AUTONOMIA DEL CONTRATTO DI SUBAPPALTO RISPETTO AL CONTRATTO PRINCIPALE DI APPALTO PUBBLICO

Il commento a cura degli Avv. Ugo Altomare e Fabrizio Vomero

L’ordinanza n. 7401 del 17 marzo 2020 della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha ricordato le peculiarità del contratto di subappalto rispetto al contratto principale cui si ricollega.

La vicenda esaminata concerneva l’affidamento in subappalto del servizio di registrazione di dati delle dichiarazioni dei redditi.

L’impresa ricorrente, subappaltatrice, contestava alla sub-committente resistente, concessionaria del Ministero delle Finanze, di non averle riconosciuto, quale compenso per l’attività di registrazione dei modelli 740, lo stesso corrispettivo previsto nella convenzione ministeriale.

Per tale ragione, la subappaltatrice chiedeva un’integrazione del compenso quanto meno a titolo di arricchimento senza causa ai sensi dell’art. 2041 cod. civ., oltre al pagamento degli interessi moratori a causa del ritardato pagamento delle fatture emesse (relative al minor corrispettivo previsto dal contratto di subappalto).

Il Tribunale di Roma aveva accolto le richieste dell’impresa subappaltatrice solo in parte, riconoscendole, ed in misura inferiore rispetto alla domanda, esclusivamente gli interessi per il ritardo nei pagamenti ricevuti.

La decisione di primo grado era stata integralmente confermata dalla Corte di Appello.

Anche la Corte di Cassazione ha ritenuto di confermare la sentenza di primo grado rigettando tutti i motivi di ricorso.

In particolare e tra l’altro, la Suprema Corte ha osservato, richiamando le ragioni espresse nei precedenti gradi di giudizio, che il contratto di appalto oggetto di lite era stato autorizzato dal Ministero delle Finanze senza alcuna indicazione delle condizioni contrattuali applicabili al subappaltatore.

Pertanto, il contenuto del contratto, a partire dal prezzo unitario e complessivo dei servizi informatici affidati, restava rimesso alla libera determinazione delle parti.

Inoltre, il contratto di subappalto aveva un contenuto più ristretto rispetto al rapporto concessorio a monte.

Ne derivava che l’impresa sub-committente non aveva alcun obbligo di praticare i medesimi prezzi applicati dal Ministero, anche perché il divieto di subappalto a prezzi inferiori rispetto a quelli praticati dalla committente, introdotto con l’art. 18 del D. Lgs. n. 157/1995, non risultava applicabile ratione temporis alla vicenda scrutinata.

La Corte di Cassazione ha rammentato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui il contratto di subappalto stipulato da un appaltatore di opera pubblica rappresenta un contratto strutturalmente distinto da quello principale che, giacché sottoscritto tra soggetti entrambi privati, rientra nella disciplina del codice civile.

In tal modo, il rapporto negoziale resta sottoposto alle regole che le parti hanno inteso conferirgli, sicché ad esso non sono applicabili, se non per effetto di eventuali richiami pattizi, «le disposizioni d’impronta marcatamente pubblicistica tipiche dell’appalto di opere pubbliche».

Al subappalto, quindi, non si applicano automaticamente i patti e le condizioni dell’appalto principale, dal momento che i due contratti mantengono la rispettiva autonomia, con l’effetto «che le parti del primo possono ben regolare il rapporto in modo difforme dal secondo, stabilendo condizioni, modalità e clausole diverse da quelle che nel contratto principale trovano applicazione in attuazione della normativa in tema di appalti pubblici» (cfr. Cass., 24 luglio 2000, n. 9684; Cass., 29 maggio 1999, n. 5237).

 

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