LE PROSPETTIVE DEL PUBLIC PROCUREMENT: L’APPROFONDIMENTO DI PIERLUIGI PISELLI E STEFANO DE MARINIS SU AGENDA DIGITALE
L’articolo “Procurement, per ripartire servono infrastrutture e tecnologie: ecco le priorità 2021“,
di Pierluigi Piselli e Stefano De Marinis
pubblicato il 13.1.2021 su Agenda Digitale
Chiuso un anno a dir poco travagliato, in ambito public procurement è tempo di bilanci e di ricerca di prospettive. Luci ed ombre contraddistinguono questo esercizio, a cominciare dalle emergenze sul piano sanitario ed economico, che non sarà facile recuperare in un batter d’ali con il nuovo anno destinato inevitabilmente ad aprirsi come si è chiuso il precedente. In questo senso si parte da un PIL nazionale tendenzialmente al -9% e da un numero complessivo di decessi nel 2020 che, secondo i dati diffusi dall’ISTAT prima di Natale, trova eguali solo in quello dell’ultimo anno del secondo conflitto mondiale.
Elementi in grado di invertire il ciclo sembrano potersi trarre dalle campagne vaccinali ormai prossime ad essere operative e dalla improcrastinabile necessità di un pronto avvio degli investimenti, soprattutto sul fronte delle infrastrutture e dell’innovazione tecnologica, che dovrebbero trovare definitivamente attuazione beneficiando delle risorse comunitarie rese disponibili dal Recovery Fund per sostenere, insieme agli altri strumenti comunitari quali Shure e lo stesso Quadro Finanziario Pluriennale 2021-27, tutto il sistema economico europeo, con l’ambizione di trasformare un disastro in opportunità, da cogliere per attuare quel rinnovamento da tempo auspicato ma mai fin qui seriamente perseguito ed attivato.
Passi e ostacoli per la ripresa
In questo senso, elemento che fa ben sperare riguarda il fatto che, con decisione storica per la prima volta da quando l’Europa esiste, si è scelto di sostenere il piano di ripresa di cui l’Italia beneficerà in misura maggiore rispetto a tutti gli altri partner, finanziando l’operazione a debito, peraltro non già dei singoli stati membri ma dell’Unione nel suo complesso. Ad una scelta così importante sul piano politico si lega, a doppio filo, l’obiettivo di tradurre, il più rapidamente possibile, le risorse rese così disponibili in attività destinate a generare crescita: per non andar perse, infatti, le somme dell’RRF dovranno essere impegnate entro il 2023, che nel caso di investimenti infrastrutturali significa apertura dei cantieri, e spese entro il 2026.
L’opzione spiega anche perché non abbia sempre senso lamentare la non aggiuntività, fino al 2023, della manovra dal Governo a livello nazionale sul fronte investimenti, visto che entro tale data occorrerà dare corso a tutto quanto già programmato e finanziabile con le risorse messe in campo in forma straordinaria.
L’invito del Ministero delle Infrastrutture
Al di là dei 17 miliardi di opere sbloccate, rivendicati dal Ministero delle Infrastrutture quale effetto della gestione più recente [1], desta viceversa preoccupazione il fatto che il decreto “semplificazioni” (n.76/2020), varato dopo lunga attesa dal Governo nel mese di giugno, abbia ricevuto limitatissima applicazione; ciò al punto da spingere lo stesso Ministro a firmare, lo scorso 18 novembre, una apposita nota indirizzata in pratica a tutte le amministrazioni locali, oltre che direttamente ai Provveditorati ad Anas ed RFI, a conclusione della quale viene evidenziato che il combinato disposto tra risorse disponibili e strumento normativo per spenderle rapidamente, può produrre un balzo in avanti per la nostra economia; perché ciò avvenga è necessario che le stazioni appaltanti applichino la legge in tutte le sue potenzialità.
L’invito recato dalla nota ministeriale, che chiaramente evidenzia la finalizzazione della normativa introdotta, per lo più con un arco temporale di vigenza circoscritto a fine 2021, onde accelerare in ogni modo la spesa, costituisce un unicum in campo istituzionale, considerato che il decreto, definito come la madre di tutte le riforme, in effetti possiede una rilevante portata innovativa fin qui inattuata, ed una sua coerenza che solo l’iter di conversione ha in parte reso meno certa; ciò anche in considerazione del fatto che nulla di nuovo può essere ottenuto con strumenti vecchi.
