie riservate al Regolamento stesso, ovvero aggiornare quelle già emesse.
Essendo venuta meno la norma legittimante il potere regolatorio in capo all’Autorità, dovrebbe concludersi per l’impossibilità per la stessa di intervenire su tali materie, anche se, come detto, l’art. 213 co. 2, potrebbe permettere l’emanazione di atti a contenuto non vincolante.
Altrettanto problematico, poi, è il rispetto del termine di 180 giorni per l’emanazione del Regolamento.
E’ infatti noto come il DPR sia un provvedimento dalla procedura di approvazione estremamente complessa, che richiede numerosi passaggi istituzionali (dalle competenti commissioni parlamentari fino al parere del Consiglio di Stato).
Inoltre, non deve dimenticarsi che il precedente Regolamento Unico Appalti (DPR n. 207/2010) è stato emanato dopo ben quattro anni dall’emanazione del codice De Lise del 2006.
Si tratta, quindi, di mettere ragionevolmente in preventivo un periodo più lungo dei 180 giorni previsti normativamente. Un periodo nel quale, peraltro, potrebbe anche intervenire la già annunciata riforma organica del codice appalti.
Il tutto con una sovrapposizione di fonti normative che, se non saranno ben coordinate fra loro, potrebbero determinare ulteriori confusioni, quanto meno a livello di diritto intertemporale.
In definitiva, con il ritorno al Regolamento Unico ed il passaggio in secondo piano della soft law, si è abbandonato un sistema non del tutto coerente con il nostro ordinamento e che non ha trovato consensi né da parte dei pubblici funzionari, né da parte degli operatori economici.
Chiedersi il perché di tutto questo è forse inutile e superfluo.
Potrebbero richiamarsi i ritardi nell’emanazione di linee guida. Si potrebbe citare la scarsa organicità delle stesse e, spesso, la pedissequa riproposizione di concetti già contenuti nel codice, a volte totalmente inutile se non addirittura foriera di confusione interpretativa.
Sarebbe del tutto ingeneroso nei confronti dell’ANAC, il cui zelo ed impegno in tal senso deve comunque essere apprezzato.
Più verosimilmente, quello che si può affermare è il rifiuto di un modo di legiferare cui il nostro sistema basato sulla rigidità delle fonti del diritto non è ancora preparato.
Gli esperimenti, come sempre, vanno fatti in maniera gradata e certamente non in settori dell’ordinamento la cui delicatezza deve essere sempre ben considerata e valutata: stravolgere il sistema all’improvviso, senza accompagnare le modiche ad uno studio approfondito dei vari profili coinvolti, rischia di dar luogo a criticità maggiori di quelle che si intende risolvere.
Inoltre, non può sottacersi una ulteriore, fondamentale riflessione.
Al fine di agevolare lo svolgimento delle procedure, in ossequio agli obiettivi di semplificazione dischiarati dal Legislatore, non è sufficiente procedere ad una revisione normativa, ma occorre dotare di credibilità l’Amministrazione pubblica, dando certezza dei tempi sulla conclusione di un procedimento e favorendo lo sviluppo di un’amministrazione efficiente.
Ciò richiede che si intervenga non soltanto sulla disciplina dei procedimenti ma anche sul “fattore umano” dell’amministrazione che attua le procedure, in primo luogo sui funzionari pubblici.
Invero, sono i funzionari pubblici che fattivamente pongono in essere e autorizzano le procedure e che devono poter realizzare gli interventi senza sentirsi minacciati da possibili denunce relative al loro operato (danno erariale per colpa grave; sospetti di corruzione o di infiltrazione mafiosa, ecc.), che possano metterne a rischio il posto di lavoro.
Così come Pietro Nenni affermava che “le idee camminano sulle gambe degli uomini”, può senz’altro affermarsi che “le procedure camminano sulle gambe dei pubblici funzionari”: se non ci si preoccupa di mettere i funzionari in condizione di poter operare serenamente, qualsiasi procedura, anche la più semplice, stenterà a partire.
È quindi necessario fornire ai Funzionari della PA strumenti validi a sostegno del proprio lavoro.
In tal senso, deve essere positivamente apprezzata la reintroduzione del Comitato Tecnico Consultivo, già previsto nell’art. 207 del D.lgs. 50/2016 e poi abrogato al D.lgs. 56/2017.