Ma ciò che realmente stupisce è l’atteggiamento di chi mostra, più o meno strumentalmente, l’intento di non cogliere i profili di cambiamento, rispetto ai quali si può anche obiettare sul merito delle singole scelte, ma non certo lasciar cadere tutto nel vuoto, specie in circostanze quali quelle attuali dove vi è necessità di sostenere prontamente gli investimenti in chiave di ripresa economica.
Le innovazioni del Decreto Semplificazioni
E di innovativo il decreto semplificazioni ha molto, a dispetto delle opinioni diverse; in questo senso ci si permetta di richiamare rapidamente alcuni degli aspetti ritenuti salienti. Decisamente in primo luogo rileva la riconfigurazione del regime di responsabilità di chi agisce, sia sul piano penale che sul fronte della configurabilità del danno erariale.
Il problema del “blocco della firma”
L’aver dato delimitazione certa all’abuso d’ufficio eliminando l’ampia zona grigia che caratterizzava in precedenza l’azione perseguibile per tale titolo di reato e, soprattutto, aver chiarito in principio che dove c’è esercizio di discrezionalità non può configurarsi siffatta violazione, rimanendo peraltro in piedi le singole fattispecie quali concussione, corruzione ecc. ciò che non sguarnisce il sistema sul piano della legalità, ben contribuisce a superare il problema della cosiddetta amministrazione difensiva, ovvero del blocco della firma, che rappresenta la ragione principale della difficoltà a tradurre le risorse in investimenti; i fondi stanziati fin dal 2010 per la difesa del suolo, onde evitare il ripetersi, a Firenze, dei danni a suo tempo causati dall’alluvione e tuttora non spesi, di cui i media hanno dato notizia [2] in questi giorni, rappresentano un caso significato in questo senso.
Il regime di responsabilità per il danno erariale
Nello stesso ambito è da considerare l’intervento sul regime della responsabilità per danno erariale, oggi configurabile nei termini già noti esclusivamente nei confronti di comportamenti cosiddetti omissivi, laddove per chi agisce vale la sola ipotesi del dolo, peraltro da dimostrarsi nel senso della volontà dell’evento dannoso tramite l’attività posta in essere, per i fatti commessi dallo scorso 17 luglio al 31 dicembre 2021.
La somma dei due interventi, rispettivamente collocati agli articoli 21 e 23 del decreto semplificazioni che, va detto, incide non solo sulla disciplina dell’affidamento e dell’esecuzione dei contratti pubblici, ma anche sui processi autorizzatori a monte e, più in generale, sull’intero contesto delle attività degli operatori soggetti a tali responsabilità, è ben in grado di superare ogni alibi a copertura di scelte amministrative in senso difensivo; ciò anche laddove motivate da un quadro normativo oggettivamente complesso che, peraltro, non sembra possibile semplificare dal giorno alla notte. Del resto quand’anche ne venissero sensibilmente sfrondati i contenuti, la tendenza a colmare la restituita discrezionalità con gli argomenti interpretativi del passato sarebbe, infatti, inevitabile.
In questo senso lo strumento delle linee guida, che notoriamente a livello europeo costituisce la modalità privilegiata per supportare amministrazioni e Stati membri per la più corretta applicazione della legislazione comunitaria negli spazi che le direttive, per definizione, lasciano aperti, magari associato a forme basiche di intelligenza artificiale potrebbe ben rappresentare la soluzione a regime maggiormente innovativa e facilmente perseguibile per aggiornare realmente l’intero sistema.
Le misure per accelerare le procedure di affidamento
Tornando al decreto semplificazioni, coerenti con il nuovo regime di responsabilità sono le precise tempistiche acceleratorie per la conclusione delle procedure di affidamento all’uopo introdotte, in uno con la generalizzazione della consegna delle prestazioni anche in attesa della stipula dei contratti, con l’obbligo di procedere a tale adempimento anche in presenza di ricorsi che non abbiano dato esito a provvedimenti cautelari di sospensione dell’affidamento e con l’erogazione dell’anticipazione anche in pendenza della stipula del contratto, disposizione quest’ultima introdotta fin dal decreto Cura Italia (n.18/2020).