Affiancare un organismo di supporto in fase esecutiva al RUP e al DL, lungi dal rappresentare una sorta di “arbitratino” in corso d’opera, è una buona opportunità per far sì che l’esecuzione dei contratti possa marciare in maniera regolare e spedita.
Non solo. Tale organismo potrebbe essere il miglior antidoto al contenzioso, la cui limitazione dovrebbe passare non già attraverso la compressione di istituti a tutela dell’appaltatore (es. le riserve), ma attraverso lo sviluppo di un’attività preventiva, volta ad assicurare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale.
Stessa logica dovrebbe seguirsi per il procedimento amministrativo in fase di scelta del contraente.
Del resto, i nuovi provvedimenti volti alla nomina di commissari straordinari per gli interventi infrastrutturali ritenuti prioritari vanno già in questa direzione
L’art. 4 del provvedimento statuisce, invero, che tali commissari straordinari possono essere abilitati ad assumere direttamente le funzioni di stazione appaltante e ad operare in deroga alle disposizioni di legge in materia di contratti pubblici, (fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice antimafia e delle misure di prevenzione, nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea).
Su tale figura si pongono tre problemi principali, ai quali in parte sarà data risposta dal decreto di attuazione: la definizione dei poteri e delle prerogative; l’individuazione delle modalità di nomina e selezione; la scelta sugli interventi infrastrutturali ritenuti prioritari.
Giova tuttavia precisare che tali Commissari, dotati di poteri speciali e di intervento su infrastrutture di interesse nazionale e dunque definibili “plenipotenziari Statali”, potranno intervenire su un numero limitato di infrastrutture ritenute prioritarie al fine di sbloccare la fase di stallo in cui si trovano, ma non potranno sbloccare il sistema delle opere pubbliche del Paese.
Al fine di rilanciare l’intero sistema infrastrutturale italiano e non solo singole infrastrutture previamente individuate, si potrebbero ipotizzare figure con funzioni di controllo, stimolo ed ausilio, anche per la fase della gara.
Si potrebbe altresì collegare l’operato di queste figure all’istituto della vigilanza collaborativa dell’Autorità Anticorruzione, in modo da sostenere il funzionario pubblico durante l’intero iter di scelta del contraente.
Ciò potrebbe, inoltre, consentire all’ANAC di riappropriarsi del proprio ruolo di prevenzione e di anticorruzione ex ante, del resto già previsto nel D.Lgs. 50/2016 con l’istituto della vigilanza collaborativa.
Tali Commissari potrebbero essere altresì previsti sia per le infrastrutture sia per l’edilizia e, in particolare, per gli interventi di riqualificazione urbana e di recupero delle zone e degli immobili degradati.
Inoltre, la possibilità per i privati di richiedere, nei procedimenti di finanza di progetto ad iniziativa privata, la nomina di un Commissario vigilante, potrebbe avrebbe l’effetto di incentivare la presentazione di proposte e consentire di superare quella storica diffidenza nella partnership pubblico-privata, che spaventa e tende a bloccare nelle decisioni i funzionari pubblici e a non incentivare i privati promotori, spesso visti con sospetto.

Ulteriore, fondamentale ausilio in una prospettiva di ripresa del comparto, sviluppo del settore, semplificazione delle procedure ed ottimizzazione di tempi, costi e risultati, può arrivare dagli strumenti e dalle risorse messe a disposizione dall’evoluzione tecnologica e della c.d. digital transformation.
In quest’ottica, occorre ragionare su un’ipotesi di procedimento amministrativo assistito e digitalizzato, un sistema in grado di “preconfezionare” un procedimento ed i relativi atti, in modo da costituire una guida, un vero e proprio “navigator” per il pubblico funzionario, tracciando un percorso “obbligato”.
L’impiego di questa forma di procedimento si potrebbe pensare anche abbinata ad una implementazione di quegli strumenti tecnologici già noti, (quali il BIM), al fine di giungere ad una progettazione quanto più possibile dettagliata, che supporti il pubblico funzionario nell’individuazione della fattispecie procedurale. Allo stesso tempo, tutti i soggetti coinvolti (amministrazione, imprese finanziatrici e progettisti) condividerebbero una puntuale metodologia di realizzazione dell’intervento.
Ovviamente, in tali ipotesi, sarà imprescindibile altresì una rilettura degli strumenti contrattuali tradizionali, in modo da renderli conformi alla metodologia BIM.

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