Trattasi di un pacchetto di misure coerenti di non poco conto in termini di accelerazione della spesa, destinate a superarne la cronica difficoltà di attivazione. L’inosservanza dei termini, rispettivamente di due, quattro e sei mesi voluti dal decreto per l’individuazione del contraente, la mancata tempestiva stipula del contratto ed il tardivo avvio dell’esecuzione possono, infatti, essere valutati ai fini della responsabilità per danno erariale e, qualora imputabili all’operatore economico, costituire causa di esclusione dell’operatore stesso dalla procedura o di risoluzione del contratto per inadempimento, che è previsto venga senza indugio dichiarata dalla stazione appaltante e che operi di diritto.
Coerente in questo senso è la scelta del decreto che, per il riaffidamento, tende ad escludere la necessità di una nuova procedura, prevedendo l’utilizzabilità della graduatoria di gara alle condizioni offerte dal singolo operatore in ipotesi consultato, non già a quelle dell’originario affidamento.
Il superamento del regime di pubblicità preventiva
Strumentale all’osservanza delle individuate tempistiche è il temporaneo superamento del regime di pubblicità preventiva, gara per gara, per l’affidamento dei contratti di importo inferiore alla soglia comunitaria e, per valori superiori, aver restituito piena discrezionalità all’amministrazione, ad esempio permettendo di selezionare i contraenti sulla base del possesso di requisiti appropriati rispetto agli interventi da realizzare; ciò mantenendo comunque espressamente ferma l’osservanza dei principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, e proporzionalità fissati dal Codice dei contratti, oltre alle regole sul conflitto di interessi indicate nello stesso codice, alla normativa penale ed a quella antimafia, ai principi inderogabili della legislazione comunitaria e alle norme sul subappalto.
Il subappalto
Quanto al subappalto, è da considerare come tra la disciplina nazionale e quella comunitaria dell’istituto permanga un ampio divario, i cui termini di possibile contrasto, anche alla luce delle correzioni apportate all’articolo 105 del Codice dal decreto “sblocca-cantieri” 2019 (n.32/2019) sono proprio in questi giorni all’esame del Consiglio di Stato, che deve pronunciarsi in merito.
Il ruolo del Collegio Consultivo Tecnico
Se sul fronte degli affidamenti valgono le innovazioni suddette, relativamente alla fase esecutiva dei contratti il decreto semplificazioni recupera la figura del Collegio Consultivo Tecnico, già nota all’ordinamento ma fin qui utilizzata solo per prevenire la formalizzazione di contenziosi in corso d’opera, trasformandola in strumento volto a sbloccare i lavori sospesi, evitare che quelli in corso si fermino ed a supportare la committenza eventualmente anche prima della fase di affidamento. Significativa, nell’ottica considerata, è la previsione secondo la quale l’osservanza delle determinazioni del collegio, peraltro da assumersi entro 15 giorni da ogni specifico coinvolgimento, è causa di esclusione della responsabilità del soggetto agente per danno erariale, salvo il dolo; per converso l’inosservanza delle determinazioni del collegio consultivo tecnico viene valutata ai fini della responsabilità̀ del soggetto agente per danno erariale e costituisce, salvo prova contraria, grave inadempimento degli obblighi contrattuali.
La costituzione dei Collegi Consultivi è obbligatoria per tutti i contratti di lavori il cui importo superi la soglia comunitaria a prescindere dall’esistenza di criticità; finora peraltro non vi è notizia di significative applicazioni dell’istituto, che si colloca, ancora una volta, in stretta coerenza con gli obiettivi del decreto, ciò che non può che destare preoccupazione e, ancora una volta, giustificare l’intervento sollecitatorio del Ministero.
Le prospettive e l’apporto delle innovation technologies
A valle del contesto descritto, dove si intravvede una non trascurabile logica innovativa basata sul superamento delle scelte di amministrazione difensiva, spesso legate alla paura di esercitare la discrezionalità che ne è propria anche in ragione del clima di sfiducia che si nutre verso di essa, c’è da interrogarsi sul futuro, in particolare su come la digitalizzazione e le nuove tecnologie possano contribuire all’obiettivo perseguito dal legislatore. Accelerazione delle procedure, gestione della discrezionalità in funzione delle responsabilità di chi agisce e, soprattutto, presidio della legalità dell’azione amministrativa per il fatto che alcuni leggono come pericolosa deregulation l’effetto del decreto semplificazioni, sono i punti da considerare.
In questo senso va detto che a fronte di recuperati ambiti di discrezionalità per l’operare della mano pubblica, cosa che avvicinerebbe il nostro modus operandi a quello da sempre in essere al di fuori dei confini nazionali, andrebbe ripensato lo strumento, forse troppo frettolosamente abbandonato, delle Linee Guida che, come già rilevato, anche in sede comunitaria sono utilizzate per gestire utilmente l’applicazione di fonti legislative di contenuto, come buona regola un tempo seguita anche nel nostro Paese vuole, generale ed astratto.
Piattaforme e smart contract
Le linee Guida, che nella sostanza evocano le circolari ministeriali di più antica memoria, associate all’utilizzo delle nuove tecnologie quali, innanzitutto, piattaforme di e-procurement e forme basiche di intelligenza artificiale, potrebbero da un lato rendere più celere l’attività dell’amministrazione pubblica, applicando in modo predefinito lo schema ordinariamente più corretto di procedere; dall’altro contribuire a stabilizzare il regime di responsabilità per danno erariale, oggi fissato in via temporanea al 31 dicembre 2021, escludendo ex lege la colpa grave per chi le abbia utilizzate; ciò senza compromettere la possibilità del pubblico funzionario di operare in difformità, intervenendo per così dire manualmente caso per caso, con specifica motivazione.
L’operatività e la possibilità di accedere, da parte degli operatori autorizzati, ad esempio i RUP, alle banche dati che già il Codice dei contratti prevede, così come il massiccio ricorso all’utilizzo di smart contract, sempre associati all’operatività di piattaforme, renderebbe senza dubbio più celere anche la fase a valle dell’individuazione definitiva del contraente; a monte dell’affidamento, la progettazione con modalità BIM, peraltro obbligatoria per tutti gli appalti sopra i 15 milioni di euro dal prossimo primo gennaio, già concorre a quel processo di innovazione dell’attività contrattuale della pubblica amministrazione, e non solo di essa, che insieme alla contabilità digitale delle prestazioni eseguite, disposta dal DM 49 del 2018, chiuderebbe il cerchio, trasformando radicalmente i processi di spesa attualmente in essere, rendendoli efficienti ed efficaci in funzione degli obiettivi perseguiti.
Il contrasto a illeciti e criminalità organizzata
Ultimo aspetto, forse il più delicato ma anche quello maggiormente in grado di mutare radicalmente l’atteggiamento di sfiducia fin qui tenuto dal sistema verso il mondo degli appalti e dei contratti pubblici in genere, ancora oggi fonte di preoccupazione da parte di quanti considerano il decreto semplificazioni una pericolosa deregulation, riguarda l’aiuto che le tecnologie innovative possono dare al tema del contrasto degli illeciti e della lotta all’infiltrazione della criminalità organizzata.
Associare l’utilizzo dei processi digitali sopra evocati a forme di registrazione distribuita, altrimenti noti come blockchain, permetterebbe, infatti, di acquisire, conservare e rendere disponibili a chi fosse chiamato ad indagare sulle singole attività poste in essere, o più semplicemente a controllarne la correttezza, renderebbe senz’altro tutti i processi più celeri, efficaci e sicuri.
Si tratterebbe, in sostanza, di portare a termine quel grande processo di rinnovamento dell’attività amministrativa apertosi con l’obbligo di utilizzare le autocertificazioni, o dichiarazioni sostitutive, già previste dalla legge 15 del 1968, ma rimaste sostanzialmente lettera morta fino alle riforme del 1997, che oggi verrebbe completato attraverso il ricorso a tecnologie digitali assistite da elementi di Intelligenza Artificiale in grado di velocizzare l’azione e rendere efficaci i correlati processi di verifica, cristallizzando e conferendo immutabilità agli elementi sui quali questi saranno compiuti.
Tale soluzione permetterebbe di anticipare l’azione rispetto ai controlli, superando definitivamente il clima di generale sospetto verso ogni forma di attività contrattuale della PA che ha contraddistinto gli ultimi trent’anni della vita del Paese, rendendo l’azione amministrativa significativamente meno efficace.
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Note
[1] Si veda il Sole 24 Ore del 9 settembre 2020.
[2] Si veda Silvia Pieraccini su il Sole 24ore del 2 novembre 2020